Genova sotto shock per la nomina di De Gennaro alla Fondazione Ansaldo
L’irresistibile carriera dell’ex capo della polizia Gianni De Gennaro prosegue senza intoppi e questa volta, a tredici anni di distanza del G8, torna a riguardare da vicino Genova. Sì perché De Gennaro, dallo scorso luglio ai vertici di Finmeccanica, è stato appena nominato presidente di una delle principali istituzioni culturali della città, la Fondazione Ansaldo. Creata nel 2000, la Fondazione raccoglie l’eredità dello storico Archivio Ansaldo, che per vent’anni ha tenuto viva la memoria della storia industriale genovese con circa 15 chilometri di documenti societari e tecnici prodotti a partire dalla metà del XIX secolo e oltre 300 mila immagini.
Ma che cosa c’entra l’ex super poliziotto uscito indenne dai processi per il G8 genovese (condannato in appello e poi assolto in Cassazione dall’accusa di aver indotto alla falsa testimonianza l’ex questore di Genova Vincenzo Colucci) con una fondazione storico-culturale? Parecchio, in realtà, visto il suo ruolo. Lo statuto della Fondazione precisa infatti che dei 9 membri del cda 6 sono nominati da Finmeccanica in quanto socio fondatore (gli altri 3 sono nominati dal sindaco di Genova, dal presidente della Provincia e da quello della Regione) e che «il cda elegge nel proprio seno il presidente scegliendolo fra i consiglieri di amministrazione nominati dal socio fondatore». Impossibile ottenere una risposta ufficiale rispetto alla scelta ma «la nomina di De Gennaro — ipotizza un ex membro del cda – sembra proseguire la scia della ricerca di una paternità di Finmeccanica per dare alla Fondazione una dimensione nazionale ed è quindi legata alla funzione più che alla persona del nuovo presidente».
In ogni caso a Genova il nome di De Gennaro fa rizzare i capelli a molti. L’ex portavoce del Gsf Vittorio Agnoletto e il capogruppo della Federazione della sinistra Antonio Bruno in un comunicato congiunto hanno chiesto al presidente della Regione Claudio Burlando e al sindaco di Genova Marco Doria «di entrare in sintonia con l’indignazione della Genova democratica e di far esprimere l’indignazione attraverso i loro rappresentanti nel consiglio di amministrazione della Fondazione, arrivando anche a valutare la autosospensione dal Cda stesso nel caso che De Gennaro rimanga al suo posto».
Ovviamente nessuna risposta dai «piani alti» della politica genovese è arrivata: troppo importante Finmeccanica per Genova, oltre che per la Fondazione Ansaldo, per perdersi in “quisquilie” sulle nomine. Anche il sindaco di Genova, che ancora di recente aveva ricordato il G8 genovese, ha scelto di non commentare. Commenta invece, e duramente, Clizia Nicolella, consigliera comunale eletta nella lista civica del sindaco: «Su De Gennaro, nonostante la sua assoluzione e nonostante le condanne dei suoi uomini siano state alleggerite dalla prescrizione e dalla mancanza in Italia del reato di tortura, grava la responsabilità pesantissima per i fatti del G8. Come uomo di Stato si porta dietro una pregiudiziale importante che non possiamo ignorare».
Indignato anche il giudizio di Heidi Giuliani, mamma di Carlo, ucciso in piazza il 20 luglio di tredici anni fa: «Come genovesi sono 13 anni che ci indigniamo, ma la politica tace perché De Gennaro fa paura a molti. Come ex capo della Polizia ed ex direttore dei servizi segreti conosce gli scheletri negli armadi di tutti». E nonostante sia uscito pulito dall’unico processo che l’ha chiamato in causa, per la mamma di Carlo « De Gennaro resta il principale responsabile della tragica gestione dell’ordine pubblico di quei giorni, perché anche se non era a Genova sapeva esattamente quello che stava accadendo». Anche Nichi Vendola, in città per sostenere la campagna elettorale della lista Tsipras mastica amaro: «Emerge la figura di un intoccabile. Qualunque stagione politica si sussegua nel nostro paese sullo sfondo c’è il ruolo monumentale di Gianni De Gennaro e credo che qualche domanda su questo cumulo di potere sia lecito porla».
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Molti di noi che hanno preso parte alle “giornate di Genova” del luglio 2001 sono rimasti con dubbi, perplessità sul reale svolgimento dei fatti. Resta l’impressione che il morto, i feriti, i gassati (con il lacrimogeni CS, proibiti dalla Convenzione di Ginevra), le persone maltrattate e picchiate a Bolzaneto e alla Diaz rientrassero in un piano prestabilito con cui si voleva affossare definitivamente il movimento No-global…Sicuramente hai avuto modo di approfondire la questione più di altri. Cosa puoi dirci in proposito?
La mia impressione è che ci siano stati vari livelli di repressione. Il primo è sicuramente dato dal quadro internazionale. In qualche modo era già preannunciato a Nizza e soprattutto a Goteborg. Il metodo è stato ben sperimentato anche in passato: usare la repressione per “spostare” l’attenzione dagli argomenti posti all’ordine del giorno dai movimenti di opposizione. Naturalmente ha influito pesantemente anche il livello nazionale, italiano.
