Alitalia, sessant’anni di guai

Alitalia, sessant’anni di guai

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Dopo tanto penare, abbiamo forse tro­vato qual­cuno, la Eti­had, che accetta di farsi carico dei guai dell’ Alitalia e del peso della sua non certo bril­lante sto­ria. Que­sto peral­tro impo­nendo pesan­tis­sime con­di­zioni, un po’ peg­giori di quelle messe a suo tempo in campo da Air France — quando Ber­lu­sconi, con un rigur­gito di patriot­ti­smo elet­to­rale, disse di no, con quello che ne è seguito. Si chiude così una sto­ria penosa: la cosid­detta “nostra” com­pa­gnia di ban­diera è stata fonte di guai e di disa­stri forse per ses­santa anni, solo con qual­che breve periodo di respiro. L’ultimo bilan­cio in utile che si ricordi è dell’inizio degli anni novanta; dopo si regi­stra solo desolazione.

Gui­data di fre­quente da mana­ger inca­paci ma obbe­dienti ai poli­tici di turno, l’impresa, che ha pro­dotto nel corso della sua sto­ria tante per­dite di bilan­cio e assun­zioni di favore e qual­che crisi di depres­sione tra i dipen­denti coscien­ziosi, è, tra l’altro, una dimo­stra­zione lam­pante del fatto che dif­fi­cil­mente il nostro paese è oggi in grado di gestire con risul­tati accet­ta­bili una grande società di servizi.

Il set­tore del tra­sporto aereo
Negli ultimi anni si sono regi­strati grandi muta­menti nella scena del tra­sporto aereo mon­diale. La gran parte della cre­scita della domanda com­ples­siva si va sem­pre più indi­riz­zando verso le aree emer­genti, in par­ti­co­lare verso le regioni dell’Asia-Pacifico e del Medio Oriente. In tale qua­dro le com­pa­gnie occi­den­tali hanno indi­vi­duato la neces­sità di ristrut­tu­rarsi.
L’industria sta­tu­ni­tense ha sostan­zial­mente com­ple­tato il pro­cesso di con­so­li­da­mento e le otto grandi com­pa­gnie di dieci anni fa stanno cedendo il passo a quat­tro gruppi sol­tanto, ciò che signi­fica anche mag­giore capa­cità di con­trollo dei prezzi attra­verso intese oli­go­po­li­sti­che. In Europa soprav­vi­vono molte decine di com­pa­gnie più o meno indi­pen­denti. I bilanci delle imprese ne sof­frono anche per­ché il mer­cato del con­ti­nente è depresso e per di più con­qui­stano uno spa­zio cre­scente le com­pa­gnie low-cost. Le tre grandi com­pa­gnie del con­ti­nente, Luf­thansa, AirFrance-Klm, Iag, stanno cer­cando di ristrut­tu­rare in par­ti­co­lare le loro ope­ra­zioni di corto rag­gio, le più espo­ste alla con­cor­renza, e pen­sano comun­que più a tagliare i costi che a assor­bire nuove aziende.

L’ Alitalia
L’ Alitalia, nel corso del 2012, ha tra­spor­tato 24,3 milioni di pas­seg­geri, con un fat­tu­rato di 3,6 miliardi di euro e una per­dita di 280 milioni, dopo 327 milioni di disa­vanzo nel 2009, 168 nel 2010, 69 nel 2011. Il 2013 vede un calo dei pas­seg­geri sino a 23,3 milioni e un’ulteriore per­dita di bilan­cio. L’indebitamento finan­zia­rio netto era alla fine del 2013 pari a poco più di 1 miliardo, con una flotta di 125 aerei. 14.000 circa i dipendenti.

L’azienda si trova in una pes­sima posi­zione stra­te­gica e senza grandi spe­ranze di uscirne, stretta tra un mer­cato dome­stico in cui ha perso forti quote a causa della con­cor­renza dei low-cost e dell’alta velo­cità, un set­tore dei voli inter­na­zio­nali a corto rag­gio in cui di nuovo si trova davanti a una con­cor­renza feroce e quello a rag­gio lungo, più pro­fit­te­vole, almeno ancora per qual­che tempo, nei quali è però poco pre­sente. Inol­tre essa regi­stra una pesante ere­dità in ter­mini di effi­cienza ope­ra­tiva e di clima organizzativo.

