Attentato in Xinjiang, 31 morti
Dalla vasta regione che è il Xinjiang, nord ovest cinese, dovrà passare il gas dopo l’accordo con la Russia e la nuova via della seta, su cui sta lavorando alacremente il governo cinese. Elementi che porteranno nuove ricchezze in questa zona strategica, al confine della Cina con l’Occidente. Gli uihguri, però, la minoranza musulmana cinese, ne saranno fuori, o almeno così pensano.
La colonizzazione han (l’etnia maggioritaria in Cina, quelli che noi chiamiamo genericamente «cinesi») operata da Pechino li esclude dalla nuova ondata di business della frontiera occidentale (e Xinjiang significa proprio «Nuova Frontiera») e determina anche un peggioramento dei loro diritti culturali, linguistici e religiosi. Proprio queste derive di un problema che è dunque sociale, l’etnia, la religione, sono ormai diventate il motivo scatenante di reiterati attacchi contro le istituzioni cinesi, tanto da fare diventare la regione il «problema interno» per eccellenza della Cina. Ieri un’esplosione a Urumqi, capoluogo della regione, fantastica per i suoi paesaggi e per il suo vivere di contraddizioni e diversità, ha provocato almeno trentuno vittime e centinaia di feriti.
L’evento non è nuovo e segue un periodo di tensione nell’area, che nelle scorse settimane aveva portato il presidente Xi Jinping nella regione, per lanciare il suo piano anti terrorismo. Almeno 232 persone sono state arrestate e stando a fonti locali, ci sarebbero state manifestazioni soffocate dall’intervento della polizia. In una di queste, solo due giorni fa, la polizia avrebbe sparato. C’è un duplice problema per Pechino al riguardo. Da un lato la dirigenza cinese prova da tempo a spingere negli ambiti internazionali per un riconoscimento di fatto del «terrorismo uighuro» e di un gruppo in particolare, il Movimento islamico del Turkmenistan orientale (Etim) considerato alleato di Al Qaeda.
Dall’altro c’è un problema più profondo e che costringe la dirigenza cinese a un ragionamento serio sulla capacità di conquistare le fasce sociali che si sentono escluse dal progresso economico del paese. Nonostante il lancio dello slogan del «nuovo sogno cinese», la Cina stenta a dare un’identità condivisa al proprio popolo; non si tratta certo di un problema attuale, ma i rapidi cambiamenti economici e sociali, hanno riportato all’attualità la questione. Non è un caso che la regione xinjianese sia quella più calda (insieme al Tibet, che ha invece nell’elemento religioso un suo fattore determinante). Lo sviluppo cinese ha privilegiato le zone orientali del paese, le prime aree «esclusive» da un punto di vista economico, lasciando le lande occidentali in balia di antiche tradizioni e difficoltà economiche.
La campagna «go west» lanciata anni fa non ha ancora consentito una riappacificazione e gli eventi di questi giorni ne dimostrano la rilevanza per la dirigenza cinese.
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