Si vota a Panama, senza alternative al neoliberismo
Oggi il Panama vota per la quinta volta dall’invasione nordamericana e dalla caduta del dittatore Manuel Noriega (1989). Circa 2,5 milioni di cittadini (su una popolazione di 3,802 milioni) sono attesi alle urne per rinnovare il presidente, i deputati, i sindaci e le autorità locali. Il voto è un dovere, ma chi non ci va non viene punito.
Sei i partiti politici e sette i concorrenti alla presidenza: José Domingo Arias è il candidato governativo della destra, che corre per Cambio democratico (Cd). Contro di lui, il vice-presidente uscente, passato all’opposizione, Juan Carlos Varela, dell’Alianza «El Pueblo Primero», formata dal Partido Panamenista (Ppa) e dal Partido Popular; il socialdemocratico Juan Carlos Navarro del Partido revolucionario democratico (prd); Genaro Lopez, del Frente Amplio por la democracia (Fapd); e gli indipendenti: l’economista Juan Jované, il giornalista Gerardo Barroso e Esteban Rodriguez (impiegato dei trasporti).
Secondo i sondaggi, la partita dovrebbe giocarsi tra l’impresario tessile ed ex ministro Arias (che conta sull’alleanza col Movimiento Liberal Republicano Nacionalista – Molirena -) e Navarro, anch’egli impresario, ex sindaco della capitale tra il 1999 e il 2009. Più indietro sarebbe posizionato, sempre per la destra, Varela, imprenditore del settore delle bibite e attuale vicepresidente. Come aspirante alla vicepresidenza Domingo Arias schiera Marta Linares, moglie dell’attuale capo di stato Ricardo Martinelli: per molti, una prova che, se verrà eletto, Arias sarà solo un fantoccio nelle mani del presidente uscente, accusato di corruzione e coinvolto anche in un’inchiesta per tangenti legata all’Italia. Navarro propone invece l’ex magistrato Gerardo Solis. E Varela candida l’ex diplomatica Isabel Saint Malo.
I tre hanno condotto una campagna politica tesa e costosa, ma tutta interna alle dinamiche neoliberiste che hanno governato finora il paese, benché Navarro si sia presentato come un’alternativa progressista e abbia tenuto un discorso dagli accenti più sociali e ambientalisti. Dietro, dicono però gli analisti di sinistra, vi sono gli stessi gruppi economici. Il Panama è il secondo dell’America latina con il peggior tasso di disuguaglianze. Più del 40% della popolazione vive in povertà e oltre il 90% degli indigeni è povero o estremamente povero. Un paese in cui, a seguito dei processi di privatizzazione selvaggia dei beni pubblici e delle risorse naturali iniziato negli anni ’90, la ricchezza è concentrata in poche mani, la corruzione impera e così la repressione del conflitto sociale.
Due scioperi paralizzano l’intero territorio nazionale, quello dei maestri e quello degli operai delle costruzioni che, dal 23 aprile, bloccano almeno 400 opere, compresa quella del Canale. Il Sindacato di categoria (Suntracs), che conta circa 70.000 lavoratori del settore, chiede un aumento salariale dell’80% rispetto a quello attuale (568 dollari), il 20% ogni anno. La controparte invece non vuole andare oltre un aumento del 21%, il 5% ogni anno. E venerdì il sindacato ha annunciato che continuerà lo sciopero generale. Il Primo maggio, i lavoratori hanno chiesto al vincitore di prendere un impegno per accogliere le loro rivendicazioni. Sul piano internazionale, in sospeso la rottura delle relazioni con il Venezuela (e il conseguente debito con le imprese, risultato gonfiato da massicce corruzioni).
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