Le società degli emi­rati
Uno dei fatti nuovi degli ultimi anni nel set­tore del tra­sporto aereo è stato quello della rapida cre­scita dei tre vet­tori degli Emi­rati Arabi Uniti, Emi­ra­tes, Qatar Air­ways, Eti­had. Tale area geo­gra­fica del pia­neta ha basato nei secoli la sua forza eco­no­mica sulla col­lo­ca­zione come inter­me­dia­ria nei com­merci tra l’Asia e l’Europa; e que­sto sin dai tempi dell’impero romano e anche prima. Le società indi­cate, oltre a ripren­dere oggi tale idea, non man­cano certo di risorse finan­zia­rie per por­tarla avanti. Va peral­tro sot­to­li­neato che l’economia dei paesi del Golfo cre­sce, per la gran parte, sfrut­tando in maniera ver­go­gnosa il lavoro degli immi­grati, ma que­sta è un’altra storia.

Noi invece, che pure per diversi secoli era­vamo vis­suti di nuovo come inter­me­diari dei traf­fici tra l’Asia e l’Europa, non abbiamo pen­sato a orga­niz­zare i nostri porti in modo tale da acco­gliere almeno una parte con­si­stente dell’enorme movi­mento delle navi mer­can­tili che si svolge oggi tra il nostro con­ti­nente e la Cina. A cia­scuno il suo.

Eti­had Air­ways è la più pic­cola delle tre com­pa­gnie aeree dell’area, ma certo non la meno dina­mica. La società ha nel 2013, un anno record, tra­spor­tato quasi 12 milioni di pas­seg­geri. Essa per­se­gue una stra­te­gia di ingresso nei mer­cati basan­dosi su di una serie di part­ner­ship. Attual­mente è pre­sente in Air Ber­lin (29% del capi­tale), Air Sei­chel­les (40%), Vir­gin Austra­lia (20%), Aer Lin­gus (3%), in Air Ser­bia (49%), nell’indiana Jet Air­ways (24%), nella sviz­zera Dar­win Air­li­nes (33,3. La sua flotta conta ormai 95 aerei, ma ne ha ordi­nati altri 213).
Per quanto ci riguarda più diret­ta­mente, la stra­te­gia di Eti­had sem­bra essere quella di cer­care di costruire un forte rete in Europa, acqui­sendo il con­trollo di diversi hub locali, col­le­gan­doli tra di loro e con il pro­prio hub di Abu-Dhabi, da cui par­tono i voli inter­con­ti­nen­tali per l’Asia e per le Ame­ri­che. Si parla in par­ti­co­lare di una legame orga­nico e di una divi­sione del lavoro su base ter­ri­to­riale tra Eti­had, Air Ber­lin e Alitalia, cosa che avrebbe appa­ren­te­mente molto senso.

Chi brinda e chi no
Il governo Renzi si attri­bui­sce in que­sti giorni, con grande squil­lar di tam­buri media­tici, il merito di avere por­tato avanti la que­stione, ma, in realtà, come in diversi altri casi di que­sti mesi, era stato il governo Letta ad avviarla sulla via riso­lu­tiva e chi è venuto dopo non sem­bra aver aggiunto molto.

Non saranno invece felici le orga­niz­za­zioni sin­da­cali, che si tro­ve­ranno ora a gestire, in una situa­zione di emer­genza e di ricatto, la “siste­ma­zione” di circa 2500 esu­beri e ovvia­mente ne sof­fri­ranno le casse pub­bli­che. Non saranno pre­su­mi­bil­mente con­tenti anche i sog­getti inte­res­sati a Mal­pensa, che potrebbe essere costretta a un pesante ulte­riore ridi­men­sio­na­mento; il Nord del paese si isola un po’ di più dal mondo. Né dovreb­bero sor­ri­dere molto le com­pa­gnie low-cost, per le quali si intra­ve­dono limi­ta­zioni rile­vanti all’operatività.
Non sap­piamo infine quanto saranno con­tenti i pas­seg­geri: pre­su­miamo che il livello di ser­vi­zio miglio­rerà — del resto non ci vuole molto -, ma si affac­cia il rischio di un rin­caro dei prezzi dei biglietti.

Comun­que ancora un’altra grande impresa ita­liana prende la via dell’estero: ormai è un’epidemia dopo Pirelli, Fiat-Chrysler e quanto si annun­cia a breve per Ilva, Inde­sit, ecc. Resta ormai poco.


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