Migliaia di fascicoli su politici e favori L’archivio di Scajola sotto sequestro
ROMA — Decine di raccoglitori catalogati per nome e per argomento. Documenti riservati, veri e propri dossier che l’ex ministro dell’Interno Claudio Scajola custodiva nei propri studi di Roma e Imperia oltre che a Villa Ninnina, la lussuosa dimora ligure a Diano Calderina. È l’archivio messo sotto sequestro dagli investigatori della Dia per ordine dei pubblici ministeri di Reggio Calabria. Non è l’unico. In una cantina della segretaria di Amedeo Matacena, Maria Grazia Fiordelisi, sono state trovate migliaia di carte che dovranno essere adesso analizzate. Materiale prezioso per l’inchiesta che ha portato in carcere Scajola e tutte le persone che negli ultimi mesi hanno protetto e agevolato — secondo l’accusa — la latitanza di Matacena, l’ex deputato di Forza Italia condannato a cinque anni di pena per complicità con la ‘ndrangheta. Le verifiche si concentrano poi sulle movimentazioni bancarie, per ricostruire i flussi finanziari che avrebbero consentito a Scajola e agli altri di mettere in sistema il «programma criminoso», come lo hanno definito i magistrati motivando la scelta di indagarli anche per concorso esterno in associazione mafiosa. In particolare emergono alcuni trasferimenti di denaro, considerati sospetti, effettuati da Chiara Rizzo, la moglie dell’ex parlamentare riparato a Dubai.
Scajola «socialmente
pericoloso»
Nella loro richiesta di cattura gli inquirenti — il procuratore di Reggio Calabria Federico Cafiero De Raho, il sostituto Giuseppe Lombardo e il pm nazionale antimafia Francesco Curcio — evidenziano come le risultanze investigative «costituiscono uno spaccato di drammatica portata, in grado di enfatizzare la gravità “politica” del comportamento penalmente rilevante consumato da Scajola, il cui disvalore aumenta a dismisura proprio nel momento in cui lo si mette in correlazione al delitto di concorso esterno in associazione di tipo mafioso posto in essere da Matacena, da considerare la manifestazione socio-criminale più pericolosa per uno Stato di diritto che un ex parlamentare ed ex ministro dell’Interno dovrebbe avversare con tutte le sue forze e che, invece, consapevolmente sostiene, agevola, rafforza».
Al momento di sollecitare l’arresto preventivo chiedono che sia disposto il trasferimento in carcere per due motivi: «Da un lato l’obiettiva gravità dei fatti reato e dall’altro la evidente pericolosità sociale dei prevenuti, quali risultano dall’estremo allarme riconnesso a condotte delittuose poste in essere in modo programmato». Tutto questo, aggiungono, «non solo è essenziale alla conservazione ed al rafforzamento della capacità di intimidazione che deriva dal vincolo associativo che caratterizza l’organizzazione di tipo mafioso a favore della quale il contributo consapevole di Matacena è stato prestato, ma si pone come ineludibile passaggio al fine di evitare o, comunque, arginare l’espansione in ambiti imprenditoriali e politici delle consorterie criminali di tipo mafioso, potenzialmente in grado di condizionare in modo irreversibile tali ambiti decisionali ed operativi». E concludono: «Tale giudizio negativo, che si riflette inevitabilmente in termini di concretezza e specificità anche sulla valutazione del pericolo di reiterazione di analoghe condotte delittuose, risulta rafforzato dalla capacità criminosa degli indagati».
Le carte
riservate
Sono migliaia i documenti che Scajola conservava seguendo un metodo che gli investigatori definiscono «maniacale». Riguardano politici, imprenditori, personaggi con i quali ha avuto a che fare nel corso della sua lunga e intensa attività. Ma anche affari, viaggi, richieste di interventi, raccomandazioni. Qualche settimana fa, nell’ambito di un’inchiesta che riguarda il porto d’Imperia, i magistrati della Procura locale gli avevano sequestrato materiale riservato risalente all’epoca in cui era ministro dell’Interno. Comprese alcune relazioni su Marco Biagi. In quell’occasione si trattò di una ricerca mirata. Giovedì scorso, invece, gli inquirenti calabresi hanno deciso di portare via l’intero archivio, alla ricerca di ogni elemento utile a sostenere l’accusa più grave. Non solo lì.
Quando sono arrivati nell’abitazione sanremese della segretaria di Matacena, Maria Grazia Fiordelisi, gli agenti della Dia hanno scoperto che la donna aveva la disponibilità anche di una cantina. E in esecuzione dell’ordine dei magistrati che prevedeva la verifica «delle pertinenze e dei locali annessi a tutti gli immobili», alla ricerca degli indizi necessari a «ricostruire la genesi e la natura dei rapporti tra i soggetti sottoposti a indagini», hanno deciso di controllarla. Senza immaginare di poter trovare tanto materiale. Nello scantinato c’erano infatti — pure in questo caso classificati in faldoni — molti documenti relativi all’attività dell’ex parlamentare condannato.
Movimenti per milioni di euro
Un intero capitolo della richiesta d’arresto è dedicato ai «riscontri economico-finanziari» che i pubblici ministeri ritengono di aver trovato all’ipotesi accusatoria. Sono elencate decine di movimentazioni bancarie che ora gli indagati saranno chiamati a chiarire. In particolare sui conti di Chiara Rizzo risultano trasferimenti di denaro di vari importi. Alcuni molto consistenti, come quello del 15 luglio 2009 per 952.000 euro; oppure quello da 270.000 euro effettuato nel 2010 attraverso la Compagnie Monegasque de Banque – Principato di Monaco, Paese nel quale la signora Matacena ha spostato la residenza.
Sotto osservazione è finito pure il patrimonio della madre del condannato, anch’essa indagata nell’inchiesta calabrese e ora agli arresti domiciliari, con particolare attenzione agli spostamenti di soldi tra l’Italia e l’estero.
Giovanni Bianconi, Fiorenza Sarzanini
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