Borgo Bainsizza.Cronaca di un linciaggio annunciato

by redazione | 7 Maggio 2014 9:46

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BORGO BAINSIZZA (LATINA). Reportage. La notte del 25 aprile a Borgo Bainsizza, Latina, una ronda di cittadini picchia quattro minori rom. È l’ultimo atto di una campagna per sgomberare il campo Al Karama, tra minacce a chi li difende e psicosi securitaria. Le vittime parlano

Cos’è acca­duto nella notte tra il 24 e il 25 aprile nella piaz­zetta di Borgo Bain­sizza? Ionuz Udila, 17 anni dichia­rati, la rac­conta così: «Era­vamo in quat­tro e tor­na­vamo da una festa, era più o meno l’una e mezza. All’altezza del ben­zi­naio ci si è fer­mata la mac­china e siamo scesi. Men­tre cer­ca­vamo di farla ripar­tire abbiamo notato un gruppo di per­sone che si avvi­ci­nava a noi. Erano una quin­di­cina, forse venti, gio­vani e adulti. C’erano anche delle donne. Ci hanno chie­sto: che state a fa’? Abbiamo rispo­sto che ci si era fer­mata l’auto, non sta­vamo facendo nulla di male. Ma non ci cre­de­vano, ci hanno bloc­cato dicendo che dove­vamo aspet­tare le guar­die. Quando sono arri­vate, ci hanno fatto ingi­noc­chiare e ci hanno preso a schiaffi. Anche le per­sone che ci ave­vano fer­mato ci pic­chia­vano, erano gui­dati da un poli­ziotto che abita lì e che cono­sciamo, era in bor­ghese, fuori ser­vi­zio. Dopo dieci minuti un agente ci ha preso le chiavi dell’auto e ci ha detto “ora andate via”. Ma come face­vamo ad andar­cene senza l’automobile? Abbiamo pro­vato a spin­gerla, però quando abbiamo ci siamo accorti che quelle per­sone ci segui­vano ancora siamo scap­pati. Il giorno dopo l’abbiamo ritro­vata bru­ciata».
Ionuz è inti­mo­rito. Ci sono voluti diversi giorni per­ché lui e la sua fami­glia, gra­zie anche al sup­porto di Cgil, Libera e Legam­biente, si con­vin­ces­sero ad andare in que­stura a Latina per denun­ciare l’accaduto. Ieri, final­mente, ha ripe­tuto la sua ver­sione dei fatti alle auto­rità e con­se­gnato il referto del pronto soc­corso. Gli amici che erano con lui la sera del ten­tato lin­ciag­gio invece non hanno voglia di par­lare. Sono tutti mino­renni e vivono come Ionuz nelle barac­che dipinte d’azzurro, fra­dice d’umidità e puteo­lenti del campo rom Al Kha­rama nelle cam­pa­gne di Borgo Bain­sizza, su un fianco della disca­rica di Borgo Mon­tello. Hanno paura di riper­cus­sioni, avver­tono un’ostilità dif­fusa nei loro con­fronti e non si sen­tono garan­titi da nes­suno, subi­scono le botte e tac­ciono, sop­por­tano le ves­sa­zioni e i taglieg­gia­menti dei boss del campo chi­nando il capo e pagando, alcuni di loro si pro­sti­tui­scono a uso e con­sumo di ita­lia­nis­simi pedo­fili. Gabriel è uno di loro. Alto, affu­so­lato, capelli corti con un ciuffo biondo davanti agli occhi, ha appena 15 anni. Il due mag­gio scorso ha dichia­rato ai cara­bi­nieri della sta­zione di Borgo Pod­gora di essere stato aggan­ciato da un uomo che si è offerto di dar­gli un pas­sag­gio fino a Borgo Bain­sizza. Quando però si è accorto che non lo stava por­tando a desti­na­zione lo ha invi­tato a fer­marsi e a farlo scen­dere. Ha rac­con­tato ai cara­bi­nieri: «Que­sti, pur fer­mando la mac­china nei pressi della disca­rica, mi toc­cava le parti intime invi­tan­domi ad avere un rap­porto ses­suale con lui. Voleva che lo pene­trassi». I mili­tari gli hanno seque­strato venti euro, il cor­ri­spet­tivo della prestazione.

