Camera, sì all’arresto di Genovese Ma sei democratici votano contro

by redazione | 16 Maggio 2014 9:12

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ROMA —Tra i 247 deputati del Pd favorevoli all’arresto del compagno di partito Francantonio Genovese, sono davvero pochi quelli convinti di aver fatto la cosa giusta. Ma quasi tutti sanno di aver scelto il male minore per il Pd davanti al pressing dei 5 Stelle.
Il voto sulla richiesta di arresto arrivato a ridosso delle elezioni, il «clima forcaiolo» imposto dai grillini, lo scrutinio palese invocato da Renzi e avallato da Forza Italia hanno trasformato la seduta in una sorta di «ordalia del sangue», secondo una definizione di Beppe Fioroni che ha votato contro le manette al ras di Messina insieme ad altri 5 democratici (Maria Amato, Maria Gaetana Greco, Maria Tindara Gullo, Gero Grassi, Tommaso Ginoble, mentre Paola Bregantini si è astenuta). «Un voto sulla libertà personale a scrutinio palese — ha detto Fioroni — non è un voto libero». Altri 33 del Pd, comunque, non ce l’hanno fatta per vari motivi: tra gli assenti (oltre i 13 in missione), spiccano i nomi di Bersani, Letta, Bruno Bossio, Cardinale, Faraone, Lauricella, Moretti e quello del segretario siciliano Raciti. Giuseppe Lauricella ha commentato: «Non mi è piaciuta la gestione di questa vicenda. Non conosco Genovese ma non mi piego, come i grillini, a fare un processo nelle aule parlamentari». E di seguito Gero Grassi: «Il voto palese falsa il risultato e determina l’arresto di una persona. Non doveva accadere…». La Camera (371 favorevoli, 39 contrari tutti di FI e Ncd) ha dunque dato il via libera, in un’aula dominata da un silenzio glaciale al momento del voto, alla ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip Gianni De Marco, che fin dal 18 marzo scorso aveva ravvisato gli estremi del carcere preventivo per il deputato accusato di associazione a delinquere, riciclaggio, peculato, truffa aggravata ed emissione di fatture false per un giro di finanziamenti ai corsi di formazione.
Il Pd — che pure aveva candidato Genovese nel 2013 dopo la vittoria alle primarie a Messina con 19.590 voti, evitando dunque di inserirlo nella lista degli indesiderabili come è toccato invece ad Enna a Vladimiro Crisafulli — aveva un piano basato sul rinvio al dopo elezioni. Però ieri — sotto la pressione martellante del M5S — è cambiato qualcosa ai piani alti del Nazareno (e di Palazzo Chigi) perché ci si è resi conto che la linea della «riduzione del danno» rischiava di trasformarsi in boomerang elettorale. Così il capogruppo Roberto Speranza ha usato parole molto dure in aula puntando il dito contro i grillini («Qui qualcuno vuole uno scalpo elettorale…») e assicurando comunque che il Pd avrebbe votato a favore dell’arresto. A quel punto il capogruppo Renato Brunetta ha lanciato la sua sfida al Pd affermando che FI non avrebbe più chiesto lo scrutinio segreto per evitare che si orchestrassero strumentalizzazioni. E così, intorno alle 13, la giornata ha cambiato verso.
Il segretario del Pd, in contatto con Speranza, ha infatti raccolto la sfida e ha dato il via libera al voto immediato (a patto che fosse palese per evitare sorprese). Poi, i fedelissimi di Genovese avrebbero tentato di mettere insieme le 30 firme necessarie per chiedere il voto segreto ma l’operazione non è andata in porto. Il dibattito prima del voto è stato aspro quando il grillino Alessio Villarosa ha attaccato la presidente Laura Boldrini e ha rivendicato l’esclusività della memoria di Falcone e Borsellino. Gli ha risposto Anna Rossomando dicendo che il Pd, nella cui storia c’è il sacrifico di Pio La Torre, «non accetta lezioni di moralità da nessuno».
Presenti tra i grillini solo 73 deputati su 104 a causa delle sospensioni decretate dopo gli incidenti dei mesi scorsi. Pochi i presenti nei banchi di Forza Italia (19 su 60) e del Ncd (9 su 28). Astenuti Pino Pisicchio, i socialisti e in parte i popolari mentre Scelta civica e Sel hanno deciso «pur senza entusiasmo» per l’arresto perché, come ha rilevato il relatore Franco Vazio (Pd) — che ha letto in aula molti passaggi dell’ordinanza del gip — non è stato rilevato il fumus persecutionis. Lapidario Renzi: «Il Pd crede che la legge sia uguale per tutti. E la applica sempre, anche quando si tratta dei propri deputati, a viso aperto». Grillo, invece, invoca la retata: «Li mandiamo a casa uno a uno…». Per Berlusconi, invece, «l’importante è essere garantisti. Sempre».
Dino Martirano

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