Kiev non tratta e l’est conferma il referendum

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Le dichia­ra­zioni di Putin sul ritiro delle truppe russe dal con­fine con l’Ucraina e su un pos­si­bile rin­vio del refe­ren­dum pre­vi­sto per l’11 mag­gio a Done­tsk, non sono pas­sate inos­ser­vate, cau­sando una rea­zione a catena di rispo­ste pro­ve­nienti dai diversi schie­ra­menti. Per primo, il governo di Kiev, tra­mite il pre­si­dente ad inte­rim Tur­chy­nov, ha negato ogni even­tuale trat­ta­tiva «con un gruppo armato di ter­ro­ri­sti che ten­gono in ostag­gio la popo­la­zione», ma ha aperto ad un pos­si­bile dia­logo con i prin­ci­pali rap­pre­sen­tanti poli­tici ed eco­no­mici delle regioni orientali.

Da Mosca hanno fatto seguito le parole del vice­mi­ni­stro della Difesa Anto­nov, che ha denun­ciato come nell’area orien­tale le con­tro­mi­sure per assi­cu­rare la pace siano prese esclu­si­va­mente a senso unico, men­tre cade sotto silen­zio la pre­senza di un forte con­tin­gente dell’esercito ucraino al con­fine con la Fede­ra­zione russa o il raf­for­za­mento dei mili­tari Nato nell’Europa orien­tale. Secondo Mosca sareb­bero almeno 15mila i sol­dati ucraini ai con­fini. Nel pome­rig­gio di ieri era attesa anche una rispo­sta da parte del governo seces­sio­ni­sta di Done­tsk, che non ha tar­dato ad arri­vare. «Il refe­ren­dum sulla seces­sione non verrà riman­dato e nem­meno le cele­bra­zioni orga­niz­zate per ricor­dare la grande vit­to­ria otte­nuta nella Guerra Patriottica.

La gente del Don­bass il 9 mag­gio inva­derà le strade e festeg­gerà la pro­pria libertà ed indi­pen­denza dal governo gol­pi­sta di Kiev con o senza l’appoggio di Putin e della Fede­ra­zione Russa». Que­sto è il noc­ciolo del discorso tenuto dal capo del governo della Repub­blica popo­lare, Denis Pushlin, affian­cato da molti dei depu­tati seces­sio­ni­sti in un’aula gre­mita di gior­na­li­sti pro­ve­nienti da ogni parte del mondo.

Quello del refe­ren­dum è un appun­ta­mento irri­nun­cia­bile per i lea­der filo-russi, che hanno rifiu­tato la pro­po­sta giunta da Mosca, influen­zati forse anche dal diniego a una trat­tiva giunto da Kiev. «Se Putin ci chiede que­sto, vuol dire che non ha capito in che con­di­zioni vive la nostra gente e quali sof­fe­renze deve sopportare».

Quest’ultima frase appare come uno schiaffo sul volto dell’unico uomo che non ha mai fatto man­care ai sepa­ra­ti­sti il pro­prio appog­gio poli­tico, eco­no­mico e, pro­ba­bil­mente, almeno secondo Kiev, anche mili­tare. Una simile evo­lu­zione era però pre­ve­di­bile: mesi di duri scon­tri hanno creato una frat­tura irre­pa­ra­bile nei rap­porti tra gli insorti di Done­tsk ed il governo di Kiev che non poteva tro­vare solu­zione attra­verso una paci­fica trat­ta­tiva. Il sistema si è messo in moto ed ormai non può più essere fer­mato: in tutta la regione sono già state pre­di­spo­ste oltre 1200 sedi (muni­cipi, scuole e ospe­dali) pronte ad acco­gliere i cit­ta­dini che l’11 mag­gio deci­de­ranno di pre­sen­tarsi libe­ra­mente alle urne per espri­mere il pro­prio voto.

Intanto in città ci si aspetta in gior­nata una cospi­cua affluenza di mani­fe­stanti filo-russi ma anche cor­tei di pro­te­sta da parte dei mili­tanti pro-ucraini. Su quella che si terrà in piazza Lenin però ancora sor­gono molti dubbi: nes­suno può dire con cer­tezza se sarà una mani­fe­sta­zione paci­fica o si tra­sfor­merà pre­sto in una delle tante bat­ta­glie tra oppo­sti schie­ra­menti che da un mese a que­sta parte carat­te­riz­zano la vita nell’Ucraina dell’est.

Ieri non è man­cato l’intervento di Bru­xel­les, par­ti­co­lar­mente attenta all’evoluzione della crisi. La por­ta­voce dell’Alta rap­pre­sen­tante dell’Ue Cathe­rine Ash­ton, ha assi­cu­rato come la situa­zione in futuro verrà moni­to­rata da vicino e con molta atten­zione. Il refe­ren­dum «non è stato auto­riz­zato e non ha alcuna legit­ti­mità demo­cra­tica. Può sola­mente por­tare a una ulte­riori esca­la­tion della ten­sione». «Sot­to­li­neiamo con enfasi che i refe­ren­dum non dovreb­bero tenersi nè l’11 mag­gio nè mai», ha aggiunto Ash­ton. Sem­bra dun­que che ieri sia stato com­piuto un passo senza ritorno: ormai privo dell’appoggio russo, la Repub­blica popo­lare di Done­tsk si tro­verà da sola ad affron­tare la ripresa delle osti­lità che in molti pre­ve­dono per i giorni suc­ces­sivi al referendum.



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