Boeri: «Io mandato via perché ostacolavo gli affari»

by redazione | 12 Maggio 2014 8:33

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MILANO — Le lobby economiche («compresa la Lega delle Cooperative») e la rete di potere di Formigoni e dei suoi uomini di Infrastrutture Lombarde. «Per questi mondi io costituivo un ostacolo e per questo sono stato fatto fuori dalla partita». Stefano Boeri — architetto di fama internazionale e poi candidato sconfitto alle primarie milanesi del centrosinistra — è stato assessore alla Cultura e a Expo nella giunta Pisapia. Il dissidio tra i due, Boeri e Pisapia, ha riempito per mesi le cronache dei giornali. Alla fine l’ha spuntata il sindaco. A Boeri è stata prima sfilata la delega all’esposizione e poi, in un secondo momento, è stato «dimissionato» dalla giunta.
Boeri, che idea s’è fatto degli arresti di giovedì? Dietro Expo c’è davvero una nuova Tangentopoli ?
«Rispetto a Mani Pulite ci sono delle differenze evidenti. Un tempo i soldi arrivando dalle grandi imprese andavano ai partiti. Oggi circolano solo risorse pubbliche che non vanno direttamente ai partiti ma ad alcuni centri di potere in collegamento coi partiti. Mi sembra, semmai, che questa vicenda assomigli di più alle inchieste che hanno interessato vicende come il G8. Però mi faccia dire che non si tratta solo di malcostume privato. Su Expo si sono create le condizioni ideali perché questo meccanismo di corruzione si mettesse in moto».
Quali sono le condizioni che hanno reso possibile questo disastro?
«L’elemento degenerativo è nato subito, con la scelta di organizzare l’evento su un’area privata. Nel nostro caso i terreni di Rho-Pero. Non era mai successo prima. E le alternative c’erano, eccome se c’erano. Penso per esempio all’Ortomercato o ad altri terreni pubblici della città. Poi la decisione di attribuire a quell’area un enorme carico volumetrico, pari a diciotto grattacieli Pirelli, che nessuno mai realizzerà e soprattutto acquisterà. E infine la scelta di comprare dai privati. Il prezzo versato dal pubblico per i terreni è stato di 16 volte superiore al valore di quelle aree agricole. Un clamoroso regalo. Il rischio adesso è che quel sito resti senza futuro e sulle spalle del pubblico».
Il suo allontanamento dalla giunta è in relazione a questi dissensi?
«Ricordo che nell’autunno 2011 è stato prima messo da parte Renzo Gorini, un manager stimato che si occupava nella società Expo di infrastrutture e appalti. Al suo posto è arrivato Angelo Paris (uno degli arrestati, ndr ), che invece si occupava di acquisti. Dopo poche settimane sono “saltato” io».
Il Pd non l’ha difesa ?
«In campagna elettorale parlavamo di un evento “sobrio”, su terreni che non andavano acquistati, e che non potevamo consegnare tutto nella mani di Formigoni. Ma al momento di sostenere queste posizioni i dirigenti locali e nazionali del Pd mi hanno lasciato solo. Perché? Sospetto che il Pd di allora conservasse un rapporto anomalo con certi operatori interessati all’evento, come quelli con alcuni settori del mondo delle cooperative. Per fortuna oggi il vento è totalmente cambiato».
È stato il sindaco Pisapia a ritirarle le deleghe. Responsabile anche lui?
«Non credo affatto che Pisapia sia ostaggio di questi interessi. Il suo però è stato un grande errore politico. Lui pensava a una politica di “riduzione del danno”, non capendo che invece Expo aveva bisogno di un governo forte, di un sindaco che se ne occupasse in prima persona. E infatti alla fine questo ruolo se lo sono presi Formigoni e Maroni. E Infrastrutture Lombarde. La prova di quello che dico è che in giunta nessuno mi ha sostituito. Non esiste un assessore all’Expo».
L’Expo disegnato dal Masterplan è stato snaturato?
«In massima parte sì. Di quel progetto rimane molto poco, purtroppo».
Ma Milano ce la farà?
«Rimango ottimista. A patto che si ridimensioni il progetto e che si pensi al dopo 2015. Expo non può lasciare dietro di sé una distesa di rovine. L’idea valida resta quella di un grande parco agroalimentare. Ricerca, cultura, turismo e intrattenimento. Milano è una città di potenzialità enormi. E Pisapia e Maroni hanno le capacità politiche per vincere la sfida».
Andrea Senesi

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