Strasburgo, fine corsa per le patrie galere?

Strasburgo, fine corsa per le patrie galere?

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Scade oggi l’anno con­cesso all’Italia per tra­sfor­mare il car­cere in luogo di lega­lità. Il cro­no­me­tro era scat­tato dopo la con­danna a Strasburgo per vio­la­zione del divieto di tor­tura, cau­sata da un sovraf­fol­la­mento car­ce­ra­rio «strut­tu­rale e siste­mico», denun­ciato da una marea di ricorsi. Nei pros­simi giorni cono­sce­remo il ver­detto su quanto fatto e non fatto dalle auto­rità ita­liane. Previsioni?

Trac­ciamo il peri­me­tro giu­ri­dico del pro­blema. La con­danna nasceva dalla carenza di spa­zio in cella (sotto i 3 mq a dete­nuto). Un «mal­fun­zio­na­mento cro­nico pro­prio del sistema peni­ten­zia­rio ita­liano», che impone «senza indu­gio» rimedi effet­tivi sia pre­ven­tivi che com­pen­sa­tivi. Tutto il resto viene dopo.

Il Guar­da­si­gilli è fidu­cioso. Le novità nor­ma­tive e le azioni ammi­ni­stra­tive rea­liz­zate, inci­dendo sui flussi deten­tivi in entrata e in uscita, avreb­bero ridotto la popo­la­zione car­ce­ra­ria a 59.500 unità. È stata avviata la ridu­zione dei circa 18.000 dete­nuti ristretti in uno spa­zio tra 3 e 4 mq, troppo vicino al mar­gine san­zio­nato a Stra­sburgo. È in fun­zione un sistema che con­sente – con un clic sul com­pu­ter – di moni­to­rare le con­di­zioni di ogni dete­nuto, in ogni cella, in ogni car­cere. Mis­sione com­piuta, dun­que? Que­ste cifre sono oggetto di non infon­date con­te­sta­zioni. Assu­mia­mole, egual­mente, per vere. Sta­ti­sti­ca­mente, forse, sod­di­sfe­ranno «un pro­saico cal­colo geo­me­trico della sof­fe­renza» (Gio­stra). Restano tut­ta­via sopra la capienza rego­la­men­tare, che pure il mini­stero stima assai gene­ro­sa­mente in 48.300 posti.

Resta insod­di­sfatto l’obbligo di intro­durre ade­guati rimedi com­pen­sa­tivi. Il governo pensa a inden­nizzi pecu­niari ovvero a sconti di pena per chi è ancora recluso. La mone­tiz­za­zione di un trat­ta­mento inu­mano ha un che di osceno ma è nella logica del risar­ci­mento del danno. Più pro­ble­ma­tico, anche alla luce della giu­ri­spru­denza di Stra­sburgo, è l’altro rime­dio ipo­tiz­zato: per­ché l’art. 3 CEDU (divieto di tor­tura) non con­sente bilan­cia­menti di alcun genere. Diver­sa­mente, ad esem­pio, dall’art. 6 CEDU (durata ragio­ne­vole del pro­cesso), la cui vio­la­zione può com­pen­sarsi – come ha ammesso la Corte euro­pea – con una ridu­zione della suc­ces­siva condanna.

È rea­li­stico, allora, atten­dersi una pro­roga rispetto all’odierna sca­denza. E non solo come apprez­za­mento per quanto fatto dall’Italia, che è molto ma non è abba­stanza. Die­tro la sentenza-pilota di un anno fa c’è anche l’interesse della Corte euro­pea a non affo­gare in migliaia di ricorsi sia­mesi (ad oggi, 6.829): Stra­sburgo non può né deve né vuole tra­sfor­marsi in giu­dice di ultima istanza per un paese – il nostro – inca­pace di rispet­tare lo stan­dard minimo e non incom­pri­mi­bile di super­fi­cie die­tro le sbarre.

Dove­vamo pen­sarci prima. La sen­tenza Tor­reg­giani nulla dice che la poli­tica non sapesse: già nella scorsa legi­sla­tura le Camere discus­sero in seduta straor­di­na­ria il pro­blema della con­di­zione car­ce­ra­ria. Nella Legi­sla­tura attuale, ser­viva un tem­pe­stivo dibat­tito par­la­men­tare del mes­sag­gio pre­si­den­ziale, par­cheg­giato invece per mesi. Ser­viva un atto di cle­menza gene­rale impo­sto dalla straor­di­na­ria gra­vità della situa­zione: come richie­sto – ina­scol­tati – da Qui­ri­nale, Con­sulta, Primo Pre­si­dente di Cas­sa­zione e da un Marco Pan­nella mai domo.

Si è scelto diver­sa­mente, a favore di un’aritmia nor­ma­tiva che ci costrin­gerà a gio­care i tempi di recu­pero. Sapendo fin d’ora che, adem­piuto il giu­di­cato euro­peo, saremo ancora a metà dell’opera. Per­ché il nostro oriz­zonte resta quello costi­tu­zio­nale di una pena che deve ten­dere alla riso­cia­liz­za­zione del reo. Un oriz­zonte che non si misura sol­tanto in metri quadri.



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