Abc, l’esperimento democratico di Napoli

by redazione | 20 Giugno 2014 12:03

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La crisi indu­striale richiede un nuovo inter­vento pub­blico e riporta all’ordine del giorno la que­stione del governo demo­cra­tico dell’economia. Ma — come ci ricor­dano i casi di poli­ti­che sba­gliate e di cor­ru­zione — non basta dare potere e risorse a sog­getti pub­blici per risol­vere i pro­blemi: serve un con­trollo demo­cra­tico e forme di gestione rivolte a tute­lare l’interesse collettivo.

La sta­gione dei beni comuni — refe­ren­dum sull’acqua, occu­pa­zione dei tea­tri, costi­tuente per i beni comuni — ha radi­cal­mente posto in discus­sione la dico­to­mia tra pub­blico (Stato) e pri­vato (mer­cato), e in par­ti­co­lare la ridu­zione della que­stione demo­cra­tica alle isti­tu­zioni del primo. Certo, la cri­tica alla rap­pre­sen­tanza non poteva che rivol­gersi prin­ci­pal­mente alle isti­tu­zioni poli­ti­che pub­bli­che: la «ripub­bli­ciz­za­zione» dell’acqua e degli altri ser­vizi di inte­resse eco­no­mico gene­rale non può coin­ci­dere con un ritorno a un pub­blico buro­cra­tico, gerar­chico e ver­ti­cale. Ma la que­stione demo­cra­tica si pone natu­ral­mente anche nelle sedi eco­no­mi­che, e non più sol­tanto in quelle politiche.

In que­sto qua­dro ho seguito l’importante esem­pio di tra­sfor­ma­zione dalla veste pri­va­ti­stica (Spa) a quella pub­bli­ci­stica (Azienda spe­ciale) avve­nuto a Napoli, dove l’acquedotto, un ser­vi­zio a voca­zione indu­striale con fat­tu­rato ben supe­riore ai 100 milioni di euro e con un numero di dipen­denti dell’ordine del mezzo migliaio è stato defi­ni­ti­va­mente tra­sfor­mato in Azienda Spe­ciale ABC (Acqua Bene Comune) nell’aprile del 2013, pro­po­nen­dosi come modello (finora non seguito) di ottem­pe­ranza fedele al refe­ren­dum di tre anni fa.

Sul piano teo­rico, il pro­cesso non poteva essere più lim­pido e cri­stal­lino. L’Azienda Spe­ciale ai sensi del Testo unico sugli enti locali è dotata di piena auto­no­mia sta­tu­ta­ria. Lo sta­tuto è il vero Dna di ogni sog­getto eco­no­mico per­ché deter­mina i com­por­ta­menti degli ammi­ni­stra­tori, per­ciò tutto sta nell’adottarne uno coe­rente con la natura di bene comune del ser­vi­zio idrico. Lo sta­tuto di ABC dovrebbe vin­co­lare così gli ammi­ni­stra­tori (per due quinti espres­sione del «mondo ambien­ta­li­sta») ad un governo dell’acqua come bene comune, ossia ad uno spi­rito eco­lo­gico, con­te­stuale, soli­da­ri­stico, gene­ra­tivo e senza fini di lucro.

Si supera così la natura tipi­ca­mente estrat­tiva, di breve periodo, ver­ti­cal­mente azien­da­li­stica e «for pro­fit» delle Spa (indi­pen­den­te­mente dal fatto che l’azionariato sia pub­blico o pri­vato). Il bene comune ser­vi­zio idrico non è fra­zio­nato in azioni, per loro natura age­vol­mente alie­na­bili, sic­ché il valore d’uso torna a pre­va­lere strut­tu­ral­mente su quello di scam­bio e la pri­va­tiz­za­zione è dav­vero scongiurata.

Fatta que­sta scelta, occorre affron­tare il pro­blema per cui insieme allo «scopo di lucro» si rischia di per­dere i ser­vigi della sola «agen­zia» capace di misu­rare l’efficienza azien­dale, ossia «il mer­cato». È quindi essen­ziale sosti­tuire il «con­trollo del mer­cato» con «il con­trollo della par­te­ci­pa­zione», o meglio affian­care il secondo al primo, alle­stendo una sorta di par­la­men­tino dell’acqua (il Comi­tato di sor­ve­glianza) che a regime dovrebbe dotarsi dei mezzi tec­nici (per esem­pio una matrice dei beni comuni) ido­nei a garan­tire che il governo eco­lo­gico e sociale non dege­neri in col­lo­ca­mento del nipote scemo del potente di turno.

