Dottrina Obama, prove tecniche di politica estera

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“Credo che gli Ame­ri­cani abbiano impa­rato che è più com­pli­cato finire le guerre che comin­ciarle” ha detto Barack Obama mar­tedì nel deli­neare la fase defi­ni­tiva del ritiro ame­ri­cano dall’Afghanistan. “E’ così che fini­scono i con­flitti nel 21mo secolo”, ha aggiunto, “non con la firma di un trat­tato ma con colpi deci­sivi asse­stati ai nostri avver­sari, tran­si­zioni a governi eletti e forze di sicu­rezza locali pronte ad assu­mere piena respon­sa­bi­lità”. Gli armi­stizi del nuovo mil­len­nio appa­ren­te­mente inclu­dono anche una forte dose di spin poli­tico per addol­cire l’amara con­sta­ta­zione, dopo tre­dici san­gui­nosi anni, di un sostan­ziale stallo e, se non una rotta “viet­na­mita”, un uscita sot­to­tono dall’entrata di ser­vi­zio che lascia il paese in mano ad un governo cor­rotto e ostile.

“L’Afghanistan non sarà forse un posto per­fetto ma non è respon­sa­bi­lità ame­ri­cana assi­cu­rarci che lo sia” ha eufe­mi­sti­ca­mente detto Obama, annun­ciando la ridu­zione di due terzi delle forze ame­ri­cane, dalle attuali 32000 a meno di die­ci­mila entro la fine di quest’anno. A par­tire da gen­naio l’esercito USA ces­serà le ope­ra­zioni di pat­tu­glia, rastrel­la­mento e com­bat­ti­mento, man­te­nendo tut­ta­via una pre­senza di 9.800 sol­dati per man­sioni di adde­stra­mento, pro­te­zione di mis­sioni diplo­ma­ti­che, intel­li­gence e “ope­ra­zioni di anti­ter­ro­ri­smo”. Un even­tuale ritiro com­plete avver­rebbe pre­su­mi­bil­mente entro il 2016, anzi­ché 2014 pre­ce­den­te­mente ventilato.

È stata una set­ti­mana di tutto Afgha­ni­stan per Obama che dome­nica, in occa­sione del memo­rial day aveva fatto visita a sor­presa alle truppe di Bagh­ram e mercoledì,dopo il brie­fing alla casa bianca, è tor­nato a par­lare del con­flitto nel discorso di lau­rea dell’accademia di West Point (leggi il testo inte­grale in inglese). Quat­tro anni fa Obama aveva usato la stessa cor­nice per annun­ciare l’escalation della guerra afghana, desti­nando a quel con­flitto molte delle forze impe­gnate in Iraq, un “surge” che di li a poco avrebbe por­tato la pre­senza ame­ri­cana a con­tare oltre 100.000 uomini. Allora aveva dichia­rato che la vit­to­ria in Afgha­ni­stan era “essen­ziale per garan­tire la sicu­rezza degli Stati Uniti”. Erano i tempi di David Petraeus e della dot­trina del coun­te­rin­sur­gency ad oltranza mediante forze spe­ciali e a Obama l’escalation afghana offriva anche una misura di coper­tura per l’uscita Iraq.

Dal punto di vista della sua ammi­ni­stra­zione, il pre­gio mag­giore della guerra Afghana e stato forse quello di aver offu­scato la memo­ria della déba­cle ira­chena, avven­tura san­gui­nosa quanto futile, ser­vita esat­ta­mente a niente. Ma il con­flitto afghano (il più lungo della sto­ria d’America – in cui le guerre certo non fanno difetto) è anche costato la vita a 2.300 mili­tari e molte decine di migliaia di civili in più. Le stime ONU par­lano di “circa 50.000” vit­time accer­tate del con­flitto a cui si aggiun­gono altre migliaia di morti indi­ret­ta­mente con­nesse al con­flitto. In una guerra che non ha certo gio­vato al pre­sti­gio ame­ri­cano. Se gli USA hanno evi­tato un disa­stro “alla russa”, in un certo senso la par­tita per deter­mi­nare le rispet­tive influenze di forze regio­nali (India e Paki­stan in primo luogo) ini­zia adesso geo­po­li­ti­ca­mente – e senza gli USA.

Appa­ren­te­mente gli armi­stizi del 21mo secolo insomma alla fine asso­mi­gliano molto a quelli di altri secoli Per gli USA sicu­ra­mente è un film ripe­tuto più volte dalla fine della seconda guerra: con l’impasse in Corea, la cata­strofe del Viet­nam, la pan­to­mima media­tica della prima guerra del golfo e il pan­tano ira­cheno. Di tutte l’Afghanistan si can­di­dava a guerra “giusta”,retribuzione per l’attacco fron­tale del 11 set­tem­bre e per que­sto più di ogni altra avrebbe richie­sto una vit­to­ria chiara. Alla fine nella migliore delle ipo­tesi sarà invece un non-sconfitta che pre­lude ad un futuro a dir poco incerto.

