A Lubljana si dimette la premier Bra­tušek, via il n. 2 a Zagabria

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Il pre­mier slo­veno Alenka Bra­tušek, lunedì ha ras­se­gnato le dimis­sioni al capo dello stato, ponendo fine a una crisi ini­ziata il 26 aprile. Una fine comin­ciata con le ele­zioni per il capo del par­tito Slo­ve­nia Posi­tiva. Bra­tušek è stata scon­fitta dal fon­da­tore del par­tito Zoran Jan­ko­vic, sin­daco di Lubiana. La vit­to­ria di Jan­ko­vic così ha fatto sal­tare la coa­li­zione di cen­tro­si­ni­stra, per­ché i social­de­mo­cra­tici, dopo il ritorno di Jan­ko­vic, hanno annun­ciato l’uscita dall’esecutivo. Già nel 2011, Slo­ve­nia posi­tiva risultò il par­tito più grande, ma i social­de­mo­cra­tici non vol­lero coa­liz­zarsi: anche allora Jan­ko­vic risul­tava un equi­voco nou­veau riche. Dopo la caduta del governo Janša, nel feb­braio 2013, per le rivolte di piazza e le inchie­ste sulle tan­genti inta­scate da Janša, nac­que il governo Bra­tušek. Janša, lea­der del nazio­na­li­smo slo­veno anti­ju­go­slavo degli anni Novanta, è stato recen­te­mente con­dan­nato in forma defi­ni­tiva per tan­genti inta­scate per la com­pra­ven­dita di mezzi coraz­zati da una azienda fin­lan­dese. Tra poco dovrebbe ini­ziare a scon­tare la pena di due anni, che pro­ba­bil­mente pas­serà agli arre­sti domi­ci­liari. Il ritorno di Jan­ko­vic è enig­ma­tico, forse die­tro c’è l’ambizione di diven­tare pre­mier, men­tre Janša pare uscire di scena e i social­de­mo­cra­tici non rie­scono a ripren­dersi. Forse le ragioni del ritorno sono da cer­care nelle sue beghe con la giustizia.

Le dimis­sioni del pre­mier fanno seguito anche all’accordo tra i part­ner di coa­li­zione di non pro­porre un pre­mier di tran­si­zione, ma di andare alle ele­zioni anti­ci­pate; la Slo­ve­nia andrà alle ele­zioni pro­ba­bil­mente nei primi di luglio. Così quest’anno ci saranno ben quat­tro con­sul­ta­zioni elet­to­rali: le euro­pee, le poli­ti­che, quelle locali e infine un refe­ren­dum voluto dalla destra sulla pub­bli­ca­zione di nomi con­te­nuti negli archivi della poli­zia poli­tica dell’epoca socialista.

«Bra­tušek — secondo Luka Mesec, di Sini­stra Unita — è riu­scita a fare più di Janša: il debito pri­vato è diven­tato debito pub­blico, e il governo ha inau­gu­rato rigide poli­ti­che di auste­rità e di sven­dita del patri­mo­nio. Entro fine anno avrebbe ven­duto 15 aziende pub­bli­che. In que­sto senso, la caduta del governo ferma il piano ed è una cosa buona». A meno di un mese dalle ele­zioni euro­pee, l’impressione è che la destra sarebbe in ginoc­chio se a risol­le­varla non ci avesse pen­sato il cen­tro­si­ni­stra, con sua liti­gio­sità e accon­di­scen­denza verso le poli­ti­che neoliberiste.

Lo stesso vale anche per il cen­tro­si­ni­stra croato che, non in grado di for­nire un’alternativa al libe­ri­smo, si accon­tenta di que­stioni morali. Mar­tedì il pre­mier social­de­mo­cra­tico Zoran Mila­no­vic ha licen­ziato il mini­stro delle finanze Sla­vko Linic, un qua­dro del par­tito, con forti appoggi a Fiume, roc­ca­forte dei social­de­mo­cra­tici. Per adesso non si tratta di una crisi di governo, ma di una poten­ziale crisi del par­tito al potere. I rap­porti tra i due erano tesi, ma il casus belli è stato il risa­na­mento di un’industria di legname. Per la dire­zione delle entrate, Linic avrebbe sopra­va­lu­tato i ter­reni agri­coli dell’azienda, per poi com­prarli e sal­dare così i debiti che aveva con l’erario. In que­sto modo però, avrebbe dan­neg­giato il bilan­cio dello Stato per sva­riati milioni. Il mini­stro si è difeso dichia­rando che con que­sta ope­ra­zione ha sal­vato 600 posti di lavoro e ha risa­nato l’azienda. Col­pi­sce che le valu­ta­zioni fatte da due enti sta­tali del mede­simo ter­reno pos­sono diver­gere anche per decine di milioni.

Il pre­mier ha riba­dito la fidu­cia nella Dire­zione «puro stru­mento neu­trale», affer­mando che le mani pulite sono più impor­tanti delle ele­zioni. Ma il rischio vero è che il cen­tro­si­ni­stra si ritrovi con le mani vuote di alternativa.


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