Anche Ionuz non voleva par­lare. Con­vin­cere lui e i suoi fami­liari non è stato facile. Sono arri­vato fin quag­giù, in que­sto borgo di poco più di 400 abi­tanti a pochi chi­lo­me­tri da Latina inti­to­lato a un alto­piano del Carso che fu tea­tro di una delle più san­gui­nose bat­ta­glie della Prima guerra mon­diale, in seguito a una segna­la­zione pre­oc­cu­pata: nella notte della Libe­ra­zione è andata in scena una cac­cia al rom. Come spesso accade, migrando di bocca in bocca gli eventi si distor­cono e ingi­gan­ti­scono: c’è chi fa ini­ziare i pestaggi nel pome­rig­gio e li tra­scina fino a sera inol­trata, e chi invece parla di due, tre, addi­rit­tura quat­tro aggres­sioni in momenti diversi. Di certo qual­cosa di brutto è avve­nuto e, quel che è peg­gio, potrebbe ripe­tersi, vista la brutta aria che si respira tra i due­mila abi­tanti circa di Borgo Bain­sizza e delle vicine Borgo Mon­tello e Santa Maria.
A por­tarmi nel campo è Paolo Bor­to­letto, un ex ope­raio della Goo­dyear man­dato via dalla mul­ti­na­zio­nale ame­ri­cana nella prima ondata di licen­zia­menti, agli inizi degli anni ’80, «quando su 114 cas­sin­te­grati ne furono sele­zio­nati 94 con la tes­sera del Pci», ricorda. Bor­to­letto, che come la gran parte degli abi­tanti del luogo discende da una fami­glia veneta depor­tata dal fasci­smo ai tempi delle boni­fi­che pon­tine, si è ricon­ver­tito all’agricoltura e all’ingresso della sua fat­to­ria ha affisso una frase di Anto­nio Gram­sci che sem­bra un avver­ti­mento a rot­ta­ma­tori di ogni risma: «Una gene­ra­zione che deprime la gene­ra­zione pre­ce­dente, che non rie­sce a vederne le gran­dezze e il signi­fi­cato, non può che essere meschina e senza fidu­cia in se stessa, anche se assume pose gla­dia­to­rie e sma­nia per la gran­dezza». Da quando sui resti di una strut­tura costruita negli anni ’90 per acco­gliere i rifu­giati somali ed eri­trei e in seguito abban­do­nata a causa della man­canza di finan­zia­menti è nato il campo rom che prende il nome di quest’ultima, Al-Karama, che in arabo vuol dire «dignità», lui è impe­gnato per­ché ai suoi abi­tanti la dignità sia appunto resti­tuita. Non sono in molti, da que­ste parti, a pen­sarla allo stesso modo. Per farmi ren­dere conto di quanto l’atmosfera in que­sti giorni sia pesante mi mostra alcune pagine face­book di per­sone del luogo. Ven­gono can­di­da­mente espressi, spesso in maniera sgram­ma­ti­cata, giu­dizi raz­zi­sti e per­sino minacce di morte: «Prima tocca andà a acchiappà Bor­to­letto e farlo fuori»; «Pren­derli ammaz­zarli e sot­ter­rarli. L’unica solu­zione!!! Tanto sono inu­tili e non ser­vono a un cazzo!!! Come ‘sti quat­tro comu­ni­sti che girano per di qua», «Se la mat­tina tro­ve­rete la vostra casa o la vostra atti­vità sva­li­giata e saranno spa­riti i vostri beni più cari, credo che di com­pren­sione per que­sta razza di pseu­dou­mani, sarà scesa di molto. Ma nes­suno si domanda come fanno a vivere que­sta gente, rubano e spac­ciano, per­ché sanno benis­simo che le nostre leggi li tute­lano. Sve­glia­tevi gente«.
