by redazione | 8 Giugno 2014 20:14
ROMA — L’Italia parte da più lontano. Il taglio dei tassi deciso giovedì dalla Bce impiegherà forse più tempo a fare effetto, e si trasmetterà forse con meno intensità che altrove. Perché da noi il denaro costa più caro. Per tutti: per le famiglie, per i consumatori e per le imprese, facendo così da deterrente per prestiti e mutui e peggiorando la già bassa competitività dell’industria. Le cifre del gap italiano, le ha indicate la Banca d’Italia nella sua ponderosa relazione annuale.
Le famiglie innanzitutto, e quando si parla di prestiti alle famiglie, nel nostro Paese si intendono soprattutto i mutui per l’acquisto delle abitazioni e, in misura minore, il credito al consumo. Ebbene negli ultimi mesi le cose stanno migliorando: le banche hanno ricominciato a pubblicizzare le loro offerte, facendosi concorrenza, e i mutui che erano crollati nel 2013 hanno ripreso ad aumentare con costi in diminuzione. Tale calo però non è stato finora troppo significativo. Nel confronto con gli altri Paesi, infatti, gli spread applicati dalle banche rispetto ai tassi presi a riferimento — Euribor e Irs — rimangono piuttosto alti, in particolare per i contratti a tasso fisso: lo scorso marzo erano al 2,8%, il doppio rispetto all’area dell’euro, cioè l’1,4% in più. Che non è poco su un tasso che in Italia si aggira di poco sotto al 5%. Il divario è invece più basso, meno di mezzo punto, lo 0,4%, per il mutuo a tasso variabile che rappresenta — a buona ragione vista la differenza di trattamento — il 78% del totale dei contratti (73% nel 2012) contro il 27% dell’area euro. Certo, restano i rischi di un aumento della rata in caso di rialzi ma la differenza dei tassi sembra giustificarli.
Ancora più alto per gli italiani è il costo dei prestiti personali e del credito al consumo: il tasso di interesse effettivo, che era sceso nel 2013 all’8,8%, è aumentato quest’anno al 9,5%, circa il 2% in più del resto di Eurolandia. Un livello decisamente alto che banche e società finanziarie spiegano con la maggiore incidenza dei mancati rimborsi.
Quanto alle imprese, i tassi di interesse applicati dalle banche italiane sui nuovi prestiti, pari nella media al 3,5%, si mantengono più alti di quelli, per esempio, della Germania e della Francia di circa l’1,2%-1,3%, secondo le rilevazioni relative a marzo 2014. All’interno di questa media il divario è più marcato per i prestiti di minore importo e può variare anche di molto per quelli a breve termine o per le aziende con bilanci meno equilibrati, che possono pagare anche 240 punti base in più delle aziende più solide.
Questo vuole dire che alle imprese — soprattutto alle grandi — converrebbe farsi prestare i soldi da una banca tedesca o francese. Ma anche che le imprese tedesche o francesi, che già pagano di meno l’energia elettrica, possono essere più competitive delle italiane. L’inasprimento delle condizioni si è poi accompagnato ad una forte riduzione dei finanziamenti concessi alle imprese che nel 2013 è stata pari al 5%, con un’attenuazione nei primi mesi di quest’anno(-4,2% a marzo).
Le imprese dunque escono penalizzate dal confronto. Le banche però spiegano che fanno pagare più caro il denaro perché a loro volta si approvvigionano a tassi più alti. Così come il Tesoro si assume un maggior premio di rischio, rispetto per esempio ancora alla Germania, per collocare i suoi titoli sui mercati. Lo spread , cioè il differenziale tra i rendimenti dei titoli italiani e tedeschi, rende bene la situazione di disparità. Alle difficoltà di raccolta, si aggiungono — spiegano ancora le banche — sia il calo degli investimenti e quindi della domanda di finanziamenti da parte delle imprese, sia, soprattutto, il timore di non vedersi rimborsare i prestiti: in marzo il flusso annualizzato di nuove sofferenze è sceso al 4,1% dei prestiti, dal picco del 4,8% raggiunto nel settembre 2013. L’ammontare di finanziamenti deteriorati, cioè di difficile rientro, pari a 239 miliardi, ha raggiunto il 25,9% del totale a marzo del 2014. Anche per le famiglie l’incidenza dei prestiti in temporanea difficoltà è progressivamente aumentata dal 2,4% a fine 2012 al 2,8% nel primo trimestre del 2014; quella delle sofferenze ha raggiunto il 6,6% a marzo del 2014, dal 5,8% di fine 2012. Il peso del totale dei finanziamenti deteriorati (scaduti, incagliati, ristrutturati e delle sofferenze), pari al 10,3% nel 2013, è più elevato (24,2 %) per la categoria che include anche i mutui accesi per motivi professionali e per pagare altri debiti, seguiti da quelli per il consumo. C’è da dire infine che nel confronto con altre economie avanzate, in Italia le banche hanno un ruolo più rilevante di quello degli altri intermediari e dei mercati dei capitali. Complessivamente, a fine 2013, il credito bancario a famiglie e imprese superava 1.400 miliardi di euro, pari al 91% del Prodotto interno lordo.
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