Così il mullah Omar rovina la festa per il sergente liberato

by redazione | 2 Giugno 2014 8:37

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WASHINGTON. IL MULLAH guercio con la sottana al vento, che nella fiction giornalistica era stato visto fuggire in motorino verso sicura morte, torna trionfante per ricordare agli americani che in Afghanistan dopo 13 anni di guerra e 2.100 morti non hanno vinto niente. Lo scambio fra cinque detenuti a Guantanamo e l’unico prigioniero americano nelle mani dei Taliban, il sergente Bowe Bergdhal, ha riesumato il mullah Mohammed Omar dal sepolcro degli incubi e gli ha fatto gridare alla vittoria, per umiliare Barack Obama che del ritorno del soldato ha fatto un cerimonia e un vanto.
Il recupero e il ritorno dei propri soldati caduti sul campo o prigionieri era stato, per una generazione, una delle più pungenti corone di spine sul capo di ogni presidente, da Nixon ai Bush e la presenza del sergente Bergdhal nelle mani dei Taliban era l’ultimo lascito di un’impresa che Obama non aveva cominciato e non avrebbe mai voluto ereditare. Anzi, la coincidenza della sua liberazione con l’annuncio del ritiro definitivo delle unità combattenti americane dall’Afghanistam entro quest’anno, per lasciare soltanto novemila militari con compiti di addestramento, aveva reso urgente il tagliare anche questo ultimo legame con l’invasione cominciata nell’autunno del 2001. Sembrava il suggello umano non alla vittoria, che non c’è, ma almeno alla fine.
Per questo la Casa Bianca ha fatto quello che formalmente tutti i governi dicono di non fare e che segretamente fanno. Ha negoziato con il nemico, con i «terroristi», attraverso il presidente Karzai, e ha fatto mercato con loro, a caro prezzo: ben cinque prigionieri di Gitmo, gli ultimi Taliban ancora di alto profilo, ex ministri del regime abbattuto, responsabili di spionaggio, di azioni violente e, in un caso, direttamente legati a Osama bin Laden come il ministro degli interni di Jabul, Khirullah Khairkhwa in cambio di un sergente catturato ancora non si sa bene come, tre anni or sono. Prezzo altissimo.
Il Mullah sul Motorino, o chi ha parlato per lui non essendo certo che egli sia ancora vivo, ne ha subito approfittato per trasformare il successo di Obama in un’umiliazione, con proclami di vittoria. «Voglio esprimere le mie congratulazioni più di cuore al popolo afgano per queste vittoria », appunto, sono le parole dette, o attribuite a Omar che non ci ha messo la faccia, non essendo più apparso in pubblico, dalla sua fuga di 13 anni or sono.
Di lui si è detto che fosse il cervello, il profeta, la guida spirituale e politica dell’orrido regime dei fondamentalisti e l’ufficiale di collegamento con la rete di Al Qaeda in Afghanistan. Ma non serviva una particolare abilità di analisi politica per capire che avere usato lo scambio di ben cinque prigionieri per salvare il sergente Berghdal sarebbe divenuta munizione per i repubblicani e per gli avversari di Obama in casa. Un presidente già sotto tiro per l’inefficacia della politica verso la piaga Ucraina. Non aveva neanche finito il suo discorso di benvenuto al padre del sergente Casa Bianca, che già dalla destra si alzavano accuse sostanziali e formali contro il presidente.
Gli rimproverano di avere ceduto e “pagato” troppo per quel militare prigioniero, invece di usare la forza e le unità speciali per andarlo a cercare. Di non avere messo il Parlamento al corrente delle trattative con l’anticipo necessario dei 30 giorni, accusa piuttosto strumentale vista la completa incapacità dei parlamentari di tenere la bocca chiusa. Voci dall’estrema destra considerano addirittura quel soldato come un disertore, dopo che i Taliban lo aveva catturato mentre, si disse, «vagava fuori dalla base» e poi annunciarono che lui, come fu detto di tanti prigionieri dei Nord vietnamiti, collaborava.
«Il congresso sapeva tutto», si è offesa Susan Rice, responsabile della Sicurezza Nazionale. «A noi importa sapere che abbiamo salvato la vita di un americano», ha risposto Chuck Hagel, il segretario della Difesa. In Idaho, la terra del sergente, la barba e i capelli lunghi chiusi in un codino del padre di Bowe, così simili a quelle degli studenti coranici, potranno confondersi con i boscaioli delle Montagne Rocciose. Ma se lo scambio di prigionieri, tradizione comunque di ogni guerra classica o asimmetrica sarà presto dimenticato, sarà l’ombra del profeta guercio quella che resterà a volare sopra la vittoria incompiuta. Enduring Freedom, la libertà duratura per la quale invano si è morti, si è combattuto, si sono spese fortune, si rivela l’Enduring Omar. Il mullah che resiste.

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