C’erano già state delle avvisaglie a Napoli, ma a Genova si può affermare che le cose sono state organizzate in grande stile, anche con le infiltrazioni all’interno dei Black Bloc…
Una precisazione. Tu che idea ti sei fatta di questo misterioso “blocco nero”: provocatori, luddisti, “seguaci” di Zerzan…?
Guarda, dopo quel giorno io ho cercato di incontrare tutti, di parlare con tutti, per capire cos’era realmente accaduto. Mi risulta che anche all’interno del Black Bloc alcuni hanno fatto una dura autocritica. Si sono resi conto di essere stati strumentalizzati, di aver fornito un pretesto alla repressione contro l’intero movimento. Veri o fasulli che fossero, sono stati usati per “creare lo scenario” atto a trasformare le vittime, i manifestanti pacifici, in colpevoli. Vorrei anche aggiungere che personalmente considero un’azione da stupidi quella di sfasciare le vetrine; non è certo questo che mette in crisi le multinazionali. Ho anche detto però che ritengo sia più grave sfasciare le teste della gente piuttosto che le vetrine. Tornando al livello “nazionale” della repressione, bisogna naturalmente tener conto del fatto che il nuovo governo di centro-destra aveva la necessità di mostrare i muscoli, soprattutto a quelli che lo sostenevano all’interno dei corpi repressivi.
A chi ti riferisci?
Mi riferisco per esempio a quei carabinieri con l’effige di Mussolini sul portachiavi e “Faccetta nera” sulla suoneria dei cellulare… Evidentemente il livello dì fascistizzazione dell’Arma era stato sottovalutato dall’opinione pubblica (grazie anche alla politica precedente di D’Alema) e ora come ora io penso che se verrà fuori qualcosa sul reale svolgimento dei fatti di Genova (Piazza Alimonda, la Diaz, Bolzaneto…) sarà solo da parte della Polizia, dove esiste ancora una componente democratica. E queste considerazioni ci portano al terzo livello della repressione, quello della componente individuale. Gli agenti mandati a Genova erano stati scelti accuratamente, in particolare i graduati. Tra quelli presenti in piazza Alimonda molti erano di alto livello, con esperienza in zona di guerra, soprattutto in Somalia.
Domande Inquietanti
A Genova era presente anche il vice-premier Fini…
Non ci hanno mai spiegato cosa ci facesse per tante ore nella caserma dei carabinieri il vicepresidente del Consiglio. Già la sera del 20 luglio, senza nessun rispetto verso i magistrati, affermava senza dubbio alcuno che la morte di Carlo era un caso di “legittima difesa”. La stessa cosa verrà poi sostenuta anche dal procuratore capo…
Hai mai pensato che la morte di qualche manifestante fosse stata in qualche modo pianificata in anticipo?
Dopo aver tanto parlato con chi era a Genova, dopo aver visto tante immagini e filmati, mi sono convinta che forse qualcuno potrebbe aver auspicato la morte di un giovane carabiniere, in modo da tagliare definitivamente le gambe al movimento. C’è un momento in cui sembra proprio che questo stia per accadere; mi riferisco a quando in Corso Torino una camionetta con sei carabinieri, che in precedenza aveva quasi investito i manifestanti, va a fermarsi in retromarcia contro un cassonetto (inevitabile cogliere l’analogia con quanto accaduto poi in piazza Alimonda). Stando a quanto si vede nei filmati autista e graduato scendono dal mezzo e scappano. Sembra addirittura che un manifestante riesca a sfilare le chiavi… A questo punto un gruppo di persone (che appaiono imbestialite, forse per il tentativo di investimento) da l’assalto al pulmino che viene incendiato. C’è solo un poliziotto che, sottolineo da solo, fa scendere i carabinieri. Questi vengono lasciati andare; sui luogo è presente anche don Vitaliano.
lo credo che questo episodio avrebbe potuto concludersi tragicamente, fornendo le ”vittime sacrificali” per denigrare senza appello il movimento di fronte all’opinione pubblica. Come è noto, poco dopo un episodio per certi aspetti simile avviene in Piazza Alimonda e si conclude con la morte di Carlo. E mi chiedo: perché hanno attaccato il corteo dal fianco impedendone la dispersione? Perché, visto che trasportavano dei feriti, invece di andare al pronto soccorso hanno sparato altri lacrimogeni prima di ritirarsi (ed è solo a questo punto che vengono inseguiti)? Perché non hanno spinto via il cassonetto? Perché la Polizia presente in via Catta è intervenuta solo dopo che la camionetta se n’è andata? A queste domande nessuno ha saputo risponderci, finora.
Il Futuro del Movimento
II movimento genericamente denominato No-global procede tra alti e bassi; qualcuno si è anche affrettato a darlo in via di estinzione. La tua opinione in proposito?
