Il premier e i primi effetti del voto sulla I nuovi equilibri nel governo Renzi
ROMA — Forte in Europa e senza avversari in Italia, da oggi ricomincia la luna di miele tra Renzi e il Paese, perché il risultato delle Europee ha di fatto resettato il suo rapporto con l’opinione pubblica che tre mesi di governo sembravano aver logorato: d’altronde non era mai accaduto che il voto decretasse un solo vincitore. Ma c’è un motivo se il premier ha scelto di non enfatizzare la vittoria, se ha detto che «Grillo non va sottovalutato». È vero che il tramonto del berlusconismo e il netto ridimensionamento dei Cinquestelle gli offrono la chance di aprire un lungo ciclo politico, ma la «febbre» del malcontento potrebbe tornare a salire rapidamente se non ottenesse al più presto dei risultati a Roma come a Bruxelles.
Non c’è dubbio quindi che il leader del Pd voglia accelerare sulle riforme, ed è consapevole che i suoi competitori non abbiano la forza né la voglia di cambiare la sua agenda, però sa di dover attendere che la polvere della competizione elettorale si posi, così da capire gli effetti del voto sugli equilibri delle forze alleate e avversarie. Effetti che potrebbero già modificare la squadra di governo e imporre a breve dei «cambi in corsa», al di là del rimpasto ipotizzato dopo il semestre europeo: se Lupi decidesse infatti di lasciare il ministero delle Infrastrutture per sedere a Strasburgo, Renzi sarebbe chiamato a operare una sostituzione di peso nel suo gabinetto.
È impensabile che Alfano, in tal caso, non chieda per un rappresentante del suo partito la guida di quel dicastero, cosi come è presumibile una trattativa con il premier. Certo, nessuna altra forza potrà vantare pretese, visto che Scelta civica è ridotta a prefisso telefonico, ma è anche vero che i rapporti di forza tra Pd e Ncd da domenica sono mutati e i Democratici potrebbero tentare di forzare la mano. Renzi tuttavia non ha interesse a rompere l’incantesimo nella sua coalizione, le parole di «gratitudine» rivolte ieri al Nuovo centrodestra dimostrano che il suo intento è di rassicurare l’alleato, unico «superstite» della mattanza elettorale, ma che — uscito debole dalla prova del voto — teme in prospettiva di venire soffocato dall’abbraccio. Non a caso Alfano ha provato a divincolarsi, dicendo che «il governo non è un monocolore Pd».
In ogni caso, ecco un primo effetto del test europeo, perché è evidente che se Lupi optasse per l’Europa, lo farebbe con l’intento di dedicarsi a tempo pieno di Ncd e del processo di ricostruzione del centrodestra. Un processo nel quale — per quanto possa apparire paradossale — Renzi è parte attiva. Abile nel tenere un piede nel campo di Agramante, il leader dei democrat si è finora garantito il rapporto con Berlusconi sulle riforme, garantendo così al Cavaliere una centralità nell’area moderata che al momento impedisce il progetto di ricostruzione. È un’Opa camuffata, quella di Renzi, mentre tra la «generazione dei quarantenni» di quel che fu il Pdl, si lancia i primi segnali. Tra le invettive reciproche degli esponenti forzisti e di Ncd dopo il voto, non è sfuggita l’apertura di Fitto — autentico acchiappa preferenze azzurro — alle primarie. «Almeno una cosa concreta», ha commentato Alfano. Il resto si vedrà, le Regionali saranno fra un anno…
La lunga marcia nel deserto che attende il centrodestra si fa più complicata proprio per la presenza sul sentiero di Renzi, che per un verso tiene nella maggioranza di governo Ncd e per l’altro tiene nella maggioranza per le riforme Forza Italia, alle prese con un dilemma: se assecondasse il premier nel progetto di revisione istituzionale, gli consegnerebbe almeno il successo alle prossime elezioni politiche; se rompesse, se ne assumerebbe la responsabilità, offrendo al capo del Pd la possibilità di denunciare chi vuole far restare l’Italia «nella palude» e di andare al voto anticipato nel ruolo della «vittima».
Sia chiaro, il premier mira a durare sfruttando la propria capacità attrattiva, e punta a costituire quel nuovo «arco costituzionale» di cui sarebbe l’artefice. Anche la manovra di accostamento ai grillini va letta in questo senso, in attesa di vedere come reagiranno i gruppi parlamentari dei Cinquestelle, dove il malcontento finora era stato tacitato dalla campagna elettorale. Al momento è necessario che la polvere della competizione si posi, prima che Renzi acceleri di nuovo, con un occhio alle riforme e uno alle manovre per il Colle, argomento affrontato nelle segrete stanze e tenuto al riparo per non bloccare la stagione costituente. Ma se il Parlamento dovesse davvero far sul serio e modificare la Carta, la corsa per il Quirinale (già iniziata) si aprirebbe ufficialmente.
