Piccolo spaccio, «pene da ridurre»

by redazione | 30 Maggio 2014 14:35

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«Affer­ma­tiva». È que­sta la rispo­sta delle Sezioni unite della Cas­sa­zione alla domanda se fosse diritto delle per­sone con­dan­nate per pic­colo spaccio in via defi­ni­tiva, anche se reci­di­vanti, chie­dere uno sconto della pena in ese­cu­zione dopo la recente sen­tenza della Con­sulta che dichiara inco­sti­tu­zio­nale la legge Fini-Giovanardi e che va ad aggiun­gersi all’altro pro­nun­cia­mento emesso dalla Corte costi­tu­zio­nale nel 2012 con­tro una norma con­te­nuta nella cosid­detta ex Cirielli, la legge ad per­so­nam nata per sal­vare Pre­viti e Berlusconi.

Per avere infor­ma­zioni più pre­cise sulla moda­lità del rical­colo biso­gnerà atten­dere il dispo­si­tivo com­pleto, ma nell’«informazione prov­vi­so­ria» dira­mata ieri dal primo pre­si­dente Gior­gio San­ta­croce i giu­dici supremi hanno rispo­sto chia­ra­mente, acco­gliendo il ricorso pre­sen­tato dalla pro­cura di Napoli con­tro una sen­tenza che aveva negato ad un con­dan­nato per spacci di poche dosi di cocaina e di can­na­bis l’attenuante della lieve entità sull’aggravante della reci­diva. Al momento, stima l’amministrazione peni­ten­zia­ria, sono circa 3 o 4 mila i dete­nuti che potreb­bero bene­fi­ciare degli effetti di que­sta sen­tenza, tra i 14 mila in car­cere per la sola vio­la­zione dell’articolo 73 della legge sulle dro­ghe («23 mila, di cui il 40% stra­nieri, quelli per vio­la­zione dell’intera nor­ma­tiva», secondo il sin­da­cato di poli­zia peni­ten­zia­ria Sappe) pre­sen­tendo però al giu­dice dell’esecuzione la richie­sta di revi­sione della pena.

«Il giu­dice dell’esecuzione, ove ritenga pre­va­lente sulla reci­diva la cir­co­stanza atte­nuante», scrive la Cas­sa­zione a Sezioni unite, ai fini della ride­ter­mi­na­zione della pena dovrà pren­dere in con­si­de­ra­zione il testo di legge pre­ce­dente alla Fini-Giovanardi, can­cel­lata nel feb­braio scorso, «senza tenere conto di suc­ces­sive modi­fi­che di legge». Ossia, senza con­si­de­rare il “decreto Loren­zin” che tra­sforma la cir­co­stanza atte­nuante dello spaccio di lieve entità in fat­ti­spe­cie auto­noma di reato, innal­zando però le pene edit­tali per le dro­ghe leg­gere. In que­sto modo, i giu­dici supremi di Piazza Cavour smen­ti­scono l’orientamento giu­ri­spru­den­ziale che vor­rebbe le sen­tenze pas­sate in giu­di­cato intangibili.

Il ver­detto della Cas­sa­zione «inci­derà signi­fi­ca­ti­va­mente» sul sovraf­fol­la­mento car­ce­ra­rio, ha detto ieri il mini­stro di Giu­sti­zia, Andrea Orlando. «Non sap­piamo dire esat­ta­mente con quali numeri», ha aggiunto il Guar­da­si­gilli, ma «que­sto ci fa dire che l’uscita dall’emergenza sarà pro­ba­bil­mente più rapida». In realtà, senza un inter­vento poli­tico si dila­tano a dismi­sura i tempi per la libe­ra­zione di chi ingiu­sta­mente sta scon­tando una con­danna per effetto di una norma penale dichia­rata inco­sti­tu­zio­nale anche se, come spiega l’informativa della Cas­sa­zione, «diversa dalla norma incri­mi­na­trice ma che incide sul trat­ta­mento san­zio­na­to­rio». «Aumen­te­ranno a dismi­sura i cari­chi dei giu­dici ordi­nari che dovranno affron­tare i pro­ce­di­menti came­rali attra­verso i quali si dovrà rical­co­lare al ribasso la pena di migliaia di dete­nuti», avverte Rita Ber­nar­dini. La segre­ta­ria dei Radi­cali ita­liani invita le isti­tu­zioni ad «atti­varsi imme­dia­ta­mente per un prov­ve­di­mento di amni­stia e di indulto che, libe­rando le scri­va­nie dei magi­strati, con­sen­ti­rebbe di indi­riz­zare mag­giori forze per per­se­guire i reati gravi e farebbe uscire dal car­cere chi deve scon­tare gli ultimi due o tre anni di deten­zione fra i quali le migliaia di reclusi vit­time della Fini-Giovanardi». Anche l’Unione delle camere penali parla di «sovrac­ca­rico sul sistema giu­di­zia­rio» e sot­to­li­nea la dispa­rità di trat­ta­mento che si potrebbe creare a causa della discre­zio­na­lità dei giu­dizi. Per i pena­li­sti «l’applicazione di que­sta sen­tenza non risolve» il pro­blema del sovraf­fol­la­mento car­ce­ra­rio e «non spo­sta nulla rispetto alla neces­sità di un prov­ve­di­mento di cle­menza generalizzato».

Una sen­tenza, que­sta, che «mette l’Italia al passo con la giu­ri­spru­denza di Stra­sburgo –ha spie­gato Giu­seppe Maria Ber­ruti, diret­tore dell’Ufficio del Mas­si­ma­rio della Cas­sa­zione – e, insieme alle due sen­tenze della Con­sulta, ci mette più in regola con la Carta di diritti dell’uomo. Il diritto non è immo­bile – ha aggiunto – cam­bia a seconda del qua­dro sto­rico di rife­ri­mento e que­sta vicenda dimo­stra che il qua­dro sto­rico è mutato rispetto a quando la legge Fini-Giovanardi venne ema­nata». Otto anni, migliaia di con­dan­nati e per­fino qual­che morte fa.

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