Que­sta com­bi­na­zione di sta­tuto eco­lo­gico e sociale con gover­nance fon­data sul con­trollo par­te­ci­pato dell’operare degli ammi­ni­stra­tori è sicu­ra­mente la chiave di volta del nuovo governo demo­cra­tico dell’economia di cui ABC si pro­pone come modello. Ovvia­mente, è neces­sa­rio molto lavoro teo­rico e pra­tico che non può essere por­tato avanti in soli­tu­dine, sic­ché ABC ha pro­mosso a livello nazio­nale Feder­com­mons asso­cia­zione che cerca di legare fra loro le oltre due­mila aziende di ser­vizi ancora inte­ra­mente in pro­prietà pub­blica il cui valore, dell’ordine di ben 500 miliardi (stime dell’Imf), costi­tui­sce la vera preda delle pros­sime rapaci privatizzazioni.

Infatti se a Napoli abbiamo alle­stito il par­la­men­tino dell’acqua, com­po­sto di cin­que lavo­ra­tori eletti, cin­que utenti sor­teg­giati, cin­que com­po­nenti del con­si­glio comu­nale e cin­que rap­pre­sen­tanti dei movi­menti ambien­ta­li­sti (oltre all’assessore con delega all’acqua) nulla vieta di imma­gi­nare altrove un par­la­men­tino della spaz­za­tura, uno dei tra­sporti, uno della scuola, uno della Rai, in modo da atti­rare al governo dell’azione pub­blica intesa come bene comune le migliori ener­gie della cit­ta­di­nanza attiva.

È pre­sto per valu­tare i nostri risul­tati anche per­ché come pre­ve­di­bile scon­tiamo non poca resi­stenza su diverse linee. Intanto, la ripub­bli­ciz­za­zione, ponen­dosi in con­tra­sto radi­cale con i ten­ta­tivi con­ti­nui di aggi­rare il refe­ren­dum, si ritrova come nemici i poteri finan­ziari (che cer­cano di limi­tate l’accesso al cre­dito, per for­tuna oggi assai basso), e l’informazione domi­nante, por­ta­trice di inte­ressi diret­ta­mente in con­flitto con il man­te­ni­mento dell’acqua pubblica.

Inol­tre, scon­tiamo un ritardo soprat­tutto cul­tu­rale da parte delle istanze comu­nali che sten­tano a com­pren­dere che il modello ABC lungi dal voler con­cen­trare mag­giori poteri nella poli­tica rap­pre­sen­ta­tiva, costi­tui­sce un avan­zato ten­ta­tivo desti­tuente volto alla resti­tu­zione al popolo sovrano del potere mal uti­liz­zato dalla rap­pre­sen­tanza. A que­sto pro­po­sito, si sta gio­cando una deli­cata par­tita pro­prio su alcune pro­po­ste modi­fi­che di Sta­tuto che rischiano di met­tere la «mor­dac­chia» ad ABC, men­tre invece occor­re­rebbe ripen­sare al con­trollo ana­logo con piena respon­sa­bi­liz­za­zione del par­la­men­tino, ovviando altresì ai pro­blemi gra­vis­simi gene­rati dall’inerzia e dai tempi della poli­tica. Infine ben scarso entu­sia­smo per que­sto espe­ri­mento è mani­fe­stato dai movi­menti napo­le­tani, i quali non si ren­dono conto che il meglio è nemico del bene e paiono assi rilut­tanti ad assu­mere la respon­sa­bi­lità che deriva dal par­te­ci­pare al gioco isti­tu­zio­nale. Incre­di­bil­mente, la sola com­po­nente che ancora non ha dato i suoi cin­que rap­pre­sen­tanti del par­la­men­tino dell’acqua è pro­prio quella di movi­mento! Ver­rebbe da dire: è facile pre­di­care la ripub­bli­ciz­za­zione, molto meno è spor­carsi le mani per met­terla in pra­tica.
L’esperimento ABC sta dando risul­tati lar­ga­mente posi­tivi sul piano eco­no­mico, finan­zia­rio e degli inve­sti­menti in chiave di beni comuni. I risul­tati di gestione sono tutti migliori rispetto al bud­get nono­stante l’assai becera appli­ca­zione di spen­ding review ed altri arro­ganti inter­venti esterni, dall’Agenzia delle entrate, a Inps, Inp­dap, ad alcuni uffici comu­nali, ai favo­ri­ti­smi intol­le­ra­bili della Regione Cam­pa­nia nei con­fronti dei soliti gruppi pri­vati: ABC resta l’unica par­te­ci­pata vir­tuosa del Comune di Napoli, in attivo a dispetto dei Santi!

È forse a causa di que­sti risul­tati che l’esperienza isti­tu­zio­nale di ABC è occul­tata dal dibat­tito pubblico.

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