Elezioni. Un risultato senza precedenti Nuovi equilibri per fare le riforme
ROMA — È un mondo nuovo, una vera e propria cesura con il passato: di qua un Renzi dominus di un risultato senza precedenti, di là un Grillo assai ridimensionato nelle mire, in mezzo il tramonto di Berlusconi e del berlusconismo, con Forza Italia che assiste alla propria disfatta e il Nuovo centrodestra che lotta per la sopravvivenza. Così il Cavaliere, che pensava di poter ipotecare il successo del leader democratico — tenendo la golden share sulle riforme e una spada di Damocle sul governo — deve invece decidere come investire quel che resta del suo consenso, per contribuire a rifondare quella che fu la coalizione dei moderati. O consegnarla al tribunale fallimentare della politica.
Una cosa è certa, al di là della vittoria del Pd: è in atto una rivoluzione che può travolgere il sistema oppure rinnovarlo e fortificarlo. È un passaggio infatti che potrebbe spazzar via le ultime macerie della Seconda Repubblica o dar vita a un nuovo «arco costituzionale» attorno al presidente del Consiglio, un ombrello sotto il quale le forze che si contrappongono ai Cinquestelle decidono di mettere davvero mano alla Costituzione per non soccombere.
Ecco a cosa è servito il voto per l’Europa: a decidere le sorti dell’Italia. È stato allo stesso tempo un sondaggio sull’esecutivo, un referendum sulle riforme, uno stress-test sulla futura legge elettorale, una sfida tra le tre coalizioni: insomma è stato tutto fuorché un voto per Strasburgo, verso cui è aumentata l’ostilità del Paese, visto come è aumentato l’astensionismo. E non c’è dubbio che Renzi è da considerarsi l’unico vincitore, il punto di riferimento di chi nel Paese chiedeva la stabilità. Ma il risultato rischia di passare per una «vittoria dimezzata» per il suo governo, se il Nuovo centrodestra non superasse la soglia del 4%, perché il partito di Alfano è stato fino a oggi il «perno» della strana maggioranza: qualora non dovesse superare la prova, si aprirebbe un grave problema per Ncd e in quota parte anche per il premier.
Certo, Renzi ha oggi in mano la carta per «cambiare verso» al sistema e prendere l’abbrivio per arrivare fino al 2018. Le urne d’altronde parlano chiaro: è un affidavit per varare le riforme, non per passare subito all’incasso con il voto anticipato. Anche perché oggi manca la metà dell’elettorato all’appello, e l’esito della sfida potrebbe ribaltarsi. Ma è chiaro che per andare avanti servirà «un cambio di passo, per la ripartenza»: così lo definisce un autorevole dirigente del Pd, che ipotizza «di qui all’autunno» un «rimpasto» con cui «adeguare l’esecutivo al nuovo quadro politico», un riequilibrio «dettato dal riassetto dei rapporti di forza». Con Scelta civica cannibalizzata, e Ncd che balla sulla soglia del 4%, questa è l’opzione.
Insomma, non c’è la prospettiva di allargare i confini dell’area di governo a Berlusconi. I Democratici, con il loro leader in testa, si sono sempre detti contrari all’ingresso di Forza Italia nell’area di governo. Renzi, nei colloqui riservati delle settimane scorse diceva che «un conto è se i gruppi parlamentari di Alfano si allargano un po’, un’altra cosa è se cambiasse la composizione della maggioranza». E allora bisognerà verificare cosa vorrà fare il Cavaliere, a urne chiuse. Sulle riforme, dovrà stabilire se far da «padrino» a un nuovo «arco costituzionale» o consegnarsi a un ruolo marginale. Resta da capire quali contropartite potrà ora chiedere al capo dei democrat , e se Renzi sarà disposto ad accettarle.
Il «bipolarismo sbilenco» che si delinea, una riedizione del duello tra Dc e Pci, con M5S nel ruolo di forza alternativa al sistema, cambia i termini dei patti finora stipulati: per il governo, per le riforme e anche per la legge elettorale. Era evidente che le Europee sarebbero state un test per l’Italicum, e il test non è stato superato. Il rischio è che questo modello di voto venga accantonato, di sicuro andrà modificato. È vero che il centrodestra — sommando i consensi ottenuti da tutti i partiti che facevano parte della vecchia Casa della libertà — potrebbe tentare di competere con il Pd per la conquista di Palazzo Chigi, ricacciando indietro Grillo, al ruolo di leader di un terzo polo. Ma l’area berlusconiana — in crisi dopo la fine del Pdl — sembra aver perso spinta propulsiva, e comunque si appresta ad affrontare una cruenta resa dei conti tra Forza Italia e Ncd.
Il destino del Nuovo centrodestra si riflette sul destino del governo, e viceversa. Nel senso che — in prospettiva — questo partito potrebbe venire risucchiato nell’orbita renziana a meno di un cambio di linea che i suoi dirigenti già mettono nel conto. Ma la forza del premier non lascia molti margini agli alfaniani e nemmeno a Berlusconi. Il premier è il nuovo magnete, la zattera a cui le stesse forze di centrodestra sembrano doversi aggrappare per non soccombere. È un’alleanza di necessità, che attorno al segretario del Pd potrebbe coagulare quel nuovo «arco costituzionale» chiamato a varare le riforme e portare il sistema verso la Terza Repubblica. Ma non dovevano essere elezioni Europee?
Francesco Verderami
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