by redazione | 20 Maggio 2014 10:21
L’Europa non cambia verso. Più forti della propaganda delle cancellerie sono i numeri. E i dati Eurostat diffusi ieri non lasciano scampo: il tasso di occupazione nel Vecchio continente è diminuito nel 2013 per il quinto anno consecutivo. Nonostante le «riforme» tanto care a Bruxelles, Berlino e Franconforte, la tendenza generale all’abbassamento delle tutele per i lavoratori non produce risultati positivi: l’incidenza di persone con un impiego sul totale della popolazione continua a ridursi.
Il dato complessivo sui 28 Paesi Ue è negativo (68,3%, pari a –0,1% rispetto all’anno precedente), ma lo è molto di più quello riferito all’Italia, dove il calo è dell’1,2%. Il tasso del 2013 ammonta al 59,8%, che rappresenta un ritorno ai livelli di occupazione del 2002. Nel 2008, all’inizio della «grande crisi», a lavorare erano 63 cittadini italiani su 100. Peggio del Belpaese stanno soltanto la Grecia (ultima in classifica con il 53,2%), la Croazia (53,9%) e la Spagna (58,2%).
Commentando questi numeri, il premier Matteo Renzi (che ha ricevuto in visita ufficiale il collega polacco Donald Tusk) ha rilevato che nel 2013 «sul lavoro si è toccato un punto molto basso», ma inizia «a vedere i segni di una ripresa». Dove, è un mistero.I dati diffusi ieri dall’isituto ufficiale di statistica della Ue fanno il paio, infatti, con quelli resi noti la scorsa settimana in relazione alla crescita del primo trimestre 2014 (-0,1%) e alla disoccupazione che non accenna a diminuire in modo considerevole.
I Paesi dell’Unione in miglior stato di salute sono Svezia e Germania, con tassi rispettivamente del 79,8 e del 77,1%. Positivo è anche il dato del Regno Unito, dove la percentuale di occupati è cresciuta lo scorso anno dello 0,7. Un impercettibile miglioramento si è registrato in Francia (+0,1), dove il tasso era cresciuto di poco già l’anno precedente. Tra i migliori della classe, Repubblica ceca, Estonia, Irlanda dove la cifra degli occupati è cresciuta di oltre l’1%. La performance migliore è quella del più piccolo stato della Ue, Malta: le statistiche fanno registrare un incremento della percentuale di persone al lavoro di quasi 2 punti.
Rispetto agli obiettivi fissati dalla strategia della Commissione di Bruxelles «Europa 2020», proprio la piccola isola-stato è uno dei due Paesi ad averli centrati: l’altro è la Germania. Certo, questi numeri sono una spia dello stato di salute macroeconomico, ma non dicono molto (anzi, nulla) della qualità del lavoro che viene «misurato»: dall’impiego a tempo indeterminato a quello intermittente e precario tutto finisce nello stesso calderone. Un dato disaggregato offerto da Eurostat è quello relativo al tasso di occupazione delle persone tra i 55 e i 64 anni: in quel particolare segmento, l’Italia cresce. L’aumento rilevato è consistente: +2,3%, oltre la media Ue, che è pari all’1,3%. Che sia una buona notizia, è tutto da dimostrare: bisognerebbe chiedere ai lavoratori che hanno subito gli effetti della «riforma» Fornero che cosa pensino al riguardo.
E a proposito di età pensionabile, ieri in Germania è arrivato il via libera definitivo, sul piano politico, alla modifica della normativa che riguarda i lavoratori con maggiore anzianità. Dopo il salario minimo legale a 8,5 euro l’ora, è un’altra promessa elettorale dei socialdemocratici della Spd che si realizza: le persone che hanno alle spalle 45 anni di lavoro potranno ritirarsi a 63 anni. Si tratta di una deroga al principio «sacro» della pensione a 67 anni, che arriva dopo anni di battaglie dei sindacati (molto soddisfatti della novità) e dopo una difficile trattativa fra i partiti della grosse Koalition.
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