Per il pre­si­dente che ini­zia il suo ultimo bien­nio in carica, chiu­dere la par­tita afghana signi­fica però man­te­nere la pro­messa fatta fin dall’inizio di distri­care il paese dalle guerre di Bush. Gio­cando il ruolo di paci­fi­ca­tore, ai cadetti di West Point Obama ha potuto dire: “Sarete la prima classe in oltre un decen­nio che forse non andrà in Afghanistan”.

L’offensiva poli­tica di Obama sugli esteri mira a con­tra­stare le cri­ti­che a quella che è per­ce­pita come una prin­ci­pale debo­lezza del suo governo: l’assenza di una orga­nica poli­tica inter­na­zio­nale. Men­tre a casa il pre­si­dente, mal­grado l’ostruzionismo repub­bli­cano, ha tro­vato una sua stra­te­gia vin­cente spin­gendo soprat­tutto su riforme sociali (sanità immi­gra­zione, giu­sti­zia, diritti civili) che hanno in parte sbi­lan­ciato l’opposizione, la sua per­for­mance inter­na­zio­nale è stata con­si­de­re­vol­mente più ambi­gua. In Libia,Siria e Ucraina ha offerto il fianco destro ai fal­chi men­tre droni,sorveglianza e Guan­ta­namo con­ti­nuano a coster­nare la sinistra.

Nel discorso di West Point Obama ha difeso “l’egemonia virtuosa” dell’America, una nuova versione di eccezionalismo americano declinato “tecnologicamente” con interventi mirati
Negli inter­venti di que­sta set­ti­mana Obama ha così ten­tato da un lato di giu­sti­fi­care il disim­pe­gno e riba­dire allo stesso tempo un ege­mo­ni­smo sem­pre meno scontato.

Nel discorso di West Point Obama ha infatti difeso “l’egemonia vir­tuosa” dell’America, una nuova ver­sione di ecce­zio­na­li­smo ame­ri­cano decli­nato “tec­no­lo­gi­ca­mente” con inter­venti mirati – meglio se lon­tano da occhi indi­screti. Nel discorso di West Point ha infi­lato la pro­po­sta di un nuovo stan­zia­mento di $5 miliardi per “l’intelligence, la sor­ve­glianza, la rico­gni­zione e le ope­ra­zioni spe­ciali”. Una ricon­ferma cioè delle ope­ra­zioni “covert” che defi­ni­scono la nuova guerra per­ma­nente e tele­co­man­data affi­data sem­pre più a Cia, Nsa e droni in volo su paesi come Yemen, Mali e Soma­lia e sulla quale Obama non sem­bra transigere.

Non casual­mente in con­tem­po­ra­nea, John Kerry ha riba­dito la linea infles­si­bile su Edward Sno­w­den, che il segre­ta­rio di stato ha bef­far­da­mente invi­tato a rien­trare in patria. Kerry si è rivolto all’ex agente rifu­giato in Rus­sia con un sar­ca­stico “vieni qui se sei uomo che poi delle tue obie­zioni all’intelligence ne discu­tiamo” (come se i tri­bu­nali mili­tari USA fos­sero tavoli di dibattito).Nella sua prima inter­vi­sta “uffi­ciale” inci­den­tal­mente pas­sata ieri sulla NBC Sno­w­den ha elo­quen­te­mente repli­cato sulle atti­vità “non rego­late, non con­trol­late e peri­co­lose” del nuovo stato ombra Americano.

“Come molti ho cre­duto che siamo andati in Iraq e fare la cosa giu­sta e per libe­rare gli oppressi”, Sno­w­den ha detto al gior­na­li­sta Brian Wil­liams. “Ma col pas­sare del tempo e adden­tran­domi nell’apparato di sicu­rezza ho rea­liz­zato che molte delle affer­ma­zioni del governo, dai tubi di allu­mi­nio all’uranio di Sad­dam al discorso all’Onu di Colin Powell erano false. La Guerra è stata intra­presa in mala­fede. Dimo­stra il peri­colo di fidarsi cie­ca­mente dei sistemi di sicu­rezza senza un pub­blico esame. A volte per fare la cosa giu­sta è neces­sa­rio infran­gere la legge.”

Un inter­vento fuori pro­gramma che ha distolto dall’offensiva così atten­ta­mente pro­gram­mata dalla casa bianca e illu­strato assai bene come in un mondo dagli equil­bri geo­po­li­tici sem­pre più asim­me­trici possa essere dif­fi­cile con­trol­lare a nar­ra­zione politica.



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