by redazione | 13 Maggio 2014 9:25
A vincere le elezioni presidenziali di quest’anno in Sudafrica è stato ancora una volta L’African National Congress (Anc), il partito che con la storica elezione di Mandela nel 1994 ha inaugurato due decenni ininterrotti al governo della nazione. E che con il l 62,16% dei voti in questa tornata si appresta a incoronare Jacob Zuma Presidente al suo secondo mandato elettorale.
Il suo maggior rivale, il Democratic Alliance (Da), ha preso il 22,22% (di cui il 6% dagli elettori neri), mentre la neoformazione di estrema sinistra gli Economic Freedom Fighters (Eff) di Julius Malema, ha inaugurato la sua prima volta in lizza con un 6,35%.
Dei 29 partiti nell’arena, in 13 hanno ricevuto voti sufficienti per essere rappresentati nella National Assembly: 249 seggi vanno dunque all’Anc, 89 ai Da e 25 all’Eff, mentre l’Inkatha Freedom Party (IFP) ne ha guadagnati 10 e l’Agang di Mamphela Ramphele, l’ex compagna di Steve Biko, ne avrà 2 il National Freedom Party (NFP) 6.
L’affluenza alle urne è stata del 73.43% su 32,6 milioni di aventi diritto al voto.
Pur mantenendo la maggioranza in Parlamento e in 8 province, l’Anc perde ben 15 seggi e per la seconda volta resta partito d’opposizione nella provincia del Western Cape, dove a governare dal 2009 sono i Da.
Seppur Anc abbia guadagnato la vittoria con un’ampia maggioranza del 62% dei voti, tale percentuale resta inferiore a quelle delle precedenti tornate elettorali che avevano registrato picchi del 66% nel 2009 e del 68% sotto l’ex presidente Thabo Mbeki.
Un calo di sostegni dunque, che se da un lato simboleggia il declino del vecchio partito di liberazione dall’altro sottolinea quanto esso sia ancora fortemente radicato presso la maggioranza dei sudafricani. I quali, c’è da dire, gli hanno evitato la débâcle nonostante il Paese versi in più che evidenti squilibri economici tra la ricca classe dei bianchi, un’affaristica middle class nera, e la maggioranza della popolazione povera che dopo 20 anni dalla fine dell’apartheid (e due decenni di governo Anc) ne subisce ancora tutte le gravi conseguenze; tassi di disoccupazione al sopra del 25% (40% quella giovanile), un sistema sanitario e scolastico pubblico che non raggiunge standard accettabili, alti tassi di criminalità, scandali finanziari legati ad alti livelli di corruzione politica (come quello che recentemente vede Zuma accusato di appropriazione indebita di fondi statali per un valore di 23 milioni di dollari) .
Ma la sua vittoria come partito di maggioranza d’altro canto non fa che confermare anche un altro fattore, e cioè l’assenza di un’alternativa credibile e all’altezza della macchina partitica che è diventata Anc. Un ibrido, che sotto la corazza di una solida struttura partitica, con tutte le degenerazioni che questo comporta, riesce a mantenere salde e vive le aspirazioni fondative e l’anima del movimento di liberazione. Fatto che, in un Paese che conosce ancora forti disuguaglianze economiche e sociali, resta un buon asso vincente.
A caratterizzare queste elezioni è stata la prima volta al voto dei cosiddetti Born free, la generazione dei nati a partire dal 1994 in un Sudafrica libero e multirazziale, generazione che non ha memoria diretta dell’apartheid. Rappresentano circa il 40% della popolazione, vale a dire un esercito di 20 milioni di sudafricani. Su un totale di circa 1,9 milioni di giovani di età compresa tra 18 e i 19 anni, solo 646.313 si sono registrati per le elezioni del 7 maggio, cioè appena uno su tre.
Per Anc, che conta molto sul suo passato come movimento di liberazione e sulle colpe del regime dell’apartheid per fare presa sugli elettori, i born free sono un problema. Ma di questo “problema”, delle loro aspirazioni che fanno a pugni con una realtà economica e lavorativa disastrosa, Anc dovrà prima o poi farsi carico e imparare a parlarne la lingua se vorrà restare al potere e cambiare realmente il volto del Paese.
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