Thailandia, militari annunciano il colpo di Stato, in tv

by redazione | 23 Maggio 2014 9:33

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Il gene­rale Prayuth, a capo dell’esercito della Thailandia, ieri ha dichia­rato il colpo di Stato. La noti­zia è arri­vata due giorni dopo l’imposizione della legge mar­ziale e non fa che por­tare il paese verso la guerra civile. Se la legge mar­ziale era già stata accolta da nume­rosi osser­va­tori come un «mezzo golpe», essendo impo­sta dall’esercito senza né il bene­stare del re, né la con­tro­firma del pre­mier – entrambi richie­sti dalla costi­tu­zione – e limi­tando con­si­de­re­vol­mente i poteri del governo, che si era visto addi­rit­tura gli uffici usur­pati dai mili­tari, il golpe ha spia­nato la strada all’arresto dei lea­der poli­tici, sia di mag­gio­ranza sia di oppo­si­zione e dei capi delle pro­te­ste di entrambe le fazioni, che da oltre otto anni carat­te­riz­zano il paese.

La società tai­lan­dese — un tempo tra le più unite del sud est asia­tico — è spac­cata in due da quando, nel 2006, l’esercito per­pe­trò un colpo di Stato con­tro il governo di Thak­sin Shi­na­wa­tra, cui seguì oltre un anno di legge marziale.

Il golpe di oggi con­ti­nua la stessa bat­ta­glia di allora: contro Thak­sin, il poli­tico ed ex magnate delle tele­co­mu­ni­ca­zioni cam­pione di voti dall’inizio del nuovo mil­len­nio, gra­zie a una serie di prov­ve­di­menti – da un pro­gramma di sanità pub­blica pra­ti­ca­mente gra­tuito a un sistema di cre­dito ad agri­col­tori e pic­coli impren­di­tori – che gli ha con­sen­tito di fare brec­cia nel cuore del popo­loso elet­to­rato di provincia.

La popo­la­rità di Thak­sin rap­pre­senta un peri­colo nei con­fronti delle elite ban­g­ko­kiane – le uni­che fami­glie che, fino all’entrata in poli­tica dell’imprenditore, ave­vano il mono­po­lio della poli­tica tai­lan­dese – spe­cial­mente alla luce di una immi­nente suc­ces­sione al trono che sem­bra vedere l’aristocrazia fram­men­tata e alleata a set­tori diversi delle forze armate, con il risul­tato di alleanze tal­volta impre­ve­di­bili. Que­sta bat­ta­glia ha spesso assunto i toni reli­giosi, con i media che in più occa­sioni hanno rap­pre­sen­tato Thak­sin come Mara, il demo­nio della mito­lo­gia bud­di­sta, in oppo­si­zione alla guida spi­ri­tuale di Re Bhu­mi­bol, l’anziano e vene­rato sovrano.

Dal golpe del 2006 in poi, ogni risul­tato elet­to­rale è stato annul­lato a favore di un governo «di parte», che sem­bra invece pun­tual­mente vicino alle elite di Ban­g­kok e anta­go­ni­sta nei con­fronti di Thaksin.

Dopo avere sug­ge­rito per mesi la col­pe­vo­lezza delle cami­cie rosse, i sup­por­ter di Thak­sin, e dopo avere par­te­ci­pato nel 2010 a un’operazione mili­tare ordi­nata dall’opposizione (allora al governo ad inte­rim) che risultò nella morte di quasi cento cami­cie rosse, le imma­gini di un lea­der delle cami­cie rosse, il dot­tor Weng, pre­le­vato con forza da una mani­fe­sta­zione paci­fica nella capi­tale e por­tato in un luogo segreto, stanno facendo il giro del web.

A que­sto si aggiun­gono le voci di altri lea­der rossi arre­stati in più parti del paese in loca­lità rurali, in con­tra­sto, dicono le voci, con il trat­ta­mento riser­vato ai lea­der dell’opposizione. Il pre­sente colpo di Stato sem­bra avere già con­sen­tito all’esercito di con­ge­lare gli assetti della fami­glia Shi­na­wa­tra, i cui mem­bri si crede siano tutti scap­pati all’estero.

Niwat­tham­rong, pre­mier da quando la legge mar­ziale ha rimosso la lea­der della mag­gio­ranza, Yin­gluck Shi­na­wa­tra, sorella di Thak­sin, è scom­parso, e potrebbe già essere fuori dal paese. Il peri­colo mag­giore viene ovvia­mente da ele­menti all’interno delle cami­cie rosse stesse, che, fru­strate dall’intervento mili­tare e senza lea­der, potreb­bero hanno già paven­tato l’eventualità di una guerra civile più volte, negli scorsi mesi. Il colpo di Stato ha ovvia­mente note­voli riper­cus­sioni sull’economia tai­lan­dese. Inve­sti­tori stra­nieri – spe­cie ame­ri­cani e giap­po­nesi – lamen­tano da parec­chi mesi l’instabilità poli­tica del paese e altri Stati del sudest asia­tico – dal Viet­nam alla Male­sia – sono alter­na­tive valide per basso costo dei lavo­ra­tori e infra­strut­ture ido­nee alla pro­du­zione mani­fat­tu­riera. Il turi­smo, nono­stante le pre­oc­cu­pa­zioni di ren­dere il golpe il più «tou­rist friendly» pos­si­bile, dif­fi­cil­mente reg­gerà que­sto enne­simo ricaduta.

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