Quella di dare per morto il movimento è un’abitudine ricorrente che poi il movimento stesso si incarica regolarmente di smentire. Ogni volta infatti ci si ritrova in maggior numero, con sempre maggiore visibilità. Penso che, proprio perché è formato da tante anime, per la sua eterogeneità, non possiamo applicare al movimento i parametri di un partito. Un partito si misura soprattutto dai voti, il movimento esce allo scoperto quando ci sono cose da fare. Finora non ha perso una scadenza e mi sembra in buona salute. Io credo sia interesse di chi sta dall’altra parte predire la morte del movimento No-global. E’ evidente che, in quanto movimento, non può restare uguale a se stesso ma deve rinnovarsi continuamente, trovare altri linguaggi. Purtroppo in questo paese i partiti ci hanno abituato a pensare alla politica come ad una attività per gli addetti ai lavori. Ai dirigenti di partito non può che dar fastidio il fatto che la gente comune voglia riprendersi la politica, la vita ma guai se non continueremo a farlo…
Cos’hanno rappresentato per te questi due anni trascorsi dalla morte di Carlo?
Questi due anni hanno tanti aspetti. Innanzitutto sono stati segnati dalla mancanza di Carlo. C’è poi stata la ricerca continua per avere giustizia, una ricerca che in Italia diventa sempre più difficile. E poi c’è il rapporto profondo con la parte migliore di questo paese, la possibilità di incontrare tante persone che in modo diverso lavorano per una società meno schifosa e credono di dover fare qualcosa contro le ingiustizie del mondo. C’è anche tutto quello che ho cercato di dire, di comunicare in questi due anni: un appello alla tolleranza, alla comprensione, all’impegno… per tracciare una linea chiara e dire se stiamo al di qua o al di là, ognuno con le proprie idee e convinzioni ma schierati, lavorando nella stessa direzione. Penso a quello che è accaduto di recente: larghi strati della popolazione che, almeno apparentemente, non avevano niente in comune, hanno scelto di dire NO alla guerra.
Te lo chiedo ripensando al nostro incontro dell’anno scorso. Eri arrivata a Vicenza da Reggio Emilia dove avevi partecipato ad un dibattito organizzato in una casa del popolo dedicata ai Fratelli Cervi. Inevitabile l’accostamento con papa’ Cervi e con altre persone che hanno in qualche modo condiviso il vostro destino: raccogliere l’eredità di un figlio caduto lottando per la giustizia e la libertà. Ritieni che quello che stai facendo in qualche modo possa completare, portare avanti quello che Carlo avrebbe fatto e che gli è stato impedito con la violenza (compresa la violenza della recente archiviazione)?
Ho sempre avuto un profondo rispetto per le scelte di Carlo e quindi non posso pretendere di interpretare quello che lui avrebbe fatto se non l’avessero assassinato. lo e suo padre siamo un esempio di come si possa lavorare insieme pur con idee diverse. Noi abbiamo raccolto un’eredità di memoria perché non venga occultato, come vorrebbero fare, tutto ciò che è accaduto a Genova.
Quello che hanno fatto il Gip e il Pubblico ministero, archiviando la morte di Carlo, è stato proprio tapparsi gli occhi, Le orecchie, la bocca… In ben quarantotto pagine il Gip dimostra di non aver neppure guardato foto e filmati di piazza Alimonda. Sia ben chiaro: io non intendo offendere la Magistratura che considero un pilastro della nostra democrazia: caso mai è questo magistrato che la insulta, non io.
Comunque, se per loro il caso è archiviato, per noi no.
Come pensate di agire in futuro per evitare che su Carlo e sulle giornate di luglio 2001 cali il silenzio?
Intanto continuiamo con la denuncia civile per mantenere alta l’attenzione sui fatti di Genova; questo ci riguarda tutti, non solo chi è stato ucciso, torturato, gassato… riguarda tutta la componente democratica di questo paese. Da parte nostra prosegue anche la ricerca di foto e filmati; siamo convinti che esistano altre possibili testimonianze che finora non sono emerse. Abbiamo anche cercato di mettere in piedi un coordinamento di tutti i comitati nati per fare luce su uccisioni e stragi di stato (e relativi depistaggi), da piazza Fontana a Serantini, da Giorgiana Masi a Ustica. Abbiamo avuto un primo incontro il 14 giugno 2003 a Bologna e presentato il nostro lavoro in una conferenza stampa a Genova il 12 luglio. Per raccogliere tutte le storie italiane di “pallottole che rimbalzano” e di “sassi intelligenti” che deviano il colpo sparato in aria. E poi continueremo a rivolgere a chi di dovere le domande a cui non abbiamo mai avuto risposta, sia a livello di Commissione d’inchiesta parlamentare che a livello europeo. Noi vogliamo continuare a parlare di Genova perché non si ripeta; a parlare di Carlo perché ci ha dato la voce, perché la gente ha visto il suo corpo steso su cui Ia camionetta è passata e ripassata mentre era ancora vivo…
(Gianni Sartori, 2003)
* L’intervista è stata pubblicata sul numero 93 del quadrimestrale GERMINAL, un’antica pubblicazione (data dal 1907, gestita da una redazione anarchico-libertaria.
GERMINAL, via Mazzini 11 3412 Trieste