Unione dei popoli europei. La lezione di Mandela

by redazione | 7 Aprile 2014 12:22

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L’UNIONE dei popoli europei è sorta come reazione alle guerre che hanno devastato il continente nel XX secolo, o alla minaccia di un regime tirannico. Paradossalmente, i politici che più hanno contribuito alla sua nascita sono stati i peggiori nemici di quei popoli: dapprima Hitler, poi Stalin. Il superamento delle divergenze nazionali è stato possibile solo grazie ai pericoli che incombevano sul continente: il ritorno della guerra, l’imposizione di un regime comunista. Da questo punto di vista, la costituzione di un’Europa politica è un successo: le guerre sono diventate impossibili tra Paesi membri di istituzioni comuni, e i tentativi di rovesciare i governi democratici sono falliti.
D’altra parte, l’impossibilità di una guerra tra gli Stati europei è all’origine di un’illusione nefasta: quella di un’invulnerabilità automatica, e quindi estesa anche al mondo esterno al continente europeo.
LO ATTESTA l’esiguità dei bilanci militari della maggior parte dei Paesi del Vecchio continente. In realtà, gli europei hanno scelto un’altra soluzione: quella di delegare la propria difesa globale a un fedele alleato, gli Stati Uniti, ottenendo così i vantaggi della sicurezza senza doverne assumere icosti.Un free ride, che però non è privo di inconvenienti.
Di fatto, dal momento in cui si affidano a un terzo, i popoli europei rinunciano a esercitare un controllo sui mezzi che quest’ultimo decide di mettere in campo. E di conseguenza non possono protestare contro il loro uso senza coprirsi di ridicolo: se non li approvano, perché non provvedono direttamente alla propria difesa? Per citare alcuni esempi recenti, come denunciare le torture ai prigionieri nemici, legalizzata nel corso della precedente presidenza degli Stati Uniti? Come dissociarsi dall’uso massiccio di droni in Paesi lontani per giustiziare individui sospetti, mai giudicati da un tribunale? Come protestare contro la sorveglianza generalizzata delle comunicazioni di interi segmenti della popolazione, e persino dei capi di Stato alleati? In tutti questi casi dovremmo attenderci una risposta inoppugnabile: queste misure — ci direbbero — sono indispensabili non solo alla nostra sicurezza, ma anche alla vostra.
L’Europa farebbe dunque meglio a farsi carico della propria difesa, per stabilire un più giusto equilibrio tra efficacia e legalità, sfuggendo alla tentazione dell’eccesso — di ciò che gli antichi greci chiamavano hubris. Questo atteggiamento di moderazione, in grado di preservare la coesistenza tra diversi principi direttivi, potrebbe divenire il marchio dell’Unione Europea anche in altri campi della vita pubblica. In particolare in quello dei rapporti tra potere politico e potere economico. Nei Paesi totalitari di tipo sovietico le esigenze economiche erano interamente assoggettate al diktat politico. I risultati sono noti: scaffali dei negozi perennemente vuoti, penuria cronica, con la popolazione costretta a ricorrere a miracoli di ingegnosità per sovvenire ai propri bisogni. Ma nel mondo contemporaneo dell’economia globalizzata sorge un pericolo di segno opposto: l’economia, affrancata da ogni dipendenza dalla politica, tende addirittura ad asservirla. Il termine di “democrazia” si svuota allora del proprio significato: il potere non appartiene più al popolo ma alle corporation multinazionali. In definitiva, ciò vuol dire che un ristretto numero di individui, potenti in ragione della propria ricchezza, decide del destino dei popoli. In linea di principio, l’Unione Europea avrebbe la capacità di proporre, e persino di imporre un rapporto più equilibrato tra i diversi poteri, per non lasciare che il perseguimento dell’efficienza economica comporti necessariamente la distruzione di ogni forma di protezione sociale e di controllo giuridico — in breve, della qualità della vita, che dopo tutto è lo scopo ultimo delle nostre istituzioni.
Nel campo della difesa come in quello economico, l’Unione Europea potrebbe riuscire dove i singoli Stati sarebbero condannati all’insuccesso: proteggersi militarmente senza dover legalizzare la tortura, e ovviare agli inconvenienti di un’economia globalizzata. Ma per affrontare questi compiti, e diventare così un agente sulla scena mondiale, è imperativo che l’Ue rafforzi la propria unità. Quest’evoluzione dovrebbe andare di pari passo con una democratizzazione, la quale implicherebbe il trasferimento di poteri dal Consiglio dei ministri — che riunisce i capi di Stato e di governo dei Paesi membri — al parlamento europeo, i cui deputati sono eletti dai loro popoli. Dovrebbe essere il parlamento a eleggere il proprio organo esecutivo, cioè la Commissione, il cui presidente sarebbe al tempo stesso presidente dell’Unione (funzione che oggi è assurdamente ripartita tra diverse istanze).
Al momento, questa auspicabile evoluzione delle istituzioni europee incontra un ostacolo non di poco conto: l’atteggiamento delle élite politiche di ciascun Paese, timorose di perdere nel quadro europeo le prerogative di cui godono a livello nazionale (secondo il principio che «è meglio un uovo oggi di una gallina domani»). Come convincerle a rinunciare volontariamente al potere di cui dispongono? Ma forse non è un’impresa impossibile: dopo tutto, Nelson Mandela è riuscito a persuadere il governo sudafricano a cedergli pacificamente il potere… In attesa di quel giorno felice, ogni misura volta a rafforzare il parlamento europeo è un passo nella giusta direzione. Quanto più elevata sarà la partecipazione alle elezioni europee, tanto maggiore sarà la legittimità del Parlamento.
Traduzione di Elisabetta Horvat

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