Resa dei conti in Libia, all’americana
«Karama» (Dignità) è il nome che ha scelto il generale in pensione Khalifa Haftar per denominare l’operazione che tra venerdì e domenica ha messo a soqquadro la Libia. Ieri Haftar ha gettato la maschera e ha spiegato che lo scopo del suo tentativo di golpe è liberare il paese dai Fratelli musulmani e dagli islamisti radicali. Ha aggiunto di farlo per il popolo e di avere ampio sostegno tra i libici. È quanto emerge da un’intervista al quotidiano Sharq al Awsat, rilasciata dall’ex comandante delle truppe di terra dell’«Esercito libico» che combatteva contro Gheddafi nel 2011. Haftar ha ammesso di aver arrestato quaranta persone che hanno fornito passaporti falsi ai Fratelli musulmani libici per lasciare il paese. L’ex premier Ali Zeidan aveva preceduto gli islamisti che in queste ore fanno le valigie, lasciando la Libia dopo un contestato voto di sfiducia del parlamento nel marzo scorso.
Anche questa volta l’attacco a orologeria al Congresso nazionale generale (Cng) libico delle milizie al Zintan è avvenuto in un frangente molto delicato. Si è svolto mentre stava per essere annunciata la formazione del governo del premier in pectore, Ahmed Maiteq, uomo d’affari vicino ai Fratelli musulmani libici. Non solo, gli uomini armati di Zintan hanno dato fuoco a un’area limitrofa al Cng – secondo i «golpisti» veniva usata per l’addestramento di jihadisti del movimento legato al terrorismo internazionale Ansar al Sharia.
La confraternita libica ha ottenuto la maggioranza dei voti alle politiche del 2012, ma ha deciso a febbraio, tra mille polemiche, di procrastinare fino a fine anno la durata del parlamento, nonostante le critiche di militari e società civile. Per questo l’intera operazione di Haftar è stata interpretata come un tentativo di liberarsi degli islamisti, impedendo la formazione di un nuovo esecutivo (il quarto dal 2011).
Per primo il presidente del parlamento, Nouri Abu Suhamein ha definito l’attacco un «tentativo di colpo di stato» puntando il dito contro i miliziani di Zintan e il generale Khalifa Haftar. Il ministro della Giustizia, Salah al Marghani si è affrettato invece a smentire ogni legame tra l’assalto al parlamento di Tripoli e la battaglia di Bengasi. Nella città della Cirenaica, gli aerei militari, guidati da Haftar, avevano causato ottanta vittime nella notte dello scorso venerdì. Contemporaneamente, dagli schermi della tv privata Libya al Watan, il colonnello, Mokhtar Farnana, dicendo di parlare a nome dell’esercito, annunciava la «sospensione» del parlamento, confermata dal premier uscente, l’ex ministro della Difesa Abdullah al Thinni, in vista di elezioni anticipate.
A cementare l’accordo tra il generale Haftar e i miliziani di Zintan c’è solo in apparenza il tentativo della conquista del potere in nome della lotta contro l’estremismo islamico. In verità, l’accordo nasconde l’uso strumentale che questi gruppi fanno del caos in cui è piombato il paese dopo gli attacchi della Nato del 2011. E così, la lotta al «terrorismo», come viene rappresentata da Haftar, a cui si sono accodate le forze speciali, i paracadutisti di Bengasi e l’aviazione di Tobruk, riecheggia in parte i toni usati dalle Forze armate egiziane nel golpe del 3 luglio 2013 che ha sostituito l’esecutivo guidato dai Fratelli musulmani, al potere da appena un anno, con un governo voluto dai militari. L’esercito libico tuttavia è estremamente frammentato e l’operazione «Karama» ha più i connotati di una resa dei conti tra vecchi compari nemici che pure insieme hanno cacciato violentemente — grazie alla Nato — Muammar Gheddafi, e che ora usano le milizie armate per destabilizzare ancora di più un paese in cui è in corso un conflitto a bassa intensità sin dalla deposizione sanguinosa dell’ex raìs nell’ottobre 2011. E così, il movimento internazionale dei Fratelli musulmani ha denunciato il golpe in corso in Libia «da parte di chi vuole rovesciare il risultato delle elezioni del 2012».
Anche gli Usa, che non hanno esitato ad abbandonare al loro destino i Fratelli musulmani in più di un’occasione, mostrano, soprattutto per il loro legame storico con l’ex generale Khalifa Haftar, di appoggiare il golpe. E non stupisce che i miliziani di Ansar al Sharia abbiano descritto l’operazione «Karama» come «una guerra contro l’Islam lanciata dagli Stati uniti e dai suoi alleati arabi». Questi jihadisti sono accusati di essere i responsabili dell’attacco al consolato degli Stati uniti a Bengasi nel settembre del 2012, costato la vita all’ambasciatore Chris Stevens. Una cattura dei responsabili dell’agguato spianerebbe la via – infine — alla candidatura di Hillary Clinton, accusata almeno di negligenza in quell’occasione, favorendo i democratici negli Usa in vista delle elezione di mid-term del prossimo autunno.
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