Europee. Le nazioni contro la democrazia

by redazione | 15 Maggio 2014 11:12

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Li vedremo, que­sta sera, con­fron­tarsi secondo le regole e i canoni dei grandi duelli poli­tici in cui in palio è il governo elet­tivo ed effet­tivo di una nazione. Sono i can­di­dati alla pre­si­denza della Com­mis­sione euro­pea, l’esecutivo dell’Unione, espressi dai diversi schie­ra­menti poli­tici del Par­la­mento di Stra­sburgo: Socia­li­sti, Popo­lari, Libe­rali, Sini­stra e Verdi (gli euro­scet­tici sono di fatto esclusi dal gioco). Li chia­mano, «fami­glie», que­sti schie­ra­menti, a indi­care un legame più obbli­gato che scelto, dove la dimen­sione e l’interesse nazio­nale restano in larga misura domi­nanti. Quanto agli anti­eu­ro­pei­sti non rie­scono, appunto, a «fare famiglia».

Ora i can­di­dati, Schulz, Junc­ker, Verhof­stadt, Kel­ler e Tsi­pras dovranno par­lare a tutti i cit­ta­dini dell’Unione per con­vin­cerli della loro «visione». Almeno nella forma non è una cosa di poco conto. Fino a oggi i can­di­dati all’Europarlamento si sono rivolti esclu­si­va­mente alle rispet­tive opi­nioni pub­bli­che e soprat­tutto per con­vin­cere gli elet­tori di quanto effi­ca­ce­mente avreb­bero difeso nelle sedi euro­pee gli inte­ressi del paese di pro­ve­nienza. Ora biso­gna cimen­tarsi con un’argomentazione effi­cace su scala con­ti­nen­tale e non si tratta solo di cele­brare l’Unione o di deni­grarla, ma di indi­care quale possa e debba esserne il futuro.

Tutto que­sto non amplierà di molto i poteri effet­tivi del Par­la­mento, né l’autonomia dell’Unione nei con­fronti di quel Con­si­glio euro­peo attra­verso il quale le sovra­nità nazio­nali con­trat­tano tra loro e ten­gono sotto scacco le poli­ti­che dell’Unione. Secondo i rap­porti di forze che tra que­ste sovra­nità inter­cor­rono. E non è un caso che sia stata la più forte tra que­ste a met­tere le mani avanti. Circa una set­ti­mana fa la can­cel­liera Angela Mer­kel, in una inter­vi­sta alla Rhei­ni­sche Post, faceva pre­sente, Trat­tato di Lisbona alla mano, che è il Con­si­glio dei capi di governo a con­fe­rire l’incarico di pre­si­dente della Com­mis­sione, «tenendo benin­teso conto del responso delle urne» e rico­no­scendo «un ruolo» ai can­di­dati dei par­titi euro­pei. Ma non vi sarebbe alcun auto­ma­ti­smo tra il suc­cesso elet­to­rale e il con­fe­ri­mento della carica. Non è detto, insomma, che chi otte­nesse la mag­gio­ranza nel Par­la­mento si vedrà garan­tita la Pre­si­denza della Commissione.

Se, per assurdo, Ale­xis Tsi­pras con­qui­stasse que­sta mag­gio­ranza è quasi certo che non andrebbe a occu­pare la pre­si­denza di Bru­xel­les. Il potere inter­go­ver­na­tivo glielo impe­di­rebbe. Detto in altre parole le sovra­nità nazio­nali non vedono di buon occhio la demo­cra­tiz­za­zione delle isti­tu­zioni euro­pee lad­dove que­sta rischiasse di sot­trarre loro (e non potrebbe darsi in nes­sun altro modo) quote di potere. In que­sto senso l’esistenza di can­di­dati che non sono di nomina gover­na­tiva o inter­go­ver­na­tiva dovrebbe andare incon­tro alla domanda di demo­cra­zia dei cit­ta­dini del vec­chio con­ti­nente senza avere, tut­ta­via, l’obbligo di esau­dirla. Il rap­porto diretto dei cit­ta­dini euro­pei con un potere sovra­na­zio­nale (che comun­que esi­ste da un pezzo ed ese­gue con zelo i dik­tat dei governi forti) è visto come una pro­ba­bile minac­cia dalle éli­tes nazio­nali. Le quali non sono dispo­ste a rinun­ciare allo schema con­sueto dei rap­porti inter­na­zio­nali: il cit­ta­dino rap­pre­sen­tato nello stato, lo stato rap­pre­sen­tato in Europa. È esat­ta­mente con que­sto schema che l’elezione par­la­men­tare del Pre­si­dente dell’esecutivo di Bru­xel­les entra in un attrito poten­zial­mente forte. E deci­sa­mente pro­met­tente, almeno per quanti non si cul­lano nell’illusione che la «que­stione sociale» possa rice­vere una rispo­sta nazio­nale e che lo spa­zio delle sovra­nità sta­tali costi­tui­sca l’unica dimen­sione pos­si­bile della demo­cra­zia pas­sata pre­sente e futura.

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