È stato Bor­to­letto a por­tare il ragazzo al pronto soc­corso, tre giorni dopo l’accaduto, veden­dolo livido e ancora tre­mante. Gli altri tre non si sono fatti nep­pure visi­tare da un medico. Non è facile da com­pren­dere, ma ad Al-Karama ci si ammala senza nep­pure pen­sare di poter curarsi. Nel campo si vive in con­di­zioni igienico-sanitarie disa­strose: le barac­che, vec­chi con­tai­ner rici­clati dai can­tieri dell’autostrada Salerno-Reggio Cala­bria, sono fode­rate di eter­nit, e all’esterno c’è immon­di­zia dap­per­tutto. Il campo con­fina con la mega­di­sca­rica di Borgo Mon­tello, dove c’è il sospetto forte – cor­ro­bo­rato dalle parole del pen­tito Car­mine Schia­vone — che i Casa­lesi abbiano sot­ter­rato per anni fusti tos­sici, forse anche quelli pro­ve­nienti dalla “nave dei veleni” Zeno­bia. Appena entriamo nel campo, veniamo accolti da un marito spa­ven­tato per­ché sua moglie ha appena abor­tito. È distesa su un letto, bianca come un cen­cio, ma a nes­suno è venuto in mente di chia­mare un’ambulanza o di tra­spor­tarla in ospe­dale.
Ionuz è l’unico dei pestati che rie­sco a incon­trare. La madre non ne vuol sapere di denun­ciare: «Come fac­ciamo ad accu­sare anche i poli­ziotti? Qui tutti dicono che ci vogliono ammaz­zare e bru­ciare il campo». Il ragazzo appare spa­ven­tato ma alla fine abbassa gli occhi e for­ni­sce la sua ver­sione dei fatti: la ronda di cit­ta­dini che ferma i quat­tro ragazzi, l’arrivo degli agenti, le botte. Una “lezione” che si con­clude con il rogo dell’auto.

All’indomani del lin­ciag­gio di Tal­lu­lah, un vil­lag­gio della Loui­siana, la notte del 21 luglio 1899, ci fu chi non mancò di rite­nere gli ita­liani «una colo­nia di viziosi, omi­cidi e assas­sini», per i quali «omi­ci­dio e san­gue sono quello che rose, luna piena e musica sono per poeti e amanti». Eppure, era appena acca­duto che tre­cento per­sone infe­ro­cite ave­vano assal­tato il comando di poli­zia per tirar fuori tre sici­liani arre­stati dopo il diver­bio con una per­sona del luogo e impic­carli in piazza insieme ad altri due loro com­pae­sani. A vin­cere fu il pre­giu­di­zio anti-italiano, aiz­zato da inte­ressi eco­no­mici: secondo diverse testi­mo­nianze, a orche­strare la cam­pa­gna furono i com­mer­cianti locali, per banali motivi di con­cor­renza.
Borgo Bain­sizza per for­tuna non è Tal­lu­lah, il sud Ita­lia non è il vec­chio West e le due vicende distano più di un secolo e diverse migliaia di chi­lo­me­tri, però entrambe appa­iono mosse da un’analoga molla: il pre­giu­di­zio che può spin­gere paci­fici e civili cit­ta­dini di un pae­sino di pro­vin­cia alla bana­lità del male. Ma l’humus che ali­menta la cam­pa­gna anti-rom da que­ste parti è par­ti­co­lar­mente com­po­sito e non è soste­nuto da soli pre­giu­dizi. Anche in que­sto pezzo di nord-est meri­dio­nale qual­cuno paventa che die­tro la cac­cia allo zin­garo possa nascon­dersi dell’altro: i ter­reni su cui è costruito il campo sareb­bero ambiti per spe­cu­la­zioni di vario genere, ma per impos­ses­sar­sene è neces­sa­rio fare terra bru­ciata attorno ai rom e costrin­gerli ad andar­sene. «Cono­sciamo i forti inte­ressi che sono legati all’allargamento della disca­rica, alla deci­sione di fare instal­lare un ter­moin­ce­ne­ri­tore e alla con­ve­nienza dei gestori dell’impianto di acqui­stare quell’area per avere il con­trollo totale del ter­ri­to­rio», accusa Gian­carlo Mar­chiella, che è uno dei fon­da­tori del comi­tato Dignità per Latina, nato pro­prio per difen­dere i rom di Al Karama. «Sap­piamo anche benis­simo quanto è alto il potere di per­sua­sione e di mani­po­la­zione, da parte di deter­mi­nati ambienti, sulle per­sone, per creare con­vin­zioni devianti, basate su pre­giu­dizi raz­ziali e non solo. E sap­piamo benis­simo che c’è una volontà poli­tica e isti­tu­zio­nale di non voler sco­prire la verità sui fusti tossico-nocivi e di insab­biare il tutto per evi­tare altre peri­co­lose situa­zioni, che potreb­bero aggra­vare la posi­zione dei gestori del sito», aggiunge.
