Trionfo scontato per Bouteflika Ma metà Algeria non ha votato

by redazione | 19 Aprile 2014 9:29

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ALGERI Le elezioni? Per gli algerini ci sono cose più importanti: per Ahmed c’è la partita con gli amici, sulla terrazza di cemento vicina a rue Professeur Soualah, con il golfo di Algeri in piena vista. O la bella giornata, fa capire Toufik, seduto con un bicchierino di tè e gli amici in una viuzza della Casbah. Votare non è la mia cultura, taglia corto Aziz, preferisco restare con la famiglia. Tutto può rimanere come prima, perché tanto il risultato era già scritto e la storia dell’Algeria ammonisce che è meglio accontentarsi. Nessuno si è stupito ieri quando il ministro dell’Interno Tayeb Belaiz ha annunciato che Abdelaziz Bouteflika, grande assente nella campagna elettorale, aveva conquistato un quarto mandato dalla sua sedia a rotelle, con l’81,53 per cento dei voti.
L’unico avversario che alla vigilia era accreditato di qualche chance, Ali Benflis, si è fermato, secondo i dati ufficiali, al 12,18. Ci sono stati brogli su larga scala, dice il candidato: «È un grande crimine contro la nazione. La voce dei cittadini è stata soffocata». L’affluenza si è fermata appena sopra il 50 per cento: il grande vincitore, come titolava già ieri il quotidiano El Watan , è l’astensione. Insomma, la Primavera araba è passata lontano e non si è fermata da queste parti. In Algeria è già estate. «C’è il sole, come possiamo costringere la gente a venire al seggio?», diceva Ali, responsabile di sezione nella scuola media Luis Pasteur. A metà giornata le urne trasparenti mostravano solo un pugno di schede. Il meccanismo di voto algerino prevede che gli elettori vadano dietro la tenda con le schede dei sei candidati e una busta bianca, per poi scegliere una scheda, imbustarla e buttar via le altre. In teoria serve per gli analfabeti, che possono riconoscere il candidato dalla foto. In pratica, già al mattino la pila di schede con l’immagine di Bouteflika era striminzita: molti elettori prendevano solo la scheda del presidente, ostentando la scelta davanti ai rappresentanti di lista. Decisione prudente, in un paese sorvegliato e controllato dai servizi segreti.
Se qui la Primavera araba non è arrivata, è perché in fondo il sistema di potere, il nidham, non si concentra in un gruppo sociale ristretto o in una famiglia, come era in Tunisia. In Algeria la ricchezza di petrolio e gas si diffonde, sia pure in modo ineguale. «Tutti hanno un amico o un parente che lavora per lo Stato e alla fine riesce a mantenere la famiglia », sintetizza un diplomatico. E i ricordi del decennio di sangue, dal ‘90 in poi, quando stragi e omicidi erano affare di tutti i giorni, sono vivissimi. Poco importa se la firma dei massacri attribuiti agli integralisti islamici è sospetta, e se sul ruolo dei servizi segreti il velo non si è mai levato. I ragazzi di place Audin, che manifestavano con lo slogan Barakat!, «adesso basta», continuino quanto vogliono a esporre poster con il numero 4 sbarrato. Un presidente 77enne, reduce da un ictus e forse ostaggio del suo entourage, resta un garante accettabile della continuità. Secondo il braccio destro di Bouteflika, Abdelmalek Sellal, un presidente malato che si sacrifica per il paese meriterebbe di essere fatto re. Forse non scherza.

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