by redazione | 18 Giugno 2014 11:08
Gli avvoltoi incombono sull’ Argentina. A quasi 12 anni dalla crisi che, tra il 2001–2002, portò il paese in default, un nuovo pericolo grava sull’economia e sulle scelte della presidente Cristina Fernandez. Un’eredità di quel periodo, quando il paese decise di ristrutturare il proprio debito pubblico. Ora, una sentenza della Corte suprema degli Stati uniti ha respinto il ricorso di Buenos Aires in merito ad alcuni fondi speculativi (hedge fund) che avevano rifiutato di negoziare il rimborso. Tra questi, principalmente Aurelius Capital e Elliott Management. L’Alta corte Usa ha confermato la decisione dei tribunali minori che hanno imposto all’ Argentina di corrispondere ai «fondi avvoltoi» 1,3 miliardi di dollari, interessi comprensi.
La scadenza è a breve, Buenos Aires deve corrispondere una prima parte del dovuto (pari a 13 miliardi) ai possessori di bond che hanno a suo tempo accettato la trattativa (con scadenza 2033), entro fine giugno. E i creditori potrebbero richiedere il sequestro dei fondi che il paese deve trasferire a New York per onorare il suo debito già ristrutturato.
Il caso torna dunque al tribunale precedente, ovvero nelle mani del giudice Thomas Griesa che ordinò di corrispondere i pagamenti agli «avvoltoi». Per il governo di Cristina Fernandez, si tratta di una decisione che viola la sovranità del paese, e i fondi avvoltoi – capitale investito in un paese che necessita di aiuto economico per poterlo in seguito recuperare nella sua totalità e con gli interessi attraverso contenziosi giuridici – rappresentano un’estorsione. «L’ Argentina – ha dichiarato la presidente in un lungo discorso televisivo – onorerà il proprio debito ristrutturato, ma non accetterà estorsioni: non vogliamo essere complici di chi è disposto a fare affari sulla miseria della gente». Intanto, gli avvocati stanno cercando soluzioni alternative.
Fernandez ha detto di aver già disposto il pagamento dei 930 milioni di dollari pattuiti, eventualmente in una destinaziona diversa da quella di New York, per evitare eventuali azioni da parte del giudice Griesa. Ha poi ripercorso le origini del debito estero, accumulato in modo esponenziale a partire dal colpo di stato militare del 1976. Una situazione – ha detto — «che ha messo le ganasce all’economia argentina», ha distrutto l’apparato produttivo e la coesione nazionale e ha esposto il paese alla povertà, alla miseria, alla disoccupazione e alla marginalità.
E con il ritorno alla democrazia non è andata meglio: «durante i primi anni ’80 e poi nei ’90 — ha insistito la presidente — con il cosiddetto regime di convertibilità, con la finzione che un peso fosse uguale a un dollaro, il paese si indebitò in maniera terribile». Le due successive operazioni per rinegoziare il debito (nel 2000 e nel 2001) non furono — ha poi ironizzato — che magheggi fra il Fondo monetario internazionale e alcuni creditori, senza tornaconto per il paese. E così, mesi dopo, nell’ Argentina schiacciata dai continui piani di aggiustamento strutturale imposti dall’Fmi, «scoppiò il default del debito sovrano più grande della storia, con un debito pari al 160% del Pil, una disoccupazione del 25% e la povertà al 50%».
Una difesa a spada tratta della sovranità e delle scelte economico-finanziarie decise prima dal governo di Nestor Kirchner e poi dal suo e già criticate a più riprese dall’Fmi: che accusa Fernandez di truccare le statistiche sul livello dell’inflazione e della crisi economica. «Non ci sarà default», ha assicurato la presidente che, già in Twitter aveva rispedito al mittente i giudizi dell’Fmi: «Vi siete arricchiti rovinando il mondo — aveva scritto — Dov’era il Fondo che non ha avvertito sulle crisi anche quando sono scoppiate, non bolle, ma palloni aerostatici finanziari?». E ancora: «In dieci anni, e senza finanziamenti Fmi, il Pil è cresciuto del 90%, oggi il paese ha il 6,9% di disoccupazione e porta avanti ll’inclusione sociale».
Francia, Messico, Brasile e un gruppo di parlamentari britannici hanno cercato di perorare in precedenza la causa argentina, rilevando l’importanza del contenzioso a livello globale. E in molti speravano che, prima di chiudere la vertenza, si sarebbe richiesto un intervento di Obama.
Invece l’Alta Corte ha deciso per conto suo: gettando in faccia al governo argentino l’assenza di sovranità giuridica accumulata nella decade degli anni ’80 in favore di paesi del centro in materia di emissione del debito. Un meccanismo messo in campo a metà degli anni ’70 in tutta l’America latina, alimentato dal riciclaggio dei petrodollari da parte delle grandi banche internazionali che hanno imposto ai paesi creditori una copertura giudiziaria straniera in cambio del rifinanziamento del debito.
Ma oggi la situazione è cambiata. Un vento di sovranità spira in America latina. L’ Argentina ha chiesto aiuto ai paesi riuniti in Bolivia per il vertice del G77 più Cina. Un lungo capitolo della dichiarazione finale riguarda proprio le contromisure da prendere, in modo concordato, per evitare le estorsioni degli avvoltoi. «I processi di ristrutturazione del debito — dice — devono avere come elemento centrale la definizione della capacità reale di pagamento, in modo che non si colpisca la crescita economica né la realizzazione degli Obiettivi di sviluppo del Millennio, gli Obiettivi di sviluppo sostenibile e l’agenda per il 2015. Ribadiamo la necessità urgente che la comunità internazionale esamini le diverse opzioni per stabilire un meccanismo internazionale di soluzione al problema del debito: che sia efficace, equo, duraturo, indipendente e orientato allo sviluppo».
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