«Fiat Chrysler insieme per la svolta» Su marchi e nuovi modelli 55 miliardi
AUBURN HILLS (Michigan) – Cinquantacinque miliardi di euro da investire in cinque anni per consolidare la rinascita di Fiat e Chrysler e dare un futuro da protagonista ad FCA, il gruppo, forte di 300 mila dipendenti e 159 stabilimenti sparsi in quattro continenti, appena nato dalla fusione della Casa del Lingotto con quella di Detroit. Un’unione celebrata proprio ieri qui, ad Auburn Hills, nella mastodontica sede di Chrysler: il più grande edificio d’uffici del mondo dopo il Pentagono. Maestro di una cerimonia-fiume, fatta di presentazioni durate oltre dieci ore, il capo della multinazionale automobilistica, Sergio Marchionne, che si è presentato ai duecento analisti finanziari, ai cento giornalisti e ai molti sindacalisti arrivati in Michigan con la consueta “divisa” del manager indaffarato che non ha tempo da perdere coi fiocchi delle cravatte: maglioncino blu girocollo e camicia a quadretti. Unica novità: al polso un orologio Shinola. Rigorosamente “made in Detroit”.
Anche questo un simbolo della rinascita della patria americana dell’auto. Una rinascita della quale Chrysler rappresenta il caso più clamoroso: un recupero sul quale ben pochi, cinque anni fa, erano disposti a scommettere. Marchionne lo ricorda con orgoglio davanti allo scetticismo di alcuni analisti per i quali il gruppo ha ancora troppi debiti (10 miliardi di euro), potrebbe faticare a finanziare i suoi investimenti e, comunque, dovrà vedersela con concorrenti molto agguerriti e, in qualche caso, di maggiore forza finanziaria. Comunque, ha aggiunto, «nel 2018 il gruppo sarà quasi libero da debito».
Cinque anni dopo il varo del piano col quale tirò la Chrysler fuori dalla bancarotta, dieci anni dopo il suo arrivo in una Fiat sull’orlo del collasso (era il primo giugno del 2004), il manager italo-canadese celebra la piena integrazione con parole solenni: «C’è un mondo nel quale le persone non lasciano che le cose accadano: le fanno accadere. Non chiudono i sogni fuori dalla porta, ma si assumono rischi e responsabilità, sono decisi a lasciare il segno: benvenuti nel nostro mondo». Inizia così la presentazione di un piano quinquennale molto ambizioso: il gruppo Fiat-Chrysler, che già oggi è il settimo produttore mondiale con 4,3 milioni di veicoli prodotti l’anno scorso, punta ad arrivare a 7 milioni entro il 2018. E a portare il piano a compimento resterà lui, ha precisato Marchionne e ribadito il presidente John Elkann: «Ho fiducia che Sergio resti con noi, la successione non è un tema attuale». È anche la rivincita dell’industria contro il «capitalismo puramente finanziario che ha fallito».
Con una forte crescita della Jeep ma anche dei marchi italiani: la Fiat e, soprattutto, l’Alfa Romeo che dovrebbe letteralmente esplodere, passando dalle 74 mila unità vendute nel 2013 a 400 mila. E se fin qui l’Italia è stata in affanno sul fronte dell’auto, col crollo della domanda, gli impianti Fiat sottoutilizzati e il gruppo che ha compensato l’affanno delle attività europee col buon andamento nel resto del mondo, soprattutto le Americhe, ora dovrebbe essere finalmente arrivato il momento del rilancio di tutte le unità produttive del nostro Paese.
Per l’Alfa in passato ci sono state diverse false partenze, è vero. E gli analisti sottolineano che imporre in tutto il mondo un marchio di qualità glorioso ma che ha vissuto decenni di appannamento, non sarà affatto facile. L’Audi, sicuramente un modello, ha impiegato vent’anni a raggiungere i livelli attuali. Ma stavolta l’impegno sarà veramente totale perché il marchio Alfa è essenziale per il successo della nuova strategia che è quella di spostare le produzioni del gruppo verso le vetture “premium”: quelle di qualità superiore che consentono anche di realizzare margini maggiori, necessari per compensare costi di produzione che in Italia sono più elevati. Spinta dallo straordinario successo già colto su questa strada dalla Maserati che ha triplicato in poco tempo gli ordinativi, l’Alfa Romeo si appresta a investire ben cinque miliardi di euro su otto nuovi modelli: auto prodotte nel nostro Paese perché l’immagine sportiva e di qualità di questo marchio è indissolubilmente legata al “made in Italy”. Una partita Italia-Germania: la sfida è quella di contendere con lusso, stile e sportività il mercato di alta gamma oggi quasi monopolizzato dai produttori tedeschi: Bmw, Audi, Mercedes, Porsche. La sfida l’ha lanciato da tempo la Ferrari, i cui programmi ieri sono stati presentati dallo stesso Marchionne che ha sostituito Luca Cordero di Montezemolo che, ha detto, «ha fatto un lavoro eccezionale per posizionare» il marchio e insieme al quale ha definito i programmi di sviluppo dell’azienda di Maranello. Ma la spinta più forte nell’ultimo anno è venuta dalla straordinaria crescita della Maserati che ha triplicato gli ordini in poco tempo. La produzione attuale, 15 mila vetture, dovrebbe arrivare addirittura a quota 75 mila (cioè più di quanto venduto l’anno scorso dall’Alfa) entro il 2018, grazie anche all’introduzione del «suv» Levante, del coupé Alfieri e di altri due modelli ancora non annunciati. L’Alfa verrà trainata proprio dalla tecnologia e dall’immagine della Maserati e, soprattutto, della Ferrari. Non a caso la presentazione dell’Alfa si è aperta con l’immagine di Enzo Ferrari che per l’Alfa, l’azienda nella quale ha lavorato prima di fondare la Casa del Cavallino, diceva di avere «la tenerezza del primo amore».
Massimo Gaggi
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