by redazione | 17 Giugno 2014 12:17
Un presidente di centro-destra eletto con i voti della sinistra. In questo modo l’ha spuntata, in Colombia, Manuel Santos, promosso domenica al secondo turno con il 50,95% delle preferenze contro il 45,02% ottenuto dal suo avversario, Oscar Ivan Zuluaga. Un presidente «per la pace», ha insistito durante una campagna elettorale prevalentemente centrata sulla possibilità di portare a soluzione politica il cinquantennale conflitto armato. E gli elettori hanno risposto. Intanto si sono recati alle urne in percentuale maggiore che al primo turno. Il 25 maggio l’astensione era stata di oltre il 60% (un record per le presidenziali). Questa volta, l’affluenza ha raggiunto il 47,98%, e i 4,5 milioni di voti in più hanno consentito a Santos di superare il suo avversario, che lo aveva battuto per 458.156 voti.
Manuel Santos, 62 anni, è in carica dal 2010. Allora aveva vinto con l’appoggio dell’ex presidente Alvaro Uribe, di cui è stato ministro della Difesa e di cui ha condiviso le politiche di guerra e i progetti neoliberisti. Oggi, Uribe è il suo più acerrimo avversario, ha spinto la campagna di Zuluaga (suo ex ministro dell’Economia) «come fosse la sua» e ora promette battaglia: in Parlamento e soprattutto al Senato, dove il suo Centro democratico ha il 20% dei seggi.
Difficile, in questo contesto e visto il progetto di paese che Santos sostiene con il Partido della U e quello Liberale, credere alle parole che ha pronunciato subito dopo la sua rielezione: «È l’inizio di una nuova Colombia con più libertà e giustizia sociale», ha detto. Difficile che la cordata di grandi imprenditori e i padrini nordamericani consentano di allentare la morsa sui contadini e sui ceti popolari impoveriti dalle politiche neoliberiste. C’è però del vero in un’altra parte del suo discorso: «È stata un’elezione diversa — ha affermato Santos -. Non era in gioco il nome di un candidato, ma una rotta per il paese».
Ha contato l’appoggio di Clara Lopez, ex candidata presidenziale per il Polo e quello della Union patriotica, che ha raccolto consensi nell’ambito delle organizzazioni sociali e dei movimenti, anche indigeni. Determinante la mobilitazione di Gustavo Petro, sindaco della capitale Bogotà (la seconda carica politica per importanza). Insieme a un arco di associazioni e note personalità di sinistra, Petro ha creato il Frente Amplio, con l’obiettivo di appoggiare la candidatura di Santos, ma anche di «difendere gli obiettivi del processo di pace».
Da 18 mesi, Santos ha iniziato il dialogo con la guerriglia marxista delle Forze armate rivoluzionarie colombiane, che questo mese ha compiuto mezzo secolo di vita. Le trattative si stanno svolgendo a Cuba, sotto l’egida del Venezuela e della Norvegia, e hanno già portato a importanti accordi sui punti principali dell’agenda di dialogo. L’ultimo, riguarda la partecipazione delle vittime del conflitto ai tavoli di pace. Restano da discutere i termini per l’applicazione degli accordi le forme del rientro in politica per gli ex guerriglieri. Poco prima del secondo turno, Santos ha anche confermato l’avvio di «un dialogo esplorativo» con la guerriglia guevarista dell’Esercito di liberazione nazionale (Eln), la seconda del paese, anch’essa avviata a compiere cinquant’anni a luglio. I colloqui si stanno svolgendo in Ecuador, ha confermato il presidente Rafael Correa, probabilmente con l’apporto del Brasile.
Dal vertice del G77 più Cina, che si è svolto in Bolivia, diversi capi di stato hanno inviato le congratulazioni a Santos, con chiari riferimenti al possibile buon esito del processo di pace: «Il popolo colombiano ha scelto il cammino della pace, che continueremo ad appoggiare — ha detto il presidente venezuelano, Nicolas Maduro -. Ha perso chi ha voluto utilizzare un candidato presidenziale per fare una campagna contro il nostro paese», ha aggiunto riferendosi ai comizi di Zuluaga contro «il castro-madurismo». In caso di vittoria, il candidato della destra uribista aveva promesso la rottura delle relazioni con il Venezuela, la cui frontiera è teatro di traffici di ogni genere che alimentano — secondo il governo bolivariano — la «guerra economica» contro il socialismo. Un ex ambasciatore Usa in Colombia è peraltro al centro di un’inchiesta su piani eversivi, in pieno corso a Caracas. Il governo Santos è invece intenzionato a mantenere la presenza nella commissione della Unasur, inviata per mediare tra il governo Maduro e l’opposizione venezuelana, sul piede di guerra dal 12 febbraio.
La destra uribista promette di frapporre ogni genere di ostacolo a una possibile soluzione politica al conflitto armato e intende proseguire sulla linea dura: quella del paramilitarismo, degli assassinii mirati (che con Santos sono comunque aumentati in quest’ultimo anno) e dei “falsi positivi” (uccisione di persone qualunque, fatte passare per “terroristi”). A nome dei settori storicamente esclusi e perseguitati, le Farc chiedono un cambio sostanziale di indirizzo, sancito da un’assemblea costituente. Un percorso che metta al centro profonde riforme strutturali e una nuova sovranità, nel cammino intrapreso dai paesi socialisti dell’America latina. Un cambiamento tutto in salita, ma che sta rimettendo in moto le forze sane del paese. E i movimenti che per questo hanno appoggiato un uomo della destra, sono pronti a dare battaglia.
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