La Corte costituzionale in Portogallo abroga i tagli ai salari

by redazione | 1 Giugno 2014 18:19

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Quella che si vive in Portogallo è una situa­zione sem­pre più para­dos­sale: da un lato c’è il governo di Pedro Pas­sos Coe­lho che adotta misure per ridurre diritti e retri­bu­zioni in nome della cre­scita soste­ni­bile, dall’altra una corte costi­tu­zio­nale che uno via l’altro boc­cia buona parte di quei prov­ve­di­menti e, infine, un’economia che ad ogni allen­ta­mento della morsa auste­ri­ta­ria riprende a crescere.

Il nuovo epi­logo è di venerdì scorso quando, in seguito a una richie­sta di con­trollo di costi­tu­zio­na­lità da parte dei par­titi dell’opposizione con­tro 4 prov­ve­di­menti dell’Orça­mento do Estado 2014 (Oe 2014), il Tri­bu­nale Costi­tu­zio­nale (Tc) accetta il ricorso per ben 3 dei 4 arti­coli e ne sta­tui­sce l’abrogazione imme­diata. Dei tre, uno, il 33, ha un impatto e un’importanza cen­trale, per­ché archi­trave dell’intero pro­cesso di ridu­zione del defi­cit voluto dalla Troika e con­di­viso ampia­mente dall’esecutivo: quello della «ridu­zione remu­ne­ra­to­ria» dei fun­zio­nari pubblici.

Una que­stione che viene da lon­tano, certo, per­ché le «tem­po­ra­nee» «ridu­zioni remu­ne­ra­to­rie» del 3,5 e 10%, appli­cate sui red­diti a par­tire dai 1500 euro erano già entrate in vigore fin dal 2011. Tut­ta­via, con l’articolo 33 dell’Oe 2014, il governo Coe­lho ha voluto allar­gare ulte­rior­mente sia il campo di appli­ca­zione, abbas­san­dolo fino ai red­diti di 675 euro, sia le ali­quote, accre­sciute fino al 12%.

La sen­tenza abro­ga­tiva dell’articolo 33 emessa dal Tc si basa su di un prin­ci­pio con­si­de­rato inde­ro­ga­bile: il diritto fon­da­men­tale dei cit­ta­dini a rice­vere la pro­pria remu­ne­ra­zione, un diritto vio­la­bile esclu­si­va­mente nel caso in cui il «bene costi­tu­zio­nale» possa risul­tarne altri­menti com­pro­messo e, quindi, da inten­dersi come stret­ta­mente tem­po­ra­neo. Nell’interpretazione dei giu­dici, e con­tra­ria­mente a quanto riba­dito dal governo, dopo 4 anni tali tagli sono da con­si­de­rarsi per­ma­nenti e quindi non con­gruenti alla costi­tu­zione. Que­sto signi­fica che da giu­gno gli sti­pendi pub­blici tor­ne­ranno a essere quelli che erano nel 2010 e, fatti i cal­coli, quella che si apre nei conti è una vora­gine di ben 1,2 miliardi. Ora la palla passa nel campo del governo ed è pro­ba­bile che ver­ranno annun­ciati ulte­riori giri di vite per rea­gire a quella che il primo Mini­stro ha defi­nito eufe­mi­sti­ca­mente come un’«enorme avversità».

Se dalle ele­zioni euro­pee non è arri­vata la dele­git­ti­ma­zione defi­ni­tiva con­tri i par­titi di centro-destra da tre anni arte­fici di una per­versa e con­trad­di­to­ria dia­let­tica, que­sta è arri­vata da parte dei giu­dici di Palá­cio Rat­ton. Dal testo della sen­tenza emerge una bat­tuta di arre­sto non solo rispetto a 3 dei 4 prov­ve­di­menti oggetto di scru­ti­nio, ma anche, e soprat­tutto, per un intero impianto poli­tico che com­pro­met­te­rebbe l’idea di giu­sti­zia che l’Europa ha sem­pre mostrato di volere difen­dere. I giu­dici hanno ricor­dato che il prin­ci­pio di ugua­glianza e pro­por­zio­na­lità non è dero­ga­bile e che ci sono delle linee rosse che non pos­sono essere oltre­pas­sate, con­fini sta­tuiti in una det­ta­glia­tis­sima costi­tu­zione di stampo antifascista.

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