Viaggiava con il biglietto non timbrato. « Pestato dai vigili »
Torna al tuo paese, tornatene a casa, non puoi stare qui a rompere le palle»: fino a pochi minuti prima era un giorno come tanti altri per Prensley. L’autobus da casa sua al centro di Padova, pochi chilometri sulla linea 22 da alternare alla bicicletta per andare al lavoro o per qualche commissione. Gesti e percorsi ripetuti quotidianamente, perché Prensley Oviawe ha 49 anni e da 20 vive in Italia, proprio nella città del Santo, dove ha raggiunto gli amici e messo su famiglia con una compagna e cinque figli, tutti nati in Italia: il più piccolo, Wensley, ha 4 mesi.
Prensley è nigeriano di Benin City, ha un permesso di soggiorno a durata illimitata, una carta d’identità con la residenza padovana e il codice fiscale. Ha lavorato in una fabbrica di scarpe e adesso a chiamata (per conto di una cooperativa di servizi) fa lo stewart alla Fiera, cioè si occupa di sicurezza, quindi sarebbe abbastanza bizzarro se avesse conti in sospeso con la giustizia: infatti è incensurato. E mai, giura, mai prima aveva vissuto un pomeriggio come quello di mercoledì scorso, a metà strada tra Arancia meccanica e la vicenda di Emmanuel Bonsu, lo studente ghanese che nel 2008 a Parma fu fermato e pestato nel comando della polizia municipale da otto vigili per cui la Corte di Appello di Bologna ha confermato le condanne di primo grado. Tutto è cominciato con un biglietto obliterato male sul bus, «la macchinetta aveva finito l’inchiostro», l’autista che chiama il controllore e il controllore che sale a bordo e gli dice «no, non ti faccio la multa e non ti facciamo neppure scendere, ti portiamo in questura». «Non è la prima volta che in questa città riceviamo segnalazioni di immigrati a cui sui mezzi pubblici gli addetti al servizio chiedono i documenti e li minacciano di portarli alla polizia», racconta l’Adl Cobas che insieme a Razzismo Stop si occupa di questo caso. Sono le quattro del pomeriggio e tutto, nel racconto di Prensley, succede nel giro di pochi minuti. L’autista vede una pattuglia della municipale, un vigile e una vigilessa, e accosta, anche se in quel punto non c’è una fermata per quella linea.
A quell’ora, Corso Vittorio Emanuele II è un via vai di auto, moto e pedoni, ma nessuno sembra fare caso a quel capannello intorno a Prensley: gli chiedono i documenti, lui fa per tirarli fuori dalla borsa, chissà cosa capiscono e gli saltano addosso. Lo perquisiscono. Il controllore gli tiene ferme le mani, il vigile lo ammanetta. «Mi hanno messo spalle al muro, con le mani bloccate dietro la schiena, e quell’agente mi ha dato un pugno in faccia, poi tanti altri, almeno una decina, mentre mi diceva quelle cose. Sentivo il sangue che usciva, lo vedevo per terra dove mi hanno bloccato, premendomi con i piedi sulla schiena. Gli dicevo che non riuscivo a respirare, ma hanno continuato. Non li vedevo nemmeno più, perché avevo gli occhi gonfi, come il naso e la bocca, sentivo solo le voci». Il suo racconto prosegue al comando, dove è stato portato e messo in una cella «ancora ammanettato, piangevo perché sentivo stringermi le mani, i vigili mi hanno detto tre volte “tra cinque minuti ti togliamo le manette” ». Gli hanno tolto tutto, documenti e cellulare, ma viste le sue condizioni, il comandante ha fatto chiamare il pronto soccorso. Voleva però che fosse medicato sul posto, «pulitegli il sangue qui». Il personale del 118 invece lo ha portato all’ospedale, dove è stato accompagnato dai vigili che hanno assistito a tutte le fasi del suo ricovero, visite ed esami radiologici compresi. I medici volevano trattenerlo per accertamenti, il giorno dopo, o ricoverarlo dopo gli accertamenti in Questura: «Poi vediamo se lo riportiamo». Nella nota della polizia municipale, è stato riaccompagnato al comando «per completare le procedure di identificazione e per tutte le incombenze di legge». Lui invece ricorda bene che è stato accompagnato in Questura con due auto, una di scorta, e contando anche tutti gli altri vigili intervenuti prima, arriviamo ad almeno una dozzina di agenti impegnati per un biglietto di autobus non valido. Il verbale con cui viene accusato di violenza e resistenza a pubblico ufficiale, danneggiamenti e mancata esibizione dei documenti, non è stato compilato dai vigili che lo hanno «trattenuto» nel centro di Padova, in pieno giorno, davanti a diversi testimoni che ora i legali delle associazioni stanno cercando di trovare e sentire. Prensley è stato dimesso con una prognosi di 15 giorni per contusioni multiple, ematomi, tumefazioni e difficoltà visive. Tuttora, dice, ha l’occhio destro gonfio e cieco, oltre alla schiena dolorante.
Secondo la nota dei vigili, invece, una volta sceso dal bus, Prensley ha cercato di fuggire, «mettendo in atto una resistenza violenta che obbligava il personale intervenuto ad immobilizzarlo ». Ha fatto tutto da solo, hanno scritto: si è arrampicato su un’inferriata di una finestra e scivolando ha sbattuto il viso. E poi ha colpito i vigili con «gomitate, pugni e calci». Prensley quel giorno è arrivato a casa a notte fonda, con la solita scorta di agenti, e coi figli che non lo riconoscevano, tanto era pesto e sanguinante. Il giorno dopo è andato dai carabinieri per fare denuncia: «Continuo a chiedermi cosa ho fatto di male a quel vigile. E adesso ho paura, per mia moglie e i miei figli, per quello che può succedere anche a loro in questa città».
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