La crisi sociale resta pesante: 9 milioni precari o senza lavoro
È il lavoro (possibilmente stabile) che continua a mancare, tanto da mettere in ginocchio oltre 9 milioni di italiani. La creazione di nuova occupazione è tra i punti prioritari del governo. Dopo aver varato, non senza polemiche, il decreto del ministro Giuliano Poletti sull’apprendistato e sui contratti a termine («Ora le imprese non hanno più alibi per non assumere», la tesi del titolare del Lavoro), l’esecutivo Renzi si appresta a portare in aula entro fine giugno il disegno di legge delega. In quel testo saranno contenute, tra l’altro, la riforma degli ammortizzatori sociali, i servizi per il lavoro e le politiche attive, nonché il riordino dei rapporti di lavoro e di sostegno alla maternità e alla conciliazione.
Se è vero che la ripresa – seppur timida, con un incremento del Pil tra lo 0,1% e lo 0,4% a fine anno – è in arrivo, a dare fiato alle preoccupazioni espresse due giorni fa dal governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, che ha invocato «un duraturo incremento dell’occupazione», sono i dati rilanciati ieri dall’Associazione Bruno Trentin (Abt) della Cgil.
I NUMERI
Secondo quello studio, sono infatti 9 milioni e 300mila le persone in difficoltà per la carenza di lavoro o per la precarietà della loro posizione lavorativa, pari al +56,8% rispetto all’ultimo anno pre-crisi, il 2007. L’area del disagio e della sofferenza occupazionale, considerate insieme, hanno raggiunto nell’ultimo trimestre del 2013 il punto più alto dall’inizio delle rilevazioni: 3 milioni e 370mila persone in più rispetto a quelle calcolate nell’ultimo trimestre di sei anni prima, quando i venti di crisi avevano appena iniziato a soffiare in Italia.
Nel dettaglio, disoccupati, scoraggiati e occupati in cassa integrazione sono circa 5 milioni e 95mila persone (rispetto al quarto trimestre 2007 l’aumento sfiora il 90%), mentre gli addetti in part-time involontario e lavoro a termine o in collaborazione, sempre involontario, sono circa 4 milioni e 200 mila unità (+29,6% rispetto allo stesso trimestre del 2007).
Non manca, nell’analisi dell’Associazione Bruno Trentin, un monito che, probabilmente, il governo – alle prese con i provvedimenti di cui si diceva all’inizio – dovrebbe quanto meno aver presente. «La caduta del numero di occupati – si legge nell’analisi della struttura Cgil – è stata eccezionale nel 2013 e ha colpito consistentemente anche il lavoro temporaneo: è particolarmente significativo che questo crollo abbia avuto luogo nel 2013 quando era già pienamente a regime la normativa che, per la prima volta, prevede contratti a termine senza causale per un anno».
IN CERCA DI BUONA OCCUPAZIONE
Eliminare la causale dai contratti a termine, come fa il decreto entrato in vigore lo scorso 20 maggio, che consente anche 5 rinnovi del rapporto di lavoro in 36 mesi, difficilmente potrà portare occupazione più stabile. Sull’altro piatto della bilancia, il governo mette l’assoluta esigenza a creare nuovi posti di lavoro: solo nel manifatturiero, tra il 2001 e il 2013, sono stati persi 120mila imprese e quasi 1,2 milioni posti di lavoro, ricordava pochi giorni fa il numero uno di Confindustria, Giorgio Squinzi. Il reddito pro capite, del resto, è ai livelli del 1996 e i consumi al 1998, anche se Federconsumatori notava ieri che l’impatto degli 80 euro del bonus Irpef sul 2014 dovrebbe attestarsi almeno sul +0,2% o +0,3%.
Infine, per quanto riguarda il raffronto europeo, l’andamento dell’occupazione italiana diverge sempre di più: il tasso medio di disoccupazione in Europa (Unione europea a 28 Paesi) ha perso quasi mezzo punto percentuale (da 10,9 a 10,5%) tra aprile 2012 e marzo 2013, a fronte di un aumento nel nostro Paese di 0,7% (dal 12 al 12.7%). Un divario che l’esecutivo dovrà cercare di colmare.
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La strada da seguire per creare più lavoro
MENTRE le cifre della disoccupazione sono sempre più drammatiche, il governo non pare avere alcuna idea per creare d’urgenza un congruo numero di posti di lavoro. I rimedi proposti alla spicciolata, dalla riduzione del cuneo fiscale alle facilitazioni per creare nuove imprese, dagli sgravi di imposta per chi assume giovani alla semplificazione delle procedure per l’avvio di cantieri e grandi opere, non sfiorano nemmeno il problema.