Il tetto agli stipendi pubblici? Salito di 37 mila euro
Qualche annetto di pazienza. Soltanto qualche annetto, e poi i superburocrati e i manager di Stato potranno recuperare almeno in parte il taglio alle retribuzioni imposto a partire da un paio d’anni fa, quando era in carica il governo guidato da Mario Monti. Perché, anche se nessuno se n’è accorto, il tetto è mobile. E si muove piuttosto velocemente, visto che in sei anni è già salito di 37 mila euro.
Ricordate quel drammatico autunno del 2011? Lo spread fra i Bund tedeschi e i titoli di Stato decennali italiani veleggiava oltre quota 500 e l’ex rettore della Bocconi, subentrato a Silvio Berlusconi, si preparava a somministrare al Paese l’ennesima cura da cavallo. Tagli alle pensioni, anticipo dell’Imu, massacro delle Province. E via di questo passo. Ma fra i vari provvedimenti c’era anche un’amara sorpresina per gli altissimi dirigenti dello Stato, che sarebbe stata poi estesa ai manager delle aziende controllate dai ministeri. Ovvero, il controverso tetto a retribuzioni che però negli anni di vacche apparentemente grasse erano letteralmente impazzite. Da una rapida (e piuttosto complicata) ricognizione saltarono fuori cose piuttosto singolari. Per esempio, che il capo della polizia italiana portava a casa più del doppio del suo collega di Scotland Yard. O che un capo di gabinetto di ministero poteva guadagnare il