Francesco Verderami
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ROMA — Forte in Europa e senza avversari in Italia, da oggi ricomincia la luna di miele tra Renzi e il Paese, perché il risultato delle Europee ha di fatto resettato il suo rapporto con l’opinione pubblica che tre mesi di governo sembravano aver logorato: d’altronde non era mai accaduto che il voto decretasse un solo vincitore. Ma c’è un motivo se il premier ha scelto di non enfatizzare la vittoria, se ha detto che «Grillo non va sottovalutato». È vero che il tramonto del berlusconismo e il netto ridimensionamento dei Cinquestelle gli offrono la chance di aprire un lungo ciclo politico, ma la «febbre» del malcontento potrebbe tornare a salire rapidamente se non ottenesse al più presto dei risultati a Roma come a Bruxelles.
Non c’è dubbio quindi che il leader del Pd voglia accelerare sulle riforme, ed è consapevole che i suoi competitori non abbiano la forza né la voglia di cambiare la sua agenda, però sa di dover attendere che la polvere della competizione elettorale si posi, così da capire gli effetti del voto sugli equilibri delle forze alleate e avversarie. Effetti che potrebbero già modificare la squadra di governo e imporre a breve dei «cambi in corsa», al di là del rimpasto ipotizzato dopo il semestre europeo: se Lupi decidesse infatti di lasciare il ministero delle Infrastrutture per sedere a Strasburgo, Renzi sarebbe chiamato a operare una sostituzione di peso nel suo gabinetto.
È impensabile che Alfano, in tal caso, non chieda per un rappresentante del suo partito la guida di quel dicastero, cosi come è presumibile una trattativa con il premier. Certo, nessuna altra forza potrà vantare pretese, visto che Scelta civica è ridotta a prefisso telefonico, ma è anche vero che i rapporti di forza tra Pd e Ncd da domenica sono mutati e i Democratici potrebbero tentare di forzare la mano. Renzi tuttavia non ha interesse a rompere l’incantesimo nella sua coalizione, le parole di «gratitudine» rivolte ieri al Nuovo centrodestra dimostrano che il suo intento è di rassicurare l’alleato, unico «superstite» della mattanza elettorale, ma che — uscito debole dalla prova del voto — teme in prospettiva di venire soffocato dall’abbraccio. Non a caso Alfano ha provato a divincolarsi, dicendo che «il governo non è un monocolore Pd».
In ogni caso, ecco un primo effetto del test europeo, perché è evidente che se Lupi optasse per l’Europa, lo farebbe con l’intento di dedicarsi a tempo pieno di Ncd e del processo di ricostruzione del centrodestra. Un processo nel quale — per quanto possa apparire paradossale — Renzi è parte attiva. Abile nel tenere un piede nel campo di Agramante, il leader dei democrat si è finora garantito il rapporto con Berlusconi sulle riforme, garantendo così al Cavaliere una centralità nell’area moderata che al momento impedisce il progetto di ricostruzione. È un’Opa camuffata, quella di Renzi, mentre tra la «generazione dei quarantenni» di quel che fu il Pdl, si lancia i primi segnali. Tra le invettive reciproche degli esponenti forzisti e di Ncd dopo il voto, non è sfuggita l’apertura di Fitto — autentico acchiappa preferenze azzurro — alle primarie. «Almeno una cosa concreta», ha commentato Alfano. Il resto si vedrà, le Regionali saranno fra un anno…
La lunga marcia nel deserto che attende il centrodestra si fa più complicata proprio per la presenza sul sentiero di Renzi, che per un verso tiene nella maggioranza di governo Ncd e per l’altro tiene nella maggioranza per le riforme Forza Italia, alle prese con un dilemma: se assecondasse il premier nel progetto di revisione istituzionale, gli consegnerebbe almeno il successo alle prossime elezioni politiche; se rompesse, se ne assumerebbe la responsabilità, offrendo al capo del Pd la possibilità di denunciare chi vuole far restare l’Italia «nella palude» e di andare al voto anticipato nel ruolo della «vittima».
Sia chiaro, il premier mira a durare sfruttando la propria capacità attrattiva, e punta a costituire quel nuovo «arco costituzionale» di cui sarebbe l’artefice. Anche la manovra di accostamento ai grillini va letta in questo senso, in attesa di vedere come reagiranno i gruppi parlamentari dei Cinquestelle, dove il malcontento finora era stato tacitato dalla campagna elettorale. Al momento è necessario che la polvere della competizione si posi, prima che Renzi acceleri di nuovo, con un occhio alle riforme e uno alle manovre per il Colle, argomento affrontato nelle segrete stanze e tenuto al riparo per non bloccare la stagione costituente. Ma se il Parlamento dovesse davvero far sul serio e modificare la Carta, la corsa per il Quirinale (già iniziata) si aprirebbe ufficialmente.
Francesco Verderami
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