« i Nakba », la banca della memoria

by redazione | 13 Maggio 2014 9:08

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«È cono­sciuta come la “Legge della Nakba ”. Vieta che si svol­gano com­me­mo­ra­zioni nell’anniversario della fon­da­zione di Israele. In sostanza un cit­ta­dino arabo pale­sti­nese non ha il diritto di ricor­dare la tra­ge­dia del suo popolo. Con ogni pro­ba­bi­lità è un caso unico al mondo, non rie­sco ad imma­gi­nare l’approvazione di una legge volta a vie­tare che il 4 luglio i Nativi ame­ri­cani pos­sano ricor­dare com­me­mo­rare ciò che per loro ha signi­fi­cato la nascita e lo svi­luppo degli Stati Uniti». Eitan Bron­stein cerca di essere chiaro men­tre spiega la Nakba (Cata­strofe) pale­sti­nese e come è vista e vis­suta dagli israe­liani. Davanti a lui ci sono una tren­tina di tede­schi, in mag­gio­ranza per­sone di mezza età, che da alcuni giorni girano tra Israele e Ter­ri­tori pale­sti­nesi occu­pati facendo incon­tri con espo­nenti della società civile, atti­vi­sti, rap­pre­sen­tanti poli­tici. Il mee­ting è a Tel Aviv, nella sede dell’associazione israe­liana Zochrot (Ricor­dando, in ebraico). «In que­sti giorni — aggiunge Bron­stein — men­tre il paese cele­bra la rea­liz­za­zione del pro­getto sio­ni­sta nel 1948, noi di Zochrot mostriamo l’altro lato della meda­glia: l’espulsione, l’esodo e la spo­lia­zione che i pale­sti­nesi hanno subìto e che chia­mano la Cata­strofe, Nakba. Molti israe­liani pen­sano che que­sta parola sia stata scelta dagli arabi per indi­care la nascita di Israele, ma non è così. Que­sta parola descrive la cata­strofe che si è rea­liz­zata in un arco di tempo a danno di un intero popolo».

Non sarà un’attività «eroica» quella dei mem­bri dell’associazione Zochrot, in pre­va­lenza israe­liani ebrei, ma certo non è facile andar­sene in giro a pro­muo­vere la com­pren­sione della Nakba pale­sti­nese, a rife­rire la nar­ra­zione araba del 1948, a rac­con­tare l’«altra sto­ria», in un paese dove gran parte della popo­la­zione si pro­clama arden­ta­mente sio­ni­sta e dove il nazio­na­li­smo più sfre­nato sfo­cia in una cre­scente rap­pre­sen­ta­zione alla Knes­set, mani­fe­stan­dosi non poche volte con leggi e prov­ve­di­menti che col­pi­scono la mino­ranza pale­sti­nese. Non è sem­plice «edu­care» gli ebrei israe­liani a una sto­ria che è stata oscu­rata e che, con raris­sime ecce­zioni, non è stu­diata nelle scuole. «Le auto­rità – pro­se­gue Bron­stein — affer­mano che tutto ciò che mira a con­ser­vare la memo­ria della Nakba è con­tro l’esistenza di Israele. Noi invece pen­siamo che un israe­liano ebreo di ogni età abbia il dovere e il diritto di sapere che 678 vil­laggi, cit­ta­dine, loca­lità arabe sono state distrutte, can­cel­late, nasco­ste con fore­ste e par­chi nazio­nali, e che nel 1948 750 mila pale­sti­nesi sono stati costretti all’esilio in gran parte dei casi non a causa della guerra e dei com­bat­ti­menti ma per­chè furono espulsi». Non meno impor­tante, con­clude Bron­stein, «è far sapere che una legge appro­vata pochi anni dopo la crea­zione di Israele, nota come dei “Presenti-Assenti”, ha auto­riz­zato in via uffi­ciale la con­fi­sca di gran parte delle pro­prietà arabe».

