La bolla dei commissari nelle società in crisi

La bolla dei commissari nelle società in crisi

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Nel Paese dei paradossi irraggiungibili capita che una legge concepita per salvare grandi imprese in crisi serva anche per evitare il crac di un sindacato. Ecco allora che nell’elenco dei gruppi industriali ammessi alla cosiddetta procedura di amministrazione straordinaria fa capolino lo Ial Cisl Piemonte. È un ente per la formazione professionale del sindacato cattolico ora guidato da Raffaele Bonanni. Alimentato da commesse pubbliche, era arrivato a superare i 300 dipendenti e ha praticamente sempre avuto i bilanci in rosso: fino ad arrivare sull’orlo del fallimento dopo la mazzata di una megacartella esattoriale di Equitalia. Come evitare il crac? Semplicissimo: chiedendo al ministero dello Sviluppo la possibilità di entrare a far parte della famiglia delle grandi imprese in amministrazione straordinaria. Richiesta regolarmente accettata. Anche se la cosa dà oggettivamente da pensare.
In principio era la legge Prodi. L’aveva voluta l’allora responsabile dell’Industria nel brevissimo periodo della sua permanenza al ministero (nemmeno quattro mesi) per consentire alle grandi imprese in difficoltà di evitare il fallimento immediato tentando il risanamento con una gestione commissariale. Fu approvata il 3 aprile 1979, giorno successivo allo scioglimento delle Camere. Era un momento cruciale per il Paese: non soltanto per la crisi che attanagliava le industrie e l’inflazione galoppante.
Durò un ventennio. Poi nel 1999 le regole vennero aggiornate con la Prodi bis e quattro anni più tardi, quando la Parmalat di Calisto Tanzi fece il botto, arrivò anche la cosiddetta legge Marzano.
Ma certo chi aveva inventato quel meccanismo mai avrebbe immaginato che cosa avrebbe prodotto. Stupisce innanzitutto il numero dei «grandi» gruppi industriali, in un’Italia nella quale è continuo il lamento per il nanismo del nostro apparato produttivo, che sono finiti in amministrazione controllata. Ce ne sono attualmente, secondo i dati del ministero dello Sviluppo, 123. Per un totale di 442 società.
Questo perché le norme sono state piegate, con il fattivo contributo della politica, in modo tale da estendere le procedure speciali previste per i gruppi industriali veri e propri come Parmalat, Coopcostruttori, Merloni, a una pletora di soggetti che con la grande industria c’entrano davvero poco o nulla. Gli enti ospedalieri, per esempio. È il caso della Congregazione Ancelle della Divina Provvidenza, commissariata lo scorso anno con la legge Marzano. O le società pubbliche per la raccolta dei rifiuti, come il Consorzio Gaia, di proprietà di una cinquantina di comuni laziali da Frascati a Zagarolo, di cui ora si occupa il commissario Andrea Lolli. Oppure i vigilantes. Pensiamo all’Istituto di vigilanza dell’Urbe, affidato alle cure dell’ex presidente della Commissione per la vigilanza sui fondi pensione Lucio Francario. E pensiamo all’Istituto di vigilanza partenopea combattenti e reduci, una società a responsabilità limitata che si è meritata non uno, ma ben tre commissari nominati dal ministero. Fra cui due figli d’arte: Andrea Carli, figlio dell’ex Governatore di Bankitalia e ministro Guido Carli, e Antonio Guarino, figlio del grande giurista ed ex ministro Giuseppe Guarino.
