L’Europa ringrazi gli antieuropei

L’Europa ringrazi gli antieuropei

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PER fortuna ci sono gli antieuropei. Che scendono in piazza contro l’Unione Europea e contro l’euro. Per fortuna dell’Europa. Ma, in fondo, anche di Renzi e del Pd. Perché grazie agli antieuropei si parla dell’Europa.
E grazie al M5s, oltre che a Renzi, anche il Pd ha ritrovato le piazze. Gli antieuropei. Sono i soli soggetti politici a mobilitarsi e a mobilitare l’opinione pubblica, in questa fase. D’altronde, l’Unione Europea piace a pochi. (Come emerge da un sondaggio Demos-Pragma per la Fondazione Unipolis, gennaio 2014.) Esprime fiducia nei suoi riguardi il 27% degli elettori, in Italia, come in Gran Bretagna (che, però, è fuori dall’euro), il 33% in Francia, il 38% in Spagna. Solo in Germania il consenso nella Ue è maggioritario (55%). Non a caso, visto che la Germania costituisce l’asse portante dell’Unione. E gran parte del malessere, negli altri Paesi, dipende proprio da questo. Altrettanto — e, forse, più — negativo è il giudizio sulla moneta. Sull’euro. Poco più del 12 per cento degli italiani (intervistati da Demos, ottobre 2013) ritiene, infatti, che la moneta unica abbia prodotto «vantaggi». Meno di metà rispetto a dieci anni prima, quando l’entusiasmo seguito all’ingresso nella moneta si era già consumato.
Nell’aria si respira, dunque, una diffusa euro-delusione, particolarmente densa presso le componenti sociali più vulnerabili. Gli operai, le casalinghe, i disoccupati. Ma anche i lavoratori autonomi. Soprattutto nel Centro Sud. Non c’è, dunque, da sorprendersi di fronte a questa “singolare” campagna elettorale
europea. Nessuno che si azzardi a dirsi europeista, in modo convinto. Tanto meno, a favore dell’euro. Non solo in Italia. Ma soprattutto in Italia. Prevalgono gli argomenti eurodelusi. Eurocritici, se non euroscettici. Disposti, al più, a indicare “l’Europa che vorremmo”. Che costruiremo. Domani. In caso di vittoria e di governo. Mentre ben più espliciti e determinati sono i soggetti — e i messaggi — politici antieuropei. Contro l’Europa delle banche e dei mercati, dei burocrati e dei funzionari. Contro l’Europa che neutralizza la sovranità degli Stati nazionali e/o dei popoli.
Al più, l’Europa disegnata da questa campagna elettorale è un “non-luogo”. Un’entità incerta e indefinita. Per questo la campagna anti-europea diventa utile. Non tanto quella opportunista, condotta da Berlusconi, che contesta l’Europa (e la Germania) che lo contesta. Ma l’antieuropeismo determinato e convinto. Espresso, soprattutto, dalla Lega e dal M5s. La Lega, in nome dell’Europa dei popoli. E dell’indipendenza del popolo padano, in particolare. Il M5s, contro la democrazia in-diretta — e poco democratica — delle istituzioni europee. Definite, da Grillo, «un club Med, un dolce esilio dei trombati alle elezioni nazionali ». Ma, soprattutto, contro l’euro. Non a caso, il M5s propone di restare nella Comunità (non nell’Unione) Europea, ma di uscire dall’euro. Di tornare alla moneta nazionale.
Con un referendum.
Ecco, la Lega e, soprattutto, il M5s — su posizioni peraltro lontane e diverse — hanno, comunque, il merito di porre l’Europa, le sue istituzioni, la sua moneta al centro del dibattito. Per paradosso, sono i principali partigiani dell’Europa e dell’euro. Perché li prendono sul serio. E suggeriscono, al tempo stesso, la questione che dovrebbe, davvero, venire posta e sottoposta a tutti, in questa fase. E cioè: cosa succederebbe se uscissimo davvero dall’Unione Europea? E dall’euro?
A dare ascolto ai sondaggi — che ovviamente non sono referendum — il risultato sembrerebbe netto e scontato. Il disincanto europeo, infatti, non pare giungere fino al punto di rottura. Fino a sfociare in euro-scetticismo o, peggio, in euro-rifiuto. Meno di un italiano su quattro, infatti, pensa che converrebbe uscire dalla Ue. Mentre meno del 30% pensa che l’Italia dovrebbe abbandonare l’euro e tornare alla lira. Gli italiani, dunque, in larghissima maggioranza, anche se insoddisfatti, restano attaccati alla Ue e all’euro. Perché temono che, “fuori” dall’euro e dalla Ue, le cose andrebbero peggio. Potrebbero precipitare. E dunque: l’Europa e l’euro “nonostante tutto”, potremmo dire (echeggiando la formula coniata da Edmondo Berselli per l’Italia).
Il problema è che non è facile sostenere le buone ragioni
di un’idea e di un progetto “nonostante tutto”. Così prevale il silenzio. La reticenza. I sussurri. Gli unici a gridare sono gli anti Ue e soprattutto gli anti euro. Come Grillo. Che, peraltro, ha spostato la campagna delle europee sul piano interno. Nazionale. Non solo, ma soprattutto lui. Perché Grillo e il M5s sono divenuti i principali antagonisti del governo e di Renzi. Hanno trasformato il voto in un referendum: pro o contro Renzi. Pro o contro il M5s. Grillo, proprio per questo, sta mobilitando le piazze. Come prima del voto del febbraio 2013. Con la differenza, rispetto a un anno fa, che anche il Pd di Renzi lo ha seguito sullo stesso terreno. Che poi è il teatro tradizionale della sinistra. La piazza.
Al di là dello scontro sui numeri, in base a report giornalistici e fotografici, com’è avvenuto in occasione delle recenti manifestazioni di Reggio Emilia, la novità è questa. Non solo Grillo, ma anche il Pd di Renzi è tornato in piazza. Non avveniva da tempo. Ma di ciò deve ringraziare “anche” la sfida di Grillo. Che lo costringe a mobilitarsi, a rafforzare la propria identità attraverso la partecipazione e la comunicazione “pubblica”. Ad agire come un “partito”. Così gli antieuropei ci costringono a parlare dell’Europa e delle sue ragioni. Senza svalutarle. In quest’epoca di non-luoghi e di non-partiti, non mi pare una cattiva notizia.


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