Ses­san­ta­sei anni dopo la nascita di Israele e la Nakba pale­sti­nese, Zochrot gra­zie anche alle nuove tec­no­lo­gie di comu­ni­ca­zione, lan­cia un pro­getto che vuole a rag­giun­gere ogni angolo del pia­neta. Si tratta di «iNa­kba» una app per smart­phone che con­sen­tirà agli utenti di indi­vi­duare ogni vil­lag­gio arabo abban­do­nato o distrutto durante la guerra del 1948 su una mappa inte­rat­tiva e di poterne cono­scere la sto­ria. Allo stesso tempo gli utenti potranno aggiun­gere foto, com­menti e infor­ma­zioni con­tri­buendo alla banca dati più tec­no­lo­gica ed inno­va­tiva sulla Nakba. Una app che potranno usare anche i pro­fu­ghi — che potranno avere infor­ma­zioni sul pas­sato e il pre­senre delle loca­lità da dove pro­ven­gono — e ai quali Zochrot rico­no­sce il pieno diritto di tor­nare nella loro terra d’origine, con­tro la posi­zione uffi­ciale di Israele che esclude cate­go­ri­ca­mente di poter dare attua­zione al «diritto al ritorno» per i pale­sti­nesi san­cito dalla riso­lu­zione 194 dell’Onu.

«Ci sono un sacco di orga­niz­za­zioni israe­liane impe­gnate a denun­ciare l’occupazione (dei Ter­ri­tori pale­sti­nesi 1967, ndr) ma la nostra è l’unica che si occupa del 1948», dice Liat Rosen­berg, che dirige Zochrot. «Siamo con­sa­pe­voli che la nostra influenza è limi­tata ma sap­piamo anche che oggi ogni israe­liano cono­sce la parola Nakba. È entrata nella lin­gua ebraica e que­sto è un passo in avanti». In que­sti giorni Rosen­berg e i suoi col­le­ghi ten­gono corsi e pre­pa­rano mate­riale sto­rico a dispo­si­zione degli inse­gnanti più sen­si­bili al tema, in modo da aggi­rare i ten­ta­tivi di ban­dire qual­siasi tipo di com­me­mo­ra­zione della Nakba. Tut­ta­via l’attività prin­ci­pale sul ter­reno di Zochrot restano le visite gui­date in Israele e a Geru­sa­lemme per tutti coloro che sono inte­res­sati a ritro­vare le tracce dei cen­tri pale­sti­nesi «scom­parsi» dalla mappe uffi­ciali o rie­mersi come vil­laggi israe­liani. Il tour più par­te­ci­pato è nei din­torni di Ein Kerem (Geru­sa­lemme). Abban­do­nato dagli abi­tanti a causa della guerra nel 1948 — è vicino a Deir Yas­sin, il vil­lag­gio pale­sti­nese dove è avve­nuto il mas­sa­cro più noto di quel periodo – Ein Kerem ospita chiese, una moschea e belle case in pie­tra. Dopo la guerra, i suoi primi abi­tanti furono poveri immi­grati ebrei maroc­chini, sosti­tuiti a par­tire dagli anni 70 da fami­glie ric­che. Oggi è uno dei quar­tieri più chic di Geru­sa­lemme Ovest. Un destino simile a quello di altre aree della parte ebraica della città e che prima del 1948 erano abi­tate da fami­glie pale­sti­nesi alle quali sono state con­fi­scate case e pro­prietà. E tour sono orga­niz­zati anche a Tel Aviv, dove tra grat­ta­cieli e costru­zioni moderne, spun­tano i resti di quelli che un tempo erano cen­tri arabi.
Domani 15 mag­gio, la mino­ranza pale­sti­nese in Israele e i pale­sti­nesi nei Ter­ri­tori occu­pati mani­fe­sterà per com­me­mo­rare la Nakba.Oltre 10mila per­sone lo hanno già fatto, venerdì a Lubya (Tiberiade).

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