Elezioni. Il guazzabuglio universale
Si può scrivere un articolo per spiegare che non si sa perché lo si scrive? Me ne sono capitate tante nella vita. Ora mi capita anche questa. Si avvicinano le elezioni europee. Che fare?
Il governo Renzi è il peggiore che ci sia accaduto di giudicare, nell’ambito del centro-sinistra (centro-sinistra?), nel corso degli ultimi decenni. Al confronto, non dico Prodi, ma mi fermo a Letta, se si fa riferimento a una posizione di conservatorismo illuminato (non di più, per carità, non di più!), i confronti appaiono schiaccianti.
Il premier procede a balzelloni, come un improvvisatore non in grado di andare al di là di se stesso, con molti slogan, ma senza idee né programmi né cultura. Le politiche sociali sono ridotte al livello di mance ai poveri e agli indigenti. Il patto politico-riformatore con Berlusconi regge agli scossoni cui da una parte e dall’altra, per finalità squisitamente (si fa per dire) elettorali, viene sottoposto. È assolutamente prevedibile che dopo questo voto, quale che che ne sia l’esito, Berlusconi manifesti l’intenzione di tornare al governo, d’intesa, sia pure concorrenziale, con il nuovo Centro destra.
Del resto, perché non dovrebbe accadere? In fondo, anche la politica sociale dell’ex Cavaliere, in perfetta armonia con quella renziana, consiste nel promettere mille euro al mese alle «povere (testuale, nda) casalinghe». Lo ammetto: il ministro Padoan è un’«altra cosa». Ma, appunto: se è un’«altra cosa», cosa ci sta a fare, come riesce a operare efficacemente lì dentro?
E la lista Tsipras? In un’intervista recentissima su il manifesto (16 maggio), Barbara Spinelli spiega: «Spero che la lista Tsipras abbia la forza e l’indipendenza di giudizio per aprire un dialogo con i 5Stelle e decidere per punti specifici politiche concordate. Ci sono molte cose in comune…». L’intervistatrice, Daniela Preziosi, ha qualcosa da obiettare: «Per la verità Grillo sembra più interessato alla campagna forsennata contro il Pd». Replica Spinelli, ben trincerata dietro le proprie certezze: «Ci sono molte posizioni di Grillo completamente condivisibili e fra l’altro simili se non identiche alle nostre. Il Movimento 5Stelle potrebbe svolgere un ruolo molto importante…». Dunque, secondo Spinelli per sbarrare la strada alle «larghe intese» di Schulz in Europa e di Renzi in Italia, bisogna, è legittimo, è decente imboccare la strada di una «larga intesa» con l’orrido Grillo, il peggior nemico di qualsiasi prospettiva seriamente democratica e riformatrice? Si capisce fino in fondo, ora, perché la lista Tsipras (in Italia, s’intende) ha fin dall’inizio rifiutato di definirsi una componente (sia pure fortemente innovativa) del cosiddetto «campo della sinistra». Se lo avesse fatto, infatti, si sarebbe interdetta il gioco politico post elettorale con Grillo, il quale ora, nelle parole di Spinelli, emerge inequivocabilmente.
E Grillo? E l’ondata «populista», che sale da tutte le crepe della società europea attuale? È davvero, come si dice, il pericolo maggiore? Io penso di sì. Ma se è così, è inevitabile che, allo stato attuale delle cose (ripeto e insisto: «allo stato attuale delle cose»), per fronteggiarlo non verrà in mente a nessuno niente di meglio, che la teoria e la pratica delle «larghe intese», non solo in Italia e in Germania, dove già esistono, ma anche in Francia, in Spagna e, forse, in Inghilterra.
Il «vecchio» mondo politico-istituzionale, — cioè «destra» e «sinistra» classiche, ormai sempre più destituite di fondamenti e contenuti tradizionali, e sempre più simili fra loro, — si alleerà al proprio interno sempre più sistematicamente, allo scopo essenziale di garantirsi una sopravvivenza. Tecnocrazia, finanza e mercati stanno per ora (per ora!) dalla sua parte, poi si vedrà.
Dunque, a quanto sembra, se si vuole sbarrare, in primo e indubitabilissimo luogo, la strada a Grillo e al grillismo (in Italia, anche in questo caso, s’intende), e, in prospettiva, al populismo in Europa, bisogna acconciarsi a votare l’intollerabile Renzi. E se si vuole sbarrare la strada alle «larghe intese» fra Renzi e la cordata, sempre ricomponibile, della Vecchia e Nuova destra, bisogna votare (come con esemplare chiarezza spiega Spinelli) in modo da favorire un’alleanza dei «progressisti» (per giunta radicali) con l’orrido, anzi orridissimo Grillo, in confronto al quale anche i vecchi fascisti sarebbero sembrati dei progressisti e delle persone per bene.
Si capisce perché in Italia la massa di coloro che non hanno ancora scelto, e forse non sceglieranno, è così elevata da sfiorare la maggioranza assoluta. Per la prima volta nella storia, infatti non ci si chiede più di votare per un programma e per gli uomini che lo rappresentano, ma per impedire che prevalga un «altro» programma e «altri» uomini che più o meno lo rappresentano.
Come ho già scritto altre volte, non ci sono più «avversari» che si scontrano per affermare la diversità delle loro rispettive posizioni, ma «concorrenti» che si sfidano più o meno sul medesimo terreno con mezzi analoghi (se non addirittura coincidenti). Oggi, di più: la scelta fra i «concorrenti» avviene soprattutto, se non esclusivamente, per impedire che la merce di un «altro» trovi migliore accoglienza sul mercato. La qualità della «propria» merce passa invece in secondo piano. E giustamente: infatti, è merce residuale, fondi di magazzino, prevalentemente fuori corso, che resiste sul mercato unicamente perché la merce che propongono al loro posto gli homines novi fa semplicemente schifo.
Simpatizzo per questa massa. Penso che le si dovrebbe dedicare un’attenzione meno interessata e farisaica di quella che è emersa nelle ultime settimane: votami, votami per favore se non mi voti vince quell’altro, quell’altro che, lo si vede bene, fa schifo, molto più schifo di me.…
È, dopo tutto, una massa di uomini liberi: ognuno di loro, fra qualche giorno, può astenersi, votare scheda bianca, votare Pd, votare Tsipras, votare, perché no, i Verdi, di cui nessuno parla (anche loro, peraltro incauti e oscillanti oltre misura), insomma può fare una scelta commisurata alle proprie ansie, paure, eredità del passato, aspettative del futuro, bisogni elementari (ma anche culturali) di sopravvivenza, ecc, ecc.
Ma quel che non può fare, e che secondo me non farà (spero che non faccia), è condividere la logica che ci viene imposta con prepotenza sempre maggiore. «Questa» politica non ci appartiene, non è la nostra, non la condividiamo, né da una parte né dall’altra. Siamo troppo vecchi, o troppo giovani, per non sperare d’incontrare qualcosa di diverso. La strada è, sarà lunga: ma di certo è, sarà diversa.
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