Avere più di 50 anni e scoprirsi proletari

Avere più di 50 anni e scoprirsi proletari

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Esu­beri, pre­pen­sio­nati, eso­dati, staf­fet­tati, cas­sin­te­grati, disoc­cu­pati. Sono i lavo­ra­tori ultra­cin­quan­tenni che hanno perso una posi­zione da lavo­ra­tore dipen­dente e si tro­vano nella zona gri­gia dove il pre­ca­riato si con­fonde con la disoccupazione.

Per il Cen­sis, oggi sono 438 mila i lavo­ra­tori dipen­denti che vivono sospesi. Nel 2008 erano 261 mila. In sei anni solo i disoc­cu­pati in que­sta fascia di età sono aumen­tati in ter­mini asso­luti di 261 mila per­sone e in ter­mini per­cen­tuali del 146%. L’ultimo anno è stato un eca­tombe. L’area dei senza lavoro si è estesa a mac­chia d’olio coin­vol­gendo 64 mila per­sone: +17,2% tra il 2012 e il 2013. La reces­sione ha spaz­zato via le ultime, resi­duali, tutele di que­sto lavoro dipen­dente e ha allun­gato a dismi­sura la durata della disoc­cu­pa­zione. Dal 2008 al 2014 gli over 50 disoc­cu­pati di lunga data sono infatti quasi tri­pli­cati, pas­sando da 93 mila a 269 per­sone (+189%).

Nello stesso periodo c’è stato un aumento del 7,6% dei lavo­ra­tori auto­nomi e tende a rad­dop­piarsi la com­po­nente degli occu­pati a tempo par­ziale, che nel 2013 diven­tano circa un milione, con un incre­mento nei sei anni pari al 47,5%.

Al lungo elenco del disa­gio occu­pa­zio­nale si è aggiunto un ele­mento ancora più inquie­tante. L’insicurezza eco­no­mica, e la soli­tu­dine sociale, insieme all’erosione dei red­diti indotta da un lavoro sem­pre più inter­mit­tente o varia­mente pre­ca­rio, ha stri­to­lato i con­sumi, bru­ciato i risparmi e ha indotto un’altra cate­go­ria di over 50 a cer­care lavoro.
Sono quelli che l’Istat ha defi­nito gli «inat­tivi» che tut­ta­via si dichia­rano dispo­ni­bili a lavo­rare. Con­si­de­rando tutti que­sti casi, oggi in Ita­lia la pres­sione eser­ci­tata sul mer­cato del lavoro da parte degli ultra­cin­quan­tenni supera un milione di per­sone. Que­sta cifra dev’essere com­pa­rata al numero com­ples­sivo degli over 50 in Ita­lia: 24,5 milioni. Tra loro gli occu­pati sono poco più di un quarto, all’incirca 6,7 milioni: poco più di 4 milioni gli uomini, 2,6 le donne. Poi c’è il milione indi­cato dal Cen­sis, quella popo­la­zione che sta spe­ri­men­tando tutte le gra­da­zioni del gri­gio (e del nero) sul mer­cato del lavoro.

Una simile con­di­zione è stata con­sta­tata a livello euro­peo dalla Com­mis­sione Euro­pea in un rap­porto pre­sen­tato dal com­mis­sa­rio al lavoro Lázló Andor nel marzo scorso?.La disoc­cu­pa­zione in Europa da ecce­zione si sta tra­sfor­mando in regola e coin­volge tanto gli over 50 quanto i più gio­vani tra i 15 e i 34 anni. Per chi ha perso il lavoro in Ita­lia nel primo ciclo della crisi, le pos­si­bi­lità di tro­varne un altro sono tra il 14% e il 15%, la quota più bassa di tutti i 28 Stati membri.

Ovun­que la disoc­cu­pa­zione di lunga durata viene accom­pa­gnata alla gene­ra­liz­za­zione della pre­ca­rietà e del lavoro nero, con il rischio più che reale di per­dere le com­pe­tenze e le espe­rienze accu­mu­late in una vita di lavoro più o meno lunga. In Ita­lia sono sem­pre meno gli over 50 che par­te­ci­pano ad atti­vità for­ma­tive, solo il 5% del cam­pione ana­liz­zato dal Cen­sis. Que­sto accade anche per l’assenza di poli­ti­che in que­sto senso, o per il fal­li­mento della riqua­li­fi­ca­zione pro­fes­sio­nale.
Richia­mando i dati resi noti dall’Organizzazione inter­na­zio­nale del lavoro (Ilo), anche il Cen­sis rileva che la lie­vis­sima cre­scita occu­pa­zio­nale regi­strata negli ultimi sei anni ha bene­fi­ciato i lavo­ra­tori più anziani, in par­ti­co­lare coloro che hanno tra i 55 e i 64 anni. Per il Cen­sis que­sta sarebbe la prova di un con­flitto latente tra gio­vani e anziani. Entrambi poco – o affatto – tute­lati si con­ten­de­reb­bero gli stessi posti di lavoro. I fat­tori che hanno por­tato a que­sta situa­zione sono tut­ta­via mol­te­plici e non ridu­ci­bili ad uno scon­tro generazionale.

Quest’ultimo può essere stato l’effetto dell’aumento dell’età pen­sio­na­bile impo­sto dalla riforma For­nero (voluta da Pd e Pdl nell’era Monti), o del blocco del turn-over nella pub­blica ammi­ni­stra­zione, ma non spiega la pre­ca­rietà che col­pi­sce in egual misura gio­vani e anziani, auto­nomi o dipen­denti. In que­sta con­di­zione il rap­porto di lavoro dipen­dente, tute­lato e rego­la­men­tato riguarda sem­pre meno per­sone, come ha con­fer­mato a fine 2013 il rap­porto sulla coe­sione sociale dell’Inps, Istat e mini­stero del Lavoro. I lavo­ra­tori dipen­denti sotto i 30 anni sono dimi­nuiti dal 18,9% al 15,9%. Nell’ultimo qua­drien­nio dell’anno scorso, i «gio­vani» a tempo inde­ter­mi­nato sono pas­sati dal 16,8% al 14%. Nel primo seme­stre 2013 il 67% dei rap­porti di lavoro era a tempo determinato.

Gli over 50 che oggi for­mano un nuovo pro­le­ta­riato bene­fi­ciano degli ultimi scam­poli di pro­te­zione sociale che i loro figli pro­ba­bil­mente non cono­sce­ranno. Tra il 2010 e il primo seme­stre del 2013 tra i bene­fi­ciari delle poli­ti­che attive del lavoro e della cassa inte­gra­zione, esclu­dendo dal totale gli appren­di­sti, sono aumen­tati tra gli over 50, pas­sati dal 12,4% al 15,5%: circa 100 mila persone.



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