Perché non sempre per ogni procedura c’è un singolo commissario. Anzi. La moltiplicazione degli incarichi è uno degli aspetti della modernizzazione delle amministrazioni straordinarie. Per 111 procedure, considerando che per una dozzina delle 123 ancora aperte non si è evitato il fallimento, ci sono 195 incarichi di commissario. In quarantadue ne hanno tre: e non dipende certo dalle dimensioni del gruppo. Tre commissari si occupano della Ceramica sanitaria del Mediterraneo. Tre dell’Alitalia. Tre della Valtur. Tre di Giacomelli. Tre di Tecnosistemi. Tre della Carrozzeria Bertone… Tre si curano pure dei destini del gruppo Arquati, commissariato dieci anni fa. Fino al 2007 ce n’era uno solo. Poi, quando forse non restava che chiudere davvero le tende, nella sorpresa generale il ministero lo sostituì con tre professionisti. All’epoca uno di loro, Franco La Gioia, era componente del consiglio della magistratura militare. Un secondo, Alberto Falini, è stato nominato ora nel collegio sindacale dell’Eni. Da sette anni il commissariamento del gruppo Arquati si trascina incomprensibilmente. Come del resto tanti altri. Perché le procedure Prodi e Marzano sono spesso un gran bel viatico per quanti se ne occupano, più che per i creditori. E non potrebbe essere diversamente, visto che la retribuzione dei commissari è la prima cosa che va pagata. Di solito molto bene: in proporzione al passivo, e più il passivo è grande, più il compenso sale. Così si favoleggia di incassi plurimilionari per il commissario di Parmalat Enrico Bondi, mentre in tre anni all’Alitalia l’ex ministro Augusto Fantozzi avrebbe portato a casa, ha calcolato il Fatto Quotidiano , sei milioni di euro.
Il loro compito, certo, non è sempre facile. I commissari devono verificare per prima cosa se le imprese sono risanabili, cercando di preservare la continuità aziendale. In caso contrario, si vende per pagare i creditori. Ed è qui che possono accadere cose a dir poco curiose, come nella vicenda assolutamente emblematica della marchigiana Antonio Merloni. Valutata dai periti del tribunale 50 milioni, un bel giorno la fabbrica viene venduta a 10 milioni: applicando alla cifra stabilita dalla perizia un badwill , cioè il valore negativo corrispondente al costo del personale che l’acquirente si impegna a non licenziare per almeno due anni. Ma i creditori fanno ricorso e il tribunale di Ancona gli dà ragione. A quel punto sbuca in Parlamento qualche mese fa un emendamento al decreto Destinazione Italia con il quale si stabilisce che il valore fissato dalla perizia, nei casi di vendita commissariale, è solo “orientativo” e non tassativo. E chi lo firma? Il deputato democratico Paolo Petrini, marchigiano di Porto San Giorgio ed eletto nelle Marche. Anche se non basta: perché nonostante quella legge «ad fabricam» i giudici d’Appello confermano l’annullamento del contratto.
Chi crede poi che a 195 incarichi corrispondano altrettante persone fisiche, si sbaglia. Perché i commissari non sono che la metà. Con incarichi che si sovrappongono agli incarichi. Qualche esempio? Daniele Discepolo ne ha tre. Come Renzo Bellora, Renato Nigro, Antonio Passantino, Francesco Fimmanò, La Gioia, Falini, Francario… Oreste Fasano e Giorgio Zanetti, quattro. Stefania Chiaruttini tocca quota cinque.
Non che manchino nomi noti ben oltre le cronache specialistiche. Dell’ex presidente Covip Francario abbiamo detto. Ma scavando negli elenchi salta fuori anche il nome dell’ex presidente della commissione Trasporti della Camera Ernesto Stajano, che nella sua carriera politica ha girovagato fra Patto Segni, Rinnovamento italiano e Forza Italia. E si scopre che c’è pure Giancarlo Innocenzo Botti, attuale presidente di Invitalia, ex commissario Agcom ed ex sottosegretario alle Comunicazioni del governo Berlusconi. Fa il commissario dell’agenzia di recapiti Defendini. È stato nominato nel luglio 2011 dal suo collega di partito (e di passione televisiva) Paolo Romani, allora ministro dello Sviluppo. Uscito da Palazzo Madama un annetto fa, ha avuto un incarico anche l’ex senatore del Pdl Maurizio Castro: commissario della Acc Compressors.


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