by redazione | 28 Maggio 2014 11:46
Dopo due anni di discussioni, e la storia non è ancora finita, la Casa Bianca ha fissato cifre e «mappa» per il ritiro dall’Afghanistan. Il presidente Barack Obama, appena rientrato da Kabul, ha spiegato il percorso per uscire dopo un decennio da un Paese dove nessuno vuole più stare. L’ultimo capitolo — sono state le sue parole — di una «guerra che l’America non ha voluto», «è tempo di voltare pagina». E lo ha comunicato anche ai partner con telefonate al britannico Cameron, alla tedesca Merkel e all’italiano Renzi. Queste le date da fissare sull’agenda. Fine 2014: partenza della maggioranza dei 32 mila soldati, stop al ruolo combattente, responsabilità ricade su esercito afghano. Fine 2015: ritiro dei 9.800 militari americani rimasti e dei circa 2 mila alleati. Fine 2016: il vero «tutti a casa», in Afghanistan resterà un nucleo ridotto.
Al numero «magico» — e solo il futuro dirà se lo sia — la Casa Bianca è arrivata al termine di un dibattito non facile, contrasti, arrabbiature dei generali, preoccupati di avere forze scarse per puntellare il traballante apparato afghano. Molti ufficiali hanno sostenuto che la quota di 10 mila soldati è insufficiente. Stessa valutazione dell’intelligence. «Rischiamo di perdere quanto costruito», è stato il messaggio. A metà strada il comandante del contingente, il generale Joseph Dunford, per il quale con 10-12 mila uomini è possibile fronteggiare la situazione. A regolarne la permanenza un accordo di sicurezza con l’Afghanistan che deve essere firmato. È lì da mesi, a portata di mano, ma non si è concretizzato per il rifiuto dell’attuale presidente Hamid Karzai. Un ostacolo che tra qualche giorno sarà rimosso. A metà giugno sarà eletto un nuovo leader.
In base al programma i 9.800 americani, insieme ai partner Nato, avranno i seguenti compiti: azioni di forze speciali in chiave anti-terrore; incursioni di droni; addestramento dell’esercito locale affinché sia in grado di «camminare da solo». Superfluo ricordare il pessimismo di molti osservatori. Non sono pochi coloro che scommettono su un ritorno dei talebani. I guerriglieri guidati dai mullah sono pazienti, lavoreranno per allargare la loro presenza e aspetteranno la fine del 2016.
La conclusione della missione in Afghanistan se, da un lato, rispecchia l’impegno assunto davanti agli elettori da Obama, dall’altro si inserisce in una revisione della politica estera Usa. Una strategia che verrà illustrata oggi dal presidente con un discorso all’accademia di West Point. Gli eventi ucraini e il duello con la Cina spingono Washington a ricalibrare le priorità. Il terrorismo resta una minaccia, ma l’attività di contrasto non può essere il focus statunitense. Nell’intervento a West Point è possibile che Obama tocchi anche la questione Siria. Fonti ufficiose hanno rivelato che gli Usa vorrebbero ampliare gli aiuti alla resistenza garantendo l’addestramento di ribelli fidati. Un «lavoro» che dovrà gestire la Cia. Di fatto un ampliamento — moderato — di quanto è stato fatto in questi mesi in coordinamento con Qatar e Giordania. Tutto sempre con l’estrema cautela di chi ha timore di sostenere elementi che un giorno potrebbero puntare le loro armi contro l’Occidente.
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