Expo 2015 pensa al cibo ma si dimentica le terre
L’Expo che si aprirà a Milano il primo maggio 2015 dovrebbe spiegare a tutto il mondo come «nutrire il Pianeta», ma per il momento ha tolto il pane quotidiano (e biologico) a qualche centinaio di famiglie brianzole. Per raggiungere l’area dell’Esposizione universale, infatti, si costruiscono nuove infrastrutture, e il terreno di Caponago utilizzato per coltivare il grano del progetto di filiera corta “Spiga & madia” è stato occupato: diventerà lo svincolo di una nuova tangenziale. Si chiama Tangenziale Est esterna di Milano, e insieme alla BreBeMi (Brescia-Bergamo-Milano) e alla Pedemontana lombarda fa parte di un nuovo sistema autostradale che costa oltre 10 miliardi di euro e finirà con l’occupare ben 1.634 ettari. Di questi, solo 258 erano suoli già urbanizzati. Meno di un quarto rispetto ai ben 1.090 ettari di terreni agricoli, 220 dei quali verranno sottratti alla Provincia di Monza e Brianza, che già vanta il record italiano di superficie antropizzata, avendo già superato il 55% di suolo consumato.
A questo calcolo vanno aggiunti anche 202 ettari di suoli naturali o seminaturali: si tratta in larga parte degli ultimi boschi della Brianza, come quello della Moronera tra Lomazzo e Turate, in provincia di Como, che ha lasciato il posto a un ottovolante autostradale, lo svincolo d’interconnessione tra la Pedemontana e l’A9. I conti li ha fatti con metodo scientifico il Centro di ricerca sui consumi di suolo (www?.con?su?mo?suolo?.org) del Politecnico di Milano, calando il disegno delle infrastrutture sul «repertorio degli usi del suolo» della Regione Lombardia, un documento aggiornato al 2009.
Ai terreni a perdere censiti dal Politecnico vanno aggiunti quelli della «piastra espositiva», un’area ex agricola di oltre cento ettari a Nord-ovest di Milano che ospiterà i Padiglioni dell’Italia e degli altri Paesi che hanno garantito la propria adesione all’Esposizione universale. È l’area verso cui dovrebbero confluire, anche grazie alle tre nuove autostrade, oltre 20 milioni di persone in sei mesi. Se è certo però che la BreBeMi sarà inaugurata per tempo (si parla del 1° luglio 2014, alla presenza del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano), e che lo stesso potrebbe avvenire anche per la Tangenziale Est esterna di Milano (provvidenziale, in questo senso, è stato il finanziamento da parte della Banca europea degli investimenti, circa 700 milioni di euro concessi a fine febbraio 2014), diverso è il discorso relativo alla Pedemontana lombarda, un’infrastruttura che collegherebbe Varese a Bergamo con un tracciato di 87 km, passando a nord dell’A4. Rispondendo a un question time presentato dal M5S, il 23 aprile il ministro delle Infrastrutture Maurizio Lupi ha ricordato che è praticamente completata solo la «tratta A», 15 km tra Cassano Magnago e Lomazzo.
Da sola, però, la Pedemontana vale quasi 550 ettari di suoli agricoli, naturali o verdi, in cinque province (Milano, Monza e Brianza, Como, Varese e Bergamo): «È pronto il progetto esecutivo della tratta B1, quella che dovrebbe collegare Lomazzo, lo svincolo costruito sul bosco della Moronera, alla Ss 35, la Milano-Meda — spiega Damiano Di Simine, presidente di Legambiente Lombardia — Per risparmiare hanno tolto le opere complementari, compreso il collegamento con la Novedratese: tutto il traffico verrebbe veicolato sulla Milano-Meda, che non può sopportarlo».
L’hanno chiamata «variante Expo», perché ormai si fa così: l’Esposizione universale rende tutto necessario, tutto possibile. A marzo 2014 il M5S ha presentato in Regione Lombardia una mozione che chiede lo stop alla Pedemontana, limitandola alla tratta A, ma non ha avuto successo: il presidente della Regione Roberto Maroni, d’accordo con il ministro delle Infrastrutture Maurizio Lupi, pensa invece di «defiscalizzare» l’opera, scontando quasi mezzo miliardo di euro di tasse. È l’ennesimo contributo pubblico a favore di chi distrugge suolo, per sempre. Contro il quale è intervenuto anche il sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, che ha definito l’opera uno spreco.
