Expo, l’occasione (persa) di Pisapia

by redazione | 20 Maggio 2014 10:00

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Come per De Magi­stris, Zedda e Doria anche il sin­daco Pisapia era stato eletto sull’onda di una mobi­li­ta­zione straor­di­na­ria per par­te­ci­pa­zione, entu­sia­smo, crea­ti­vità. Pisapia doveva porre fine alle male­fatte di Leti­zia Moratti. E tra quelle tante male­fatte la peg­giore è senz’altro l’Expò: un “Grande evento” fatto di “Grandi Opere” che non hanno alcuna giu­sti­fi­ca­zione se non distri­buire com­messe, incas­sare tan­genti e tenere in piedi un comi­tato di affari impre­gnato di cor­ru­zione e di mafia che aveva già deva­stato la città per anni. Si badi bene: le tan­genti sono una con­se­guenza e non la causa.
Se ci fos­sero solo le tan­genti, il ter­ri­to­rio non ne rice­ve­rebbe danni irre­pa­ra­bili. Il vero danno sono le Grandi opere, la deva­sta­zione del ter­ri­to­rio e delle rela­zioni sociali; e il modello di busi­ness di cui sono frutto, fon­dato sull’indifferenza per le esi­genze delle comu­nità locali, sullo stra­po­tere di ban­che e finanza, sul subap­palto del subap­palto, che apre le porte alle mafie, sul pre­ca­riato (e ora anche sul lavoro gra­tuito) che hanno fatto dell’Expò il labo­ra­to­rio dell’Italia di Renzi; e, ovvia­mente, anche sulla corruzione.

Avendo ere­di­tato l’Expò dalla Moratti, Pisapia si era impe­gnato a ren­derla comun­que meno pesante pos­si­bile. Ma ha tra­dito quel man­dato. Non è in discus­sione la sua one­stà, né la sua buona fede; lo sono le sue scelte. Appena inse­diato è stato tra­sci­nato a Parigi da For­mi­goni per sot­to­scri­vere gli impe­gni con l’Ufficio Inter­na­zio­nale dell’Expò. Da allora l’Expò ha preso il posto dei pro­getti pre­sen­tati in cam­pa­gna elet­to­rale, alcuni dei quali san­citi dalla vit­to­ria di sei refe­ren­dum cit­ta­dini (senza seguito). E con l’Expò ha comin­ciato a dis­sol­versi quell’ondata di entu­sia­smo e di spe­ranze che aveva por­tato Pisa­pia in Comune.

Oggi in città la par­te­ci­pa­zione, che era stata la grande pro­messa di quella cam­pa­gna elet­to­rale, è a zero. E le forze che si erano impe­gnate per soste­nerlo – e soprat­tutto i gio­vani, e tra i gio­vani i cen­tri sociali — sem­brano ormai orien­tate a non votare nem­meno più: per nes­suno. E’ que­sto l’effetto peg­giore di quel tradimento.Poteva andare diver­sa­mente? Cer­ta­mente sì. Ma solo con un taglio netto nei con­fronti della cul­tura domi­nante: il pen­siero unico; il refrain del “non c’è alter­na­tiva”.
L’osservanza dei vin­coli di bilan­cio e del Patto di sta­bi­lità che stran­gola i Comuni per costrin­gerli a sven­dere suolo, beni comuni e ser­vizi pub­blici locali; e a repri­mere la par­te­ci­pa­zione della cit­ta­di­nanza. E tut­ta­via la Giunta non si è sen­tita le mani legate quando si è trat­tato di stan­ziare 480 milioni (ma forse molto di più, per­ché molte opere gra­vano su altre voci del bilan­cio) per fare l’Expò.

«Sarà un rilan­cio per l’economia per tutto il paese», ci hanno detto uno dopo l’altro Prodi, Ber­lu­sconi, Monti, Letta e Renzi. Ma c’è qual­cuno che vera­mente ci crede? Gli ultimi Expò, con l’eccezione di Sivi­glia, sono stati un bagno di san­gue per le città e i paesi che li hanno ospi­tati. «Sarà il rilan­cio dell’immagine dell’Italia nel mondo» ripe­tono. Sì, ma dell’Italia come il paese più cor­rotto dell’Ocse, e forse del mondo.
Lo si poteva capire dall’inizio. Due anni per nego­ziare l’organigramma senza nem­meno sapere che cosa fare vera­mente dell’Expò fanno capire a tutti qual era la posta in gioco. Adesso ci vogliono far cre­dere che i mana­ger al ver­tice dell’Expò erano ignari di tutto. Se dav­vero lo fos­sero, sono stu­pidi e incom­pe­tenti, e certo non meri­tano le cen­ti­naia di migliaia di euro del loro sti­pen­dio. Se non lo erano, com’è ovvio, non lo era nean­che chi li ha messi lì.

Eppure Pisapia le alter­na­tive le aveva: quando si è inse­diato, basta­vano 20 milioni di euro di penale (una “baz­ze­cola” rispetto a quelli che ci costerà l’Expò) per sfi­larsi dal pro­getto. Le ragioni per farlo non man­ca­vano: nell’epoca di inter­net una espo­si­zione uni­ver­sale è un’idea stu­pida; e da tempo le Expò sono bagni di san­gue: si aspet­tano milioni di turi­sti stra­ric­chi dall’estero e poi biso­gna fare appello alle visite scon­tate dei con­na­zio­nali per risol­le­vare un po’ i bilanci; d’altronde, “nutrire il pia­neta” con una colata di cemento non è un’idea geniale o innovativa.

