Abu Mazen sulla graticola
Come e quando si concluderà la vicenda dei tre giovani israeliani scomparsi il 12 giugno in Cisgiordania nessuno lo sa. Le uniche certezze al momento sono la punizione collettiva che sta subendo larga parte della popolazione palestinese – nelle ultime ore è spirato un giovane di 24 anni, Mustafa Aslan, ferito dai soldati israeliani a Qalandiya ed è morta una anziana di 78 anni, Fatima Rushdi, colpita da infarto durante un raid dei militari nel suo campo profughi, Arroub – e il crollo d’immagine dell’Autorità nazionale palestinese e del suo presidente Abu Mazen. Perchè se è vero che le operazioni militari israeliane hanno anche lo scopo di colpire il movimento islamico Hamas (accusato da Israele del rapimento dei tre ragazzi), è ormai chiaro che da questa storia Abu Mazen esce con le ossa rotte, preso a pugni da israeliani e palestinesi. Le sue dichiarazioni a favore della cooperazione di sicurezza con l’intelligence israeliana, hanno riscosso l’approvazione delle capitali occidentali ma non hanno smussato l’aggressività dei dirigenti israeliani. Non solo, hanno provocato forte sdegno tra i palestinesi che da due settimane fanno i conti con i raid dei soldati in città, villaggi e campi profughi e sono costretti ad aggiornare l’elenco di morti e feriti.
«Abu Mazen è un mega terrorista», ha proclamato ieri Naftali Bennett, ministro e leader del partito ultranazionalista israeliano Casa ebraica. Motivo? Il governo dell’Anp garantisce sussidi ai prigionieri politici e alle loro famiglie. Non sono più leggeri i commenti che, per motivi totalmente diversi, fanno tanti palestinesi. Tra questi non pochi portano i segni delle manganellate che la polizia agli ordini di Abu Mazen ha inferto a chi è sceso in strada per protestare contro le operazioni militari israeliane.
Appena tre settimane fa il presidente palestinese godeva di una popolarità mai registrata in questi ultimi anni. La sua decisione di andare alla riconciliazione con Hamas e la determinazione con la quale ha formato un governo di unità nazionale con il movimento islamico, avevano fatto salire le sue quotazioni tra i palestinesi. Interessanti sono stati poi i successi diplomatici ha conseguito in questi ultimi tempi, dal riconoscimento statunitense ed europeo dell’esecutivo Fatah-Hamas fino alla “preghiera per la pace” con il presidente uscente israeliano, Shimon Peres, tenuta a inizio giugno in Vaticano. Uno status inedito che impensieriva non poco il premier israeliano Netanyahu costretto ad affrontare il periodo diplomaticamente più difficile del suo mandato, specie nei rapporti con gli alleati americani. Dal 12 giugno è cambiato tutto. Dopo la scomparsa dei tre giovani ebrei, Abu Mazen, sotto la pressione delle accuse israeliane, si è precipitato tranquillizzare i suoi sponsor occidentali lasciando però senza parole una larga porzione di palestinesi.
La sua credibilità è crollata. Sui social l’uomo della riconciliazione è diventato un “collaboratore” e un “traditore”. Un cartoon che gira in rete lo mostra con l’uniforme dell’esercito israeliano. «E’ molto probabile che questa reazione popolare (contro Abu Mazen) continui ancora a lungo. E in tutta sincerità non escludo che Netanyahu abbia messo in azione il suo esercito allo scopo di delegittimare l’Anp e il suo presidente», spiega Samir Awad, docente di scienze politiche all’Università di Birzeit, in Cisgiordania. Per il suo collega Naji Sharab, dell’università Al-Azhar di Gaza, «Si tratta di una operazione (israeliana) con due obiettivi: smantellare completamente l’infrastruttura di Hamas e mandare un messaggio forte all’Autorità palestinese, ossia che il suo ruolo è rivolto alla sicurezza di Israele e non quello di esercitare una sovranità». Se sarà confermato il coinvolgimento del movimento islamico nel sequestro dei tre israeliani, per Abu Mazen il quadro si complicherà ulteriormente: sarà costretto, dalle pressioni israeliane e occidentali, a rigettare l’accordo di riconciliazione con Hamas perdendo la faccia davanti agli occhi della sua gente senza per questo riottenere il pieno appoggio dei suoi sponsor internazionali. Ci guadagnerebbero solo gli islamisti e il premier israeliano Netanyahu.
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