Chiara Sara­ceno : L’Italia è più disuguale degli altri

by redazione | 4 Maggio 2014 9:39

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L’Italia è un paese molto disu­guale a più livelli. E’ que­sto il qua­dro trac­ciato dalla socio­loga Chiara Sara­ceno dopo l’ennesima con­ferma arri­vata dai dati del Censis.

E’ sem­pre più chiaro: la crisi non col­pi­sce tutti allo stesso modo ma si abbatte con mag­giore forza sui più deboli.

I dati del Cen­sis sono simili a quelli della Banca d’Italia sul bilan­cio delle fami­glie. Per la Banca d’Italia il 10% delle fami­glie più abbienti pos­siede il 46% della ric­chezza netta del totale delle fami­glie ita­liane. Nei primi anni delle crisi c’era stata l’impressione che a pagare di più fosse chi aveva ren­dita inve­stita dato che si trat­tava di una crisi finan­zia­ria. Ma que­ste per­sone in realtà hanno pre­sto recu­pe­rato men­tre sono crol­lati i red­diti da lavoro.

L’Ocse con­ferma che nel 1981 l’1% dei red­diti più alti rag­giun­geva il 6,9% del totale dei red­diti degli ita­liani men­tre nel 2012 la per­cen­tuale è salita al 9,4%. E la ric­chezza dell’1% più abbiente sarebbe addi­rit­tura salita al 16% del totale, si tratta di una ten­denza che si è regi­strata in tutto il mondo. A che punto è l’Italia?

In Fran­cia e in Spa­gna ad esem­pio è andata diver­sa­mente, la crisi non ha accen­tuato le dif­fe­renze come è avve­nuto in Ita­lia. Il nostro è un paese molto disu­guale. Oltre alle dif­fe­renze di ric­chezza e red­dito c’è una grande dif­fe­renza ter­ri­to­riale. E a sua volte nelle zone più povere del sud il diva­rio tra ric­chi e disa­giati è ancora mag­giore. Si tratta quasi di un indi­ca­tore di sot­to­svi­luppo. Per non par­lare di tutte le altre dif­fe­renze: tra donne e uomini, tra gio­vani e meno gio­vani, tra chi ha figli e chi non ne ha, tra garan­titi e non garan­titi. E in ognuna di que­ste cate­go­rie sche­ma­ti­che a loro volta si intrec­ciano tutte le pos­si­bili dispa­rità. I gio­vani senza lavoro non sono tutti uguali, c’è chi ha alle spalle una fami­glia di un tipo chi di un altro, chi è al sud e chi è al nord e così via.

Come si può uscire da que­sto com­bi­nato dispo­sto di ingiu­sti­zie che si intrecciano?

Il pro­blema dell’Italia è la scarsa mobi­lità sociale. Da noi l’origine fami­liare è ancora molto pre­dit­tiva del futuro sia edu­ca­tivo che lavo­ra­tivo di un ragazzo. Tutto è fermo, bloc­cato, piove sem­pre sul bagnato. Nes­suno rie­sce a fare la pro­pria parte per cor­reg­gere que­sta situa­zione. Non ci rie­sce la scuola col­pita dai tagli, non ci rie­sce il wel­fare e non ci rie­scono le imprese troppo spesso sedute sulla rin­corsa a salari sem­pre più bassi.
Ma le disu­gua­glianze sono causa o effetto della crisi?
La tesi che siano all’origine della crisi è sem­pre più con­di­vi­si­bile, spe­cie dove que­ste dif­fe­renze sono, appunto, bloc­cate e per­ma­nenti. In Ita­lia non solo i ric­chi sono sem­pre più ric­chi, ma sono sem­pre le stesse persone.

I mitici 80 euro di Renzi pos­sono cam­biare le cose?

Non sono certo riso­lu­tivi anche se io non ci sputo sopra. Fac­cio solo notare che sosten­gono il red­dito dei lavo­ra­tori poveri, non dei poveri, e che non ten­gono conto del fatto che magari in una fami­glia dove tre per­sone lavo­rano e gua­da­gnano meno di 1.500 euro arri­vano 240 euro in più, e in una mono­red­dito con un solo sti­pen­dio poco sopra i 1.500 euro non arriva nulla. In que­sto senso anche que­sta mano­vra non è cen­trata sulla vera povertà e pro­duce ini­quità.
Por­terà almeno una cre­scita dei con­sumi come dice il Cen­sis?
Mi sem­brano dati otti­mi­stici, fac­cio notare che ulti­ma­mente è leg­ger­mente cre­sciuto il rispar­mio. Signi­fica che chi ha un minimo di mar­gine, anche a costo di tagli, rispar­mia per­ché non crede più nella famosa luce alla fine del tunnel.

Il dl Poletti peg­gio­rerà le cose?

Dicia­moci la verità, pur­troppo regola una situa­zione di fatto del mer­cato del lavoro ita­liano. L’imprenditore che non vuole assu­mere rie­sce sem­pre a non farlo. Ma una cosa è certa, non è la rigi­dità o il costo del lavoro che creano disoc­cu­pa­zione, ormai lo dice anche l’Ocse che ha sem­pre soste­nuto la fles­si­bi­lità. Il pro­blema vero è che non c’è domanda e le aziende ita­liane non hanno inve­stito in ricerca e hanno perso competitività.

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