Pro­prio al lato di Al Karama, inol­tre, il Comune — gui­dato da un’amministrazione di cen­tro­de­stra, il sin­daco Gio­vanni de Giorgi è stato eletto con il Pdl e ora è pas­sato con Fra­telli d’Italia — sta costruendo un campo attrez­zato, sul modello di quelli voluti dall’ex sin­daco Gianni Ale­manno a Roma. Il governo ha stan­ziato un milione e 280 mila euro per siste­mare un cen­ti­naio di per­sone, ma i lavori pro­ce­dono a rilento. Vado a vederlo: hanno spia­nato il ter­reno, get­tato una colata di cemento e recin­tato il tutto. «Non lo fini­ranno mai per­ché il prezzo sociale da pagare sarebbe troppo alto, il Comune per­de­rebbe con­sensi e allo stesso tempo dovrebbe affron­tare dei costi di gestione troppo alti», sostiene Bor­to­letto. Ma in paese si teme che la nuova strut­tura venga ulti­mata eccome e che que­sto potrebbe far rad­dop­piare la popo­la­zione gitana. «Finirà che i due campi si som­me­ranno. Come può un paese così pic­colo sop­por­tare cen­ti­naia di stra­nieri?» dice qual­cuno, pale­sando un timore ine­spresso: quello di poter diven­tare un giorno mino­ranza etnica. Secondo altri sarebbe in corso un ten­ta­tivo di «spo­stare l’attenzione dai fusti tos­sici ai morti di fame». Insomma, si sarebbe deviata l’attenzione sull’emergenza rom per occul­tare le trame e i veleni che sta­reb­bero emer­gendo tra le pie­ghe della gestione della disca­rica.
A uno dei due bar di Borgo Bain­sizza, quello di fronte al ben­zi­naio dove si è fer­mata l’auto dei quat­tro gio­vani rom la notte tra il 24 e il 25 aprile, la pen­sano all’opposto. «Si mette in discus­sione solo la disca­rica, al comi­tato Amici del Borgo, del quale fac­cio parte, dicono che dei rom non si può par­lare male per­ché altri­menti siamo raz­zi­sti. Però qui hanno pro­vato a entrare due volte in dieci giorni, un altro bar è stato sva­li­giato, a qual­cuno hanno rubato per­sino i panni dallo sten­dino. Il comune, invece di pro­teg­gerci, manda il bus a pren­dere i bam­bini per por­tarli a scuola. Per i nostri invece non c’è nulla», dice la tito­lare. Poi con­clude, forse allu­dendo a quello che è acca­duto pro­prio lì davanti la notte della Libe­ra­zione: «Il rischio è che prima o poi accada qual­cosa di brutto». Ecco entrare in scena un altro ele­mento: l’insicurezza per­ce­pita. In parte ali­men­tata ancora una volta dal pre­giu­di­zio, in parte da una micro­cri­mi­na­lità effet­ti­va­mente dif­fusa e ingi­gan­tita dal degrado sociale in cui vivono gli abi­tanti del campo. Ciò è tal­mente vero che tren­ta­cin­que abi­tanti di Al Karama la scorsa set­ti­mana hanno scritto una let­tera a Cgil, Libera, Legam­biente, asso­cia­zione 21 luglio e Comi­tato Dignità per Latina in cui pren­dono le distanze dagli abi­tanti del campo che «stanno per­pe­trando furti e atti di micro­cri­mi­na­lità».
