Lavoro e salario, le scelte di Confindustria

Lavoro e salario, le scelte di Confindustria

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Era stata accusata di giocare solo di rimessa limitandosi a criticare di volta in volta le varie ipotesi in campo e così la Confindustria ha deciso di stilare un proprio documento programmatico sul lavoro e la contrattazione. Una scelta che va apprezzata nel metodo e nel merito. Infatti oltre a dare una veste organica alle proprie posizioni l’associazione degli imprenditori ha colto l’occasione per aggiornare la sua impostazione valorizzando la contrattazione aziendale, che diventa così il vero motore del cambiamento delle relazioni industriali. Più in generale si può dire che il documento avvicina le posizioni della Confindustria a quelli dei riformisti che a vario titolo e con posizioni differenti si sono posti il problema di delineare nuove soluzioni di flexcurity, revisione dell’articolo 18 e riforma degli ammortizzatori sociali. Resta l’opposizione degli industriali all’adozione del contratto a tutele crescenti chiesta prima dal Jobs Act di Matteo Renzi e poi inserita nel testo di legge delega che andrà in discussione in Parlamento. Il timore è che si trasformi in un «contratto unico» rigido e sostitutivo di tutte le tipologie contrattuali attualmente esistenti. Se dovesse essere così la Confindustria avrebbe pienamente ragione ma le dichiarazioni di vari esponenti della maggioranza affermano il contrario e di conseguenza devono essere altre le ragioni dello scetticismo. Non va dimenticato però come le tutele crescenti — che sono apprezzate persino in casa Cgil — possano rappresentare la chiave per svelenire il confronto sull’articolo 18.
Un secondo punto che si presta ad essere approfondito riguarda il welfare aziendale, non citato esplicitamente nel documento ma presente nella riflessione confindustriale. Se si vuole spostare il baricentro delle relazioni industriali in periferia va individuato un parametro di scambio che affianchi lo schema più produttività/più salario e sia anche dotato di contenuti valoriali. E il welfare aziendale lo è, perché proietta l’attenzione dell’azienda fino al tema dell’istruzione dei figli e quindi si presta a creare quel clima di condivisione necessario per individuare le soluzioni di scambio nei casi più controversi. Un esame anche veloce delle buone pratiche messe in atto nei territori dà ragione a quanti — a partire dall’esperienza pilota in Luxottica — ne raccomandano l’estensione in un format ampio e, per così dire, «olivettiano».
Infine nell’ambito della riforma della contrattazione collettiva il documento confindustriale opera una scelta a favore del salario minimo legale, previsto tra l’altro dal testo del disegno di legge delega del governo. La questione è controversa (molto dipende, infatti, dalla cifra indicata), se ne discute prevalentemente in chiave di scardinamento del contratto nazionale ma, vale la pena sottolinearlo, acquista una sua rilevanza vista l’ulteriore spaccatura che si sta creando nei diversi comparti della logistica con l’emergere di una realtà fatta di cooperative spurie, caporalato etnico e nessun rispetto dei minimi tabellari previsti dal contratto nazionale. Chi propende per il salario minimo pensa che una misura di legge potrebbe quantomeno bonificare quest’area di lavoro irregolare e servire poi come parametro per quelle professioni terziarie (tipo il traduttore) che stanno diventando isole di lavoro povero. E l’impegno di Confindustria per evitare la corsa al ribasso delle paghe non è cosa da poco.


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