«Nel Nord Milano un bosco conta più di un terreno agricolo. Perché coltivare in quelle zone non irrigue è più difficile» dice Di Simine, che misura il suolo in termini qualitativi, facendo riferimento al concetto di Land Capability Classification e a una Carta regionale che descrive la Capacità d’uso dei suoli. Le classi sono otto, e le prime quattro indicano i suoli adatti all’agricoltura: «A sud-est di Milano la qualità è ottima, cioè appartiene alle prime due classi» spiega Paolo Pileri, che al Politecnico di Milano insegna Progettazione urbanistica e Usi del suolo ed effetti ambientali. A sud-est di Milano significa nel Parco agricolo Sud Milano, e sono — tra gli altri — i terreni di Bussero, Gorgonzola e Melzo, letteralmente affettati da Tangenziale Est esterna di Milano e BreBeMi. Nel luglio del 2012 tanta era le fretta di aprire i cantieri esplorativi che non si è lasciata nemmeno terminare la maturazione del mais.
«Ciò che viene urbanizzato è perso per sempre — aggiunge Pileri — sono terreni agricoli che non produrranno più cibo, mai più». Paolo Pileri a un’altra idea di Expo ha dedicato molti studi negli ultimi anni, arrivando a censire e a documentare gli «spazi aperti» ancora esistenti nel territorio dei 15 comuni limitrofi alla piastra espositiva, 125 «frammenti» agricoli che avrebbero potuto essere utilizzati per mostrare davvero come «nutrire il pianeta», a partire dalla tutela del suolo. Un termine e un tema che tra le sette proposte del Comitato scientifico del Comune di Milano per l’Expo (www?.comi?ta?to?scien?ti?fico?-expo2015?.org) non trova posto: ci sono «alimentazione e stili di vita», «innovazione della filiera agroalimentare» e «cibo e cultura», ma niente di niente che spieghi come possa esistere l’agricoltura a prescindere dai campi. «Suolo» è una parola scomoda, «cui Expo ha scelto di non dare importanza, una dignità» conferma Paolo Pileri.
Eppure il 2015 è proprio l’anno internazionale dei suoli. Ha deciso così la Fao, dandosi obiettivi precisi: l’International Year of Soils dovrà aumentare la consapevolezza degli attori della società civile e dei decision makers sul ruolo fondamentale che i suoli hanno per l’esistenza dell’uomo e per garantire la sicurezza alimentare. Ecco: se solo «Nutrire il pianeta, energia per la vita» fosse un programma — e un progetto — culturale, e non solo un claim pubblicitario, la Fao avrebbe giocato un bell’assist a favore di Expo 2015 spa, la società partecipata da governo, Regione Lombardia, Comune di Milano e dalla Camera di commercio che organizza l’Esposizione universale.
Expo spa non avrebbe nemmeno dovuto nemmeno sostenere uno sforzo impegnativo: ci ha già pensato il Distretto di economia solidale rurale (www?.desr?par?co?sud?mi?lano?.it) del Parco agricolo Sud Milano, nel corso degli ultimi anni, a generare i progetti che avrebbero potuto «illuminare» i visitatori attesi. Come quello di una nuova filiera del pane, che oggi coinvolge 5 panificatori, ognuno per circa 100 pagnotte la settimana (da 500 o 750 grammi), 7 agricoltori, 2 cooperative sociali, una piccola artigiana, 37 gruppi di acquisto. Sono otto le tonnellate di farina comprate in un anno e 800 le famiglie coinvolte. Nei campi, anche grazie a una collaborazione con l’Università di Bologna e la facoltà di Agraria dell’Università di Milano, trovano posto 11 diversi grani antichi, una miscela affascinante sin dai nomi (dal Senatore Cappelli al Frassineto, dal Gamba di Ferro al Gentil Rosso) che poi si trasforma in pane. Tra le aziende agricole coinvolte c’è anche la cascina dei Piatti di Cassinetta di Lugagnano, una cascina antica. L’azienda di Anna Baroni è certificata bio dall’ottobre 2012: è una di quelle “convertite” grazie anche al gran lavoro del Distretto di economia solidale rurale, nato a fine 2008.
«Quando il nostro lavoro è iniziato — racconta Davide Biolghini, che coordina i progetti di ricerca e sviluppo del Distretto — le aziende biologiche erano un paio. E dei 150 Gas censiti nel territorio milanese pochi avevano la percezione di essere in relazione con il parco agricolo più grande d’Europa». Oggi i produttori che fanno riferimento al Distretto sono 24: il 2mila per cento in più rispetto al 2009. «Ci proponiamo di favorire la biodiversità delle coltivazioni. Invitiamo le aziende a riprendere la produzione di ortaggi e frutta — spiega Biolghini — Una ventina hanno fatto anche la scelta più radicale: divenire biologiche». Anna Baroni conserva con cura l’istromento di consegna, un documento di 400 pagine scritte a mano con precisione millimetrica, in cui minuziosamente si descrive il fondo agricolo. Suo nonno lo ricevette negli anni ’20. Spiega che la fertilità era mantenuta dal letame delle vacche da latte, il cui numero minimo era stabilito. Tutto era registrato, pianta per pianta. Perché poteva cambiare il proprietario, ma non la cura della terra. Expo potrebbe ripartire da qui.
* giornalista del mensile Altreconomia, www?.altre?co?no?mia?.it
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