«Nei giorni suc­ces­sivi sono cir­co­late due ver­sioni su quanto acca­duto. La prima era che si fosse trat­tato di un inter­vento per sven­tare un furto. L’altra invece che sia stata una vera e pro­pria aggres­sione», rac­conta Fabri­zio Mar­ras. L’associazione di cui è il coor­di­na­tore pro­vin­ciale, Libera, si è vista deva­stare tre anni fa il Vil­lag­gio della lega­lità, costruito su un cam­ping abu­sivo con­fi­scato a Borgo Sabo­tino, e ha subito diverse inti­mi­da­zioni, ma lui, in base alla sua espe­rienza e cono­scenza del ter­ri­to­rio, non crede che die­tro a tutto que­sto ci sia la mala­vita orga­niz­zata. La sua opi­nione è che la camorra pensi ad altro, in que­sto momento: si sta ricon­ver­tendo alla green eco­nomy, cer­cando di inse­rirsi nei busi­ness delle ener­gie alter­na­tive, delle boni­fi­che e della rac­colta dif­fe­ren­ziata. I rifiuti di Borgo Mon­tello e i ter­reni occu­pati dai rom appar­ten­gono a un’altra epoca. Piut­to­sto, Mar­ras crede che tutta que­sta sto­ria abbia a che vedere con il raz­zi­smo dif­fuso e la guerra tra poveri sca­te­nata dalla crisi eco­no­mica, che pure qui ha pic­chiato duro. Per Mar­chiella la situa­zione è para­dos­sale: Latina, città costretta a inte­grare popo­la­zioni pro­ve­nienti da aree diverse d’Italia, i cui abi­tanti sono stati sfol­lati nei campi pro­fu­ghi in Cala­bria durante la Seconda guerra mon­diale, oggi non rie­sce a inte­grare i nuovi arri­vati. Anche se il sen­ti­mento pre­do­mi­nante, sug­ge­ri­sce, potrebbe essere non tanto il raz­zi­smo quanto quella che gli anglo­sas­soni defi­ni­scono sin­drome Nymby, un acro­nimo che sta per «not in my bac­kyard», «non nel mio giar­dino». Si potrebbe rias­su­mere in que­sto modo: non abbiamo niente con­tro i rom, basta che non stiano vicino a casa mia.

«Comun­que la si affronti, que­sta vicenda porta con­sensi alla destra, per­ché la gente pensa che i rom li abbia fatti arri­vare qui la sini­stra», è l’opinione di Clau­dio Gatto, che incon­tro nella sua abi­ta­zione. Gatto è un alle­va­tore di coni­gli, che in pas­sato for­niva alle case far­ma­ceu­ti­che per la spe­ri­men­ta­zione ani­male, ma soprat­tutto è stato uno stretto col­la­bo­ra­tore di don Cesare Boschin, un prete anch’esso di ori­gini venete che fu tro­vato legato al letto e inca­pret­tato il 30 marzo del 1985 all’interno della sua cano­nica a Borgo Mon­tello. Ucciso dalla camorra, con ogni pro­ba­bi­lità, a causa delle sue denunce con­tro la disca­rica. Nes­suno gli ha mai resti­tuito giu­sti­zia, a comin­ciare dalla Curia di cui faceva parte. Il mio inter­lo­cu­tore attri­bui­sce una respon­sa­bi­lità su quanto sta acca­dendo pure alla Chiesa locale: «C’era un prete polacco che difen­deva i rom, ma l’hanno sosti­tuito e ora sono schie­rati con­tro il campo».
Para­fra­sando il buon Gabriel Gar­cia Mar­quez, si può forse affer­mare che stiamo rac­con­tando la cro­naca di un lin­ciag­gio annun­ciato. Una set­ti­mana prima, infatti, il 16 aprile, alcuni cit­ta­dini ave­vano orga­niz­zato un’assemblea pub­blica nella piazza di Borgo Mon­tello per pren­dere prov­ve­di­menti con­tro la «schiu­mag­gine», vale a dire i rom, e con­tro chi li sostiene. Bor­to­letto si è pre­sen­tato per discu­tere e difen­dersi. A giu­di­care dalle sue parole, non gli è andata par­ti­co­lar­mente bene: «Sono volati insulti e minacce, nei con­fronti miei e di mia figlia, a cui qual­cuno ha per­sino augu­rato di essere stu­prata da un rom». Nono­stante gli impro­peri pro­se­guiti, a suo dire, anche nei giorni seguenti, Bor­to­letto man­tiene la calma e prova a inter­pre­tare gli eventi: «Al borgo pen­sano che non possa rica­dere tutto su di loro, la disca­rica di rifiuti e quella umana. Non sono raz­zi­sti ma sot­toac­cul­tu­rati e igno­ranti. È gente che ha votato in massa a destra e ora è delusa per­ché non ha rispo­sto alle loro aspet­ta­tive». L’ipotesi è sug­ge­stiva: si trat­te­rebbe di schegge della defla­gra­zione del blocco sociale ber­lu­sco­niano. Che pos­sono essere peri­co­lose e far male.

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