La seconda opzione era l’Expò dif­fuso (sul modello del “fuori salone” abbi­nato da anni alla fiera del mobile, che ha sem­pre molto suc­cesso). A Pisa­pia quel pro­getto glielo aveva messo in mano un gruppo di archi­tetti, desi­gner e urba­ni­sti che ci lavo­rava da tempo (c’è anche una pub­bli­ca­zione in pro­po­sito); sarebbe costato molto meno, non avrebbe com­por­tato penali, e i soldi spesi sareb­bero ser­viti per ren­dere più bella la città; ma più dif­fi­cili e meno remu­ne­ra­tive spe­cu­la­zione e corruzione.

La terza opzione era seguire i sug­ge­ri­menti di Petrini: nutrire Milano per inse­gnare a nutrire il pia­neta. Cioè pro­muo­vere la tra­sfor­ma­zione del parco agri­colo Sud Milano, il più grande d’Europa, in un giar­dino col­ti­vato a frutta e ortaggi, per ali­men­tare le mense gestite dal Comune (80.000 pasti al giorno); per pro­muo­vere una rete di Gas (gruppi di acqui­sto soli­dale, tra­sfe­rendo a costo zero il know-how di chi un Gas lo sa fare, per­ché lo ha già fatto, a chi vor­rebbe farlo e non sa da dove comin­ciare; magari con un piz­zico di pro­mo­zione); per inse­gnare a tutti a mangiare meglio e a chi lavora la terra a tra­sfor­marla in vera ric­chezza; e poi, por­tare i visi­ta­tori a vedere quel mira­colo.
Invece si è scelto il cemento: per rea­liz­zare la cosid­detta “pia­stra” (un nome, un pro­gramma), cioè la sede espo­si­tiva dell’Expo, che all’inizio doveva essere un grande orto; loca­liz­zan­dola per di più, unico caso per tutte le Expò, su ter­reni pri­vati da com­prare a caro prezzo, per poi costruirci sopra tanti stand di cemento che dovranno poi essere demo­liti. E si è scelto l’asfalto; per­ché per far arri­vare i visi­ta­tori stra­nieri si è dato il via alla costru­zione di tre auto­strade periur­bane, come se i milioni di visi­ta­tori cinesi, sta­tu­ni­tensi e austra­liani attesi arri­vas­sero in auto­mo­bile da Bre­scia, Lodi o Varese. Natu­ral­mente tutto in pro­ject-finan­cing; ma in attesa dei soldi di pri­vati e ban­che che non arri­ve­ranno mai, si è comun­que prov­ve­duto a scas­sare il ter­ri­to­rio in vari punti lungo le tra­iet­to­rie di que­ste auto­strade per met­tere tutti di fronte al fatto com­piuto: in qual­che modo quei soldi dovranno sal­tare fuori, per­ché intanto il danno è fatto.

Dul­cis in fundo, il pro­getto ini­ziale pre­ve­deva un canale navi­ga­bile per farvi arri­vare in barca i visi­ta­tori — le “vie d’acqua” — paral­lelo a un navi­glio leo­nar­de­sco, come segno di sfida tra “moderni” e “anti­chi”. Nel corso del tempo quel pro­getto si è tra­sfor­mato in una fogna in cemento di due metri di lar­ghezza, per far defluire le acque della fon­tana che ornerà la “pia­stra”. Poi si è deciso di inter­rarne una buona parte per far fronte alle pro­te­ste degli abi­tanti di alcuni quar­tieri. Ma il costo è rima­sto immu­tato (80 milioni) e l’appaltatore pure (Mal­tauro, quello delle maz­zette); anche se il pro­getto non sarà comun­que pronto per l’Expo.
Poi c’è il “dopo”. Che fare di tutto quel cemento? Pro­blema risolto: For­mi­goni e Maroni vole­vano farci le Olim­piadi. Ma Roma ha detto no. Pisapia ha ripie­gato su uno sta­dio. Non che a Milano uno sta­dio, man­chi. C’è; si chiama San Siro. Ma gra­zie a una legge appro­vata dal governo Monti oggi fare uno sta­dio vuol dire poter costruire alber­ghi, case, cen­tri com­mer­ciali, par­cheggi, disco­te­che e cinema mul­ti­sala: cioè altro cemento. Finan­ziato dalle stesse ban­che che, per con­ce­dere i nuovi pre­stiti, pren­de­ranno in garan­zia, come fanno da tempo, i grat­ta­cieli vuoti già edi­fi­cati con i pre­stiti pre­ce­denti, che quei costrut­tori, quasi tutti in ban­ca­rotta, non sono in grado di rimborsare.

Il pro­blema vero che tutti i cit­ta­dini di Milano e d’Italia si pon­gono è invece que­sto: quante altre cose mera­vi­gliose si sareb­bero potute fare con i miliardi dell’Expò? Ma è una domanda che a Pisapia non ha fatto nessuno.

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