by redazione | 24 Maggio 2014 9:26
Il facchino dei mercati generali di Torino lavora di notte, in ogni condizione. Solitamente è straniero ed è un prototipo della flessibilità prossima ventura. Nella notte tra martedì e mercoledì circa duecentocinquanta facchini del Caat (Centro Agro Alimentare Torino) insieme ad alcune decine di giovani torinesi solidali, hanno deciso di bloccare l’operatività del complesso. Tutto nasce dal licenziamento di cinque lavoratori da parte di una cooperativa.
Il sindacato SiCobas reagisce proclamando uno sciopero che presto si trasforma in un picchetto organizzato. Il personale delle cooperative aderisce in massa e circa duecentocinquanta lavoratori bloccano l’ingresso del centro agro alimentare nel cuore della notte. I manifestanti sono per la maggior parte stranieri, proletariato che ha già accettato ogni tipo di sacrificio pur di riuscire a mantenere il posto di lavoro. Ci sono moltissimi nord africani ed est europei, uomini che lavorano duramente per poche decine di euro a notte. Il picchetto blocca l’entrata degli autotreni provenienti da tutta Europa, carichi di frutta e verdura.
Si creano le inevitabili tensioni. Arrivano le forze dell’ordine che tentano di riportare la calma ma con scarsi risultati. I manifestanti sono determinati a bloccare la distribuzione delle derrate alimentari destinate a Torino e provincia. Alle quattro del mattino un incontro tra rappresentanti delle cooperative che gestiscono il Caat e i lavoratori porta alla promessa di un accordo. Promessa comunque giudicata insufficiente dai facchini che non abbandonano la protesta e chiedono una risposta concreta e scritta. All’ingresso principale del Caat intanto si forma un infinito serpentone di autotreni in attesa di entrare. Alle cinque la polizia decide di intervenire per sciogliere il picchetto e permettere l’accesso degli autotreni che ormai formano un coda lunga chilometri.
Dopo la carica i manifestanti si disperdono per mezz’ora, ma tornano a radunarsi appena tornata la calma. Il parapiglia finale scoppia nella tarda mattina di mercoledì quando un furgoncino bianco travolge tre manifestanti e due poliziotti. Un gesto di follia di un lavoratore esasperato dalla guerra dei poveri. Rischierà il linciaggio da parte della folla. La situazione non rientra nella nornalità, e il presidio non solo resiste ma annuncia di continuare a oltranza. Con l’avanzare della giornata la folla è aumentata. Le cooperative attive nel Caat offrono ai manifestanti un incontro per lunedì, al fine di valutare la situazione dei cinque licenziati e più in generale le condizioni di lavoro.
Alle tre del pomeriggio i manifestanti si disperdono e danno appuntamento a lunedì: «Sciogliamo la manifestazione ma tutti sappiano che se sarà una presa in giro riprenderemo con un blocco molto più duro di quello attuato questa notte. Fermeremo l’intero commercio agroalimentare torinese a oltranza» affermano alcuni mentre tornano a casa.
Il Caat è un gigantesco polo logistico, cento milioni di euro di investimento, detenuto al 92% dal Comune di Torino. Fin dalla sua nascita naviga in cattive acque economiche. Un complesso esagerato sostengono in molti. Altri dicono che i contributi regionali erogati a pioggia hanno spalmato il cemento su un’ampia fetta di territorio e hanno reso il complesso un doppione ormai fuori mercato, inutile.
Il Caat vive infatti di canoni di locazione che sono venuti meno quando produttori e grossisti hanno cominciato a costruire il proprio magazzino. Nel tentativo di non farlo fallire a causa delle perdite, pari a diciassette milioni di euro, il Comune di Torino ha deciso di decurtare il capitale sociale da cinquantasette a trentaquattro milioni di euro. Nella speranza che gli anni passino in fretta e le rate dei mutui scendano a livelli più sostenibili.
Questa è la storia delle storiche arcate dei mercati Generali di Torino che sono state riqualificate per i Giochi Olimpici. Oggi versano in uno stato di semi-abbandono e sono un mesto ricordo dei bei tempi che furono. Per loro il futuro non è roseo. Appuntamento a lunedì, un altro passo del «poi si vedrà» imperante.
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