Elezioni. L’euroscetticismo è un lusso

Elezioni. L’euroscetticismo è un lusso

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Fine delle poli­ti­che di auste­rità, ridu­zione e con­trollo dei poteri della finanza; rilan­cio dell’occupazione con atti­vità social­mente ed eco­lo­gi­ca­mente soste­ni­bili; tutela dei lavo­ra­tori con la sta­bi­liz­za­zione dei rap­porti di lavoro e l’introduzione di un sala­rio minimo; lotta alle dise­gua­glianze con poli­ti­che di redi­stri­bu­zione del red­dito e della ric­chezza e raf­for­za­mento dei sistemi di wel­fare euro­pei; mag­giore (e non minore) inter­vento e con­trollo pub­blico nell’economia, ini­ziando con il blocco dei nego­ziati sul Ttip.

Sono le prio­rità indi­cate nell’appello rivolto ai can­di­dati alle elezioni euro­pee che verrà pre­sen­tato que­sta mat­tina a Roma da Sbi­lan­cia­moci! insieme alla Rete euro­pea degli Eco­no­mi­sti Euro-Pen, tra­dotto in otto lin­gue e dif­fuso in dodici paesi europei.

Il rifu­gio nei nazio­na­li­smi è la solu­zione sba­gliata per lot­tare con­tro l’Europa delle poli­ti­che di auste­rità a tutti i costi. È invece il rischio che cor­riamo il 25 mag­gio. La cam­pa­gna elet­to­rale in corso, nella quale l’Europa con­ti­nua a fare da sfondo a un dibat­tito tutto cen­trato sulle poli­ti­che nazio­nali, non aiuta certo ad evi­tarlo.
La sfi­du­cia nella poli­tica e nelle forme della rap­pre­sen­tanza hanno carat­te­riz­zato il voto poli­tico ita­liano nel 2013 (con il disa­stro che ne è seguito). Oggi, a otto anni dall’inizio della crisi, la distanza tra chi governa l’Europa e i suoi cit­ta­dini è diven­tata un bara­tro e la ten­ta­zione dell’astensionismo sem­pre più diffusa.

Gli euro-scetticismi dila­gano. Sono in gran parte con­cen­trati nei par­titi e nei movi­menti di destra che caval­cano la crisi, il males­sere sociale, la xeno­fo­bia, il raz­zi­smo, il popu­li­smo e gli errori dell’Europa per accre­scere il loro con­senso, por­tando avanti la loro bat­ta­glia con­tro l’euro e la riven­di­ca­zione di una mag­giore auto­no­mia nazio­nale.
Ma l’anti-europeismo è molto radi­cato, come spiega bene Dona­tella Della Porta, anche nel mondo dei movi­menti e in quella parte di elet­to­rato che una volta votava a sini­stra. Impos­si­bile stu­pirsi. Dall’inizio della crisi le ricette euro­pee hanno pri­vi­le­giato le poli­ti­che di auste­rità, la destrut­tu­ra­zione e la pri­va­tiz­za­zione dei sistemi di wel­fare, il sal­va­tag­gio delle ban­che (che hanno pro­vo­cato la crisi), l’abbattimento del costo del lavoro e i pro­cessi di pre­ca­riz­za­zione, optando per la rinun­cia ad una poli­tica estera comune (la crisi Ucraina ne è l’ennesimo riscon­tro) e per il rifiuto di chi viene da altrove.

L’Europa di oggi è molto lon­tana da quella che Spi­nelli aveva imma­gi­nato nel suo Mani­fe­sto: priva di demo­cra­zia e lasciata in balia del mer­cato, ha acuito pro­gres­si­va­mente le dise­gua­glianze al suo interno. L’Europa dei diritti da lui auspi­cata ha ceduto il passo all’Europa mone­ta­ria e dei pri­vi­legi di pochi. L’astensionismo o il voto utile non sono però la rispo­sta giu­sta. Il primo faci­lita il suc­cesso delle destre, il voto utile, come è stato ampia­mente dimo­strato in que­sti anni, è in realtà inu­tile. Quello che serve è un voto nuovo.



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