by redazione | 15 Giugno 2014 17:02
Frontiere chiuse, silenzio stampa e divieto di consumare alcolici nei luoghi pubblici (con qualche disappunto per i tifosi del mondiale che hanno sostenuto i colori nazionali nella partita contro la Grecia). La Colombia arriva così alle presidenziali di oggi. Se la giocano, al secondo turno, il presidente in carica, Manuel Santos, che corre per il Partido de la U e Oscar Ivan Zuluaga, delfino dell’ex presidente Alvaro Uribe (2002–2010), candidato dal Partido Centro democratico. Al primo turno del 25 maggio, Zuluaga ha preso più voti di Santos (29,3% contro il 25,7). L’astensione ha superato il 60%, cifra record per una presidenziale.
Benché i sondaggi più titolati prevedano un risultato al fotofinish, Santos ha dichiarato che conta di superare il suo avversario di almeno 8–10 punti. Vero è che ha ricevuto appoggi significativi, sia nei settori di suo immediato riferimento (borghesia e 150 imprenditori), sia nel campo della sinistra e dei movimenti indigeni.
Lo scontro fra i due è tutto di segno neoliberista, entrambi sono creature di Uribe, l’attuale presidente è stato suo ministro della Difesa. A determinare il merito, è stata però la diversa posizione sul processo di pace. Dal 18 dicembre dell’anno scorso, Santos sta trattando all’Avana con la guerriglia marxista delle Forze armate rivoluzionarie colombiane (Farc). Dopo il primo turno, ha amplificato gli accordi raggiunti su quasi tutta l’agenda in cinque punti. E ha dato anche un altro importante annuncio: anche i colloqui in corso con i guevaristi dell’Esercito di liberazione nazionale (Eln) sono a buon punto.
Il presidente dell’Ecuador, Rafael Correa, ha confermato di aver agevolato le trattative, ospitando le parti nel suo paese. A facilitare invece il primo avvio era stato il Venezuela di Hugo Chavez, insieme alla Norvegia e a Cuba. Santos ha anche incassato una ulteriore tregua unilaterale dichiarata dalle Farc fino alla fine di questo mese.
Una «tigre di carta» lo ha però definito Uribe, gettando in campo altri veleni e colpi bassi. Santos — ha detto — avrebbe voluto lasciare nella giungla la ex deputata franco-colombiana Ingrid Betancourt, liberata il 2 luglio del 2008 dopo essere stata a lungo nelle mani delle Farc.
Al primo turno, la campagna è stata marcata dagli scandali, alimentati reciprocamente dal campo dei due candidati. Un membro della squadra di Zuluaga è stato accusato di aver intercettato attraverso un hacker la corrispondenza di Santos e di aver fatto spiare i partecipanti al processo di pace. Un consigliere presidenziale, venezuelano, costretto a dimettersi con l’accusa di aver intascato tangenti dalla mafia, il tutto condito da dichiarazioni al vetriolo orchestrate da Uribe, che conosce bene i suoi ex.
Santos ha anche ottenuto l’appoggio di una formazione politica, il Frente amplio, ideata recentemente per appoggiare e difendere il processo di pace e animata dalle cerchie del sindaco di Bogotà, Gustavo Petro. In suo favore, anche i rappresentanti di 150 organizzazioni di educatori, sul piede di guerra dall’estate scorsa contro privatizzazioni e tagli al pari di altre categorie sociali colpite dalle politiche neoliberiste. Ormai preso nella sindrome del ramoscello d’ulivo, Santos è arrivato a dichiarare che se il suo avversario «rettifica il modo di pensare e quel che dice sul processo di pace» sarà «incantato» di prenderlo nel suo secondo governo. E ha mandato messaggi distensivi anche a Uribe.
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