La regola del sistema Expo

by redazione | 15 Maggio 2014 10:46

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Quando Fri­ge­rio e Gre­ganti erano più gio­vani di 20 anni, sulla spinta dell’indignazione dell’opinione pub­blica furono rico­struite le regole giu­ri­di­che per gli appalti. La legge appro­vata nel 1994 che prese il nome dall’allora mini­stro Mer­loni era un prov­ve­di­mento rigo­roso e si trat­tava solo di spe­ri­men­tarla e –sem­mai– miglio­rarla. Si scelse la strada oppo­sta. Fu subito accu­sata di rigi­dità e fu variata, emen­data e stra­volta: oggi siamo alla sua quarta ste­sura. A svin­co­lare dalla legge l’aggiudicazione dei grandi appalti ci pensò il secondo governo Berlusconi.

Appro­vando nel 2001 la «legge obiet­tivo» che con il con­vinto soste­gno del mondo delle mag­giori imprese for­niva sem­pli­fi­ca­zioni per i grandi appalti. Ancora peg­gio fecero nel 2002 i decreti attua­tivi e fu pos­si­bile così spe­ri­men­tare la mac­china della Pro­te­zione civile di Guido Ber­to­laso. Tutti i grandi appalti veni­vano aggiu­di­cati con un sistema pale­se­mente discre­zio­nale: lo scan­dalo che seguì aveva dun­que radici salde nella man­canza di regole.

Ma anche il set­tore degli appalti minori è rima­sto indenne. Da anni i comuni ita­liani pos­sono appal­tare a trat­ta­tiva sem­pli­fi­cata — senza una vera gara di evi­denza pub­blica — lavori di importo fino a 500 mila euro. Nel 2011, l’Autorità di vigi­lanza sui con­tratti pub­blici, Avpc, denun­ciava ina­scol­tata che il 28% degli appalti pub­blici per un valore di 28 miliardi veniva appal­tato senza gara. I grandi lavori hanno bene­fi­ciato di un ter­reno legi­sla­tivo spe­ciale men­tre quelli minori sono stati lasciati nella discrezionalità.

Come mera­vi­gliarsi dun­que dell’esplodere dell’ennesimo scan­dalo? Le radici stanno nell’assenza di regole: la poli­tica affa­ri­stica tiene sotto con­trollo le imprese e le rube­rie sono all’ordine del giorno, come denun­ciano la Corte dei Conti e la Tra­spa­rency Inter­na­tio­nal. Ha dun­que ragione Livio Pepino che sulle pagine del mani­fe­sto di ieri affer­mava che «non siamo di fronte ad una cor­ru­zione nel sistema ma ad una ben più grave cor­ru­zione del sistema».

La vera tra­ge­dia che stiamo vivendo sta però nel dif­fe­rente atteg­gia­mento del legi­sla­tore e dei mezzi di comu­ni­ca­zione. Se vent’anni fa ci fu un inne­ga­bile scatto di dignità isti­tu­zio­nale, oggi siamo den­tro ad un inau­dito attacco alla «buro­cra­zia» rea di ogni colpa.

Due giorni fa a Milano a discu­tere del futuro di Expo 2015 c’era il mini­stro per le infra­strut­ture Mau­ri­zio Lupi. Non è sol­tanto la pre­senza del suo nome nelle inter­cet­ta­zioni della cricca dell’Expo a susci­tare pre­oc­cu­pa­zione (come noto egli ha smen­tito ogni legame con i dete­nuti) quanto un gra­vis­simo annun­cio reso pub­blico nell’audizione da lui tenuta l’11 marzo scorso presso la com­mis­sione ambiente della Camera dei Depu­tati. In quella sede ha infatti espresso il parere di scio­gliere l’Autorità di vigi­lanza sui lavori pub­blici e ripor­tare tutte le com­pe­tenze presso il mini­stero da lui diretto.

L’attacco è stato moti­vato dalla neces­sità di «snel­lire e sbu­ro­cra­tiz­zare». La realtà è diversa. L’Avcp – che pure ha un diri­gente coin­volto nell’affare Expo e non è immune da cri­ti­che– aveva negli anni scorsi denun­ciato alla Magi­stra­tura inqui­rente molti appalti sospetti. I casi più cla­mo­rosi hanno riguar­dato l’appalto per la sede dell’Agenzia spa­ziale ita­liana (l’ex pre­si­dente Sag­gese è in car­cere per tan­genti) e l’ispezione com­piuta sull’appalto della Pede­mon­tana lom­barda, opera tanto cara al sistema di potere sma­sche­rato dall’inchiesta Expo. Troppo per i nostri libe­ri­sti. Così, forse anche per la pre­senza presso il suo mini­stero in qua­lità di Capo di Gabi­netto di Gia­como Aiello che era stato capo dell’ufficio legi­sla­tivo della Pro­te­zione civile di Ber­to­laso, Lupi vuole scio­gliere quell’organismo indipendente.

La dram­ma­tica crisi di lega­lità che viviamo deriva dalla man­canza di orga­ni­smi terzi indi­pen­denti dalla poli­tica e auto­re­voli sotto il pro­filo morale, delle com­pe­tenze e della libertà di movi­mento. E invece il governo per­se­gue la demo­li­zione del resi­duo di lega­lità e di senso dello Stato che ancora non è stata spaz­zata via dal ven­ten­nio ber­lu­sco­niano. Oltre a Lupi, anche il primo mini­stro Renzi sem­bra osses­sio­nato dalla volontà di demo­lire quanto resta delle fun­zioni pub­bli­che, dalle Soprin­ten­denze fino alla Magi­stra­tura.
L’immagine dell’Italia infranta dell’Expo 2015 non si salva solo con la pre­senza di uomini del livello di Raf­faele Can­tone. Si recu­pera riscri­vendo regole rigo­rose per gli appalti pub­blici e resti­tuendo dignità e auto­no­mia alle fun­zioni pub­bli­che mor­ti­fi­cate da venti anni. Nella migliore sto­ria degli appalti pub­blici — che pure esi­ste — c’è sem­pre stata una ten­sione cul­tu­rale nel per­se­guire un futuro migliore. A furia di sem­pli­fi­care e di affret­tarsi senza senso si con­se­gna defi­ni­ti­va­mente il paese allo stra­po­tere del peg­giore affa­ri­smo poli­tico e imprenditoriale.

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