«Il presidenzialismo ? Dopo il Senato possiamo parlarne»
ROMA — E se adesso la sinistra rompesse lo storico tabù che le ha fatto sempre dire di no al presidenzialismo ? «Non ora, le priorità sono altre, ma dopo l’approvazione della riforma del Senato e del Titolo V si può anche ragionare…» sull’elezione diretta del capo dello Stato: è questa la linea dettata da Matteo Renzi al suo staff dopo le forti sollecitazioni innescate dalla lettera inviata da Silvio Berlusconi al Corriere della Se ra . Il ping pong tra l’ex Cavaliere e il premier continua: il primo (ieri anche in tv) sostiene che l’unica riforma seria sarebbe quella di mettere in condizione gli italiani di votare direttamente per il presidente della Repubblica e il secondo ora fa sapere ai suoi fedelissimi collaboratori che l’apertura è possibile: sì, si può «ragionare», ma solo dopo avere intascato la riforma del Senato e del Titolo V. E visto che ci sono ancora quattro passaggi parlamentari da superare, l’orizzonte temporale per affrontare il nodo della forma di governo si sposterebbe (nella migliore delle ipotesi) a settembre del 2015.
Comunque ieri — sollecitato per tutta la giornata dalle dichiarazioni dei colonnelli di Forza Italia — Renzi ha dato la sua risposta sul presidenzialismo invocato dal leader di Forza Italia: «Tirare fuori ora questo argomento sa molto di trovata elettorale». Tuttavia, e qui prende corpo l’apertura del presidente del Consiglio sull’elezione diretta del capo dello Stato, «in via di principio possiamo essere anche d’accordo ma ora le priorità sono altre». Dunque, chiude il suo ragionamento Renzi, «si approvi intanto la riforma del Senato e del Titolo V e dopo, solo dopo, si può anche ragionare di presidenzialismo. Non adesso, però».
Ecco, ora resta da vedere se davanti a questo scambio di opinioni tra leader, formalmente contrapposti in materia di governo ma alleati sulle riforme, i senatori di Forza Italia si comporteranno di conseguenza sulla legge costituzionale (Senato e Titolo V, appunto) che domani arriva al primo giro di boa in Parlamento. Oggi Renzi è impegnato con il fronte interno (riunisce la direzione del Pd e chiude il seminario del partito sul Senato con i costituzionalisti) ma già domani a Palazzo Madama i suoi ambasciatori (Luigi Zanda e Lorenzo Guerini) dovranno trattare seriamente con i capigruppo di FI, Paolo Romani e Donato Bruno. Forza Italia — come la minoranza del Pd, Sel e il Ncd — vuole adottare in commissione come testo base un articolato diverso da quello confezionato a Palazzo Chigi. Renzi invece resiste.
Fa molte aperture sul fatto che «dopo» si potrà modificare il testo e spera di fare passare, almeno in prima battuta, l’articolato del ministro Boschi, per piantare una bandierina elettorale prima del 25 maggio. Ecco allora che, a Palazzo Madama, si fanno avanti i mediatori che dispongono di sole 24 ore per trovare una soluzione. Domani si vota in commissione.
Il lodo che ha in mente lo sintetizza bene Roberto Calderoli (Lega) tirato in ballo da Berlusconi («Sono in contatto con lui»). Spiega, con il suo stile, Calderoli: «Prima vedere moneta, poi dare cammello…». Insomma, sulla scia di quanto ipotizzato da Gaetano Quagliariello (Ncd), che però non è più alleato di Berlusconi, la commissione si appresterebbe a un doppio voto: prima un ordine del giorno (la moneta) in cui vengono perimetrati gli emendamenti concordati tra commissione e governo e in particolare l’elezioni dei senatori alle Regionali ma in un listino a parte. E dopo, solo dopo, si vota il testo base del governo (il cammello) cui tanto tiene Renzi. Resta da vedere come i relatori, Anna Finocchiaro (Pd) e lo stesso Calderoli, riusciranno a coniugare la doppia capriola con la prassi parlamentare .
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