by redazione | 28 Maggio 2014 12:14
«E ora portiamo la nostra vittoria a Bruxelles». Marine Le Pen non ha dubbi e annuncia già che riuscirà a trasformare in qualcosa di concreto i consensi raccolti dai populisti di destra in tutta Europa: più di cento eurodeputati eletti nei 28 paesi della Ue e un inquietante primo posto in Francia, Gran Bretagna e Danimarca.
Le grandi manovre, in questo senso, si aprono oggi con l’incontro che proprio la leader del Front National ha fissato nella capitale dell’Unione con i suoi omologhi continentali. L’obiettivo è quello di costituire un gruppo autonomo all’interno del parlamento europeo entro il 24 giugno che rappresenterebbe non solo un segnale politico di grande rilievo, ma anche la possibilità concreta di accedere a copiosi rimborsi e strutture ulteriori rispetto a quelle che spettano agli indipendenti.
Per il momento ai 24 eletti del Front National si dovrebbero sommare i 3 del Partij voor de Vrijheid di Wilders, i 4 dell’Fpö austriaco, i 5 della Lega e l’unico eurodeputato rimasto agli xenofobi fiamminghi del Vlaams Belang. Per formalizzare la nascita di un eurogrupppo ci vogliono però un totale di 25 eletti, e qui ci siamo già, ma espressione di 7 paesi, e in questo caso mancano altre due unità. I più corteggiati da Le Pen sono, al momento, i Democratici Svedesi, che contano due eletti, i 4 rappresentanti del Kongres Nowej Prawicy, il Congresso della nuova destra polacca, e i due della Nacionala apvieniba, l’Alleanza nazionale lettone.
Priva di fondamento risulta invece la notizia, diffusa inizialmente dalla Reuters e subito rettificata, ma che molti organi di informazione nel nostro paese hanno continuato a diffondere per tutta la giornata, secondo cui Le Pen si sarebbe detta pronta a incontrare e ad allearsi anche con i neonazisti greci di Alba Dorata, che hanno eletto due parlamentari europei. Intervistata dal canale allnews francese Bfmtv, Le Pen aveva infatti affermato l’esatto contrario: «In nessun caso faremo accordi con movimenti estremisti e antisemiti come Jobbik e Alba Dorata».
D’altro canto, altrettanto fuori discussione è la possibilità che il Front National e i suoi alleati si mettano d’accordo con un’altra componente della folta pattuglia populista appena sbarcata a Bruxelles, quella guidata, su posizioni solo parzialmente più «moderate», dallo United Kingdom Independence Party di Nigel Farage che conta 23 eletti. L’Ukip rifiuta ogni contatto con il partito di Le Pen, definito più volte «antisemita», e auspica invece un accordo con il Movimento 5 Stelle che ha 21 eurodeputati.
Farage, che detiene «le chiavi di casa» di un gruppo già esistente a Bruxelles, quello di Europa della Libertà e della Democrazia che fino a domenica poteva contare su 32 eletti, oltre ai grillini sta facendo delle avance anche al Partito del popolo danese, 4 eletti, all’Alternative für Deutschland, 7, al Partito dei cittadini liberi della Repubblica ceca, 2 e ai Veri finlandesi, un seggio. Contatti in tal senso sarebbero in corso anche con gli indipendentisti della Nuova alleanza fiamminga, che ha 4 eletti, e alcune formazioni minori dei paesi baltici.
Farage e Le Pen, che in molti immaginavano come possibili alleati, appaiono invece ora come acerrimi rivali, visto che non è ancora certo se ci saranno i numeri per formare non uno soltanto, ma ben due gruppi a destra di quello del Partito popolare europeo. Anche perché, in realtà, l’area politica di confine tra l’ultradestra e i conservatori a Bruxelles è già presidiata dal gruppo dei Conservatori e riformisti europei, guidato dai Tory di David Cameron, forti di 19 seggi, e dal Prawo i Sprawiedliwosc, il partito Diritto e giustizia polacco di Jaroslaw Kaczynski, che di eletti ne ha altrettanti.
Resta il punto politico di un parlamento che ha visto perlomeno raddoppiare gli esponenti di formazioni populiste, anti-euro e anti-Ue, ma anche dell’estrema destra identitaria, xenofoba e addirittura neonazista. Non formeranno nessun gruppo comune, ma a Bruxelles, oltre a quelli di Alba Dorata, sono arrivati anche 3 eurodeputati di Jobbik e Udo Voigt, il leader dei Nazionaldemocratici tedeschi, noto per aver definito Adolf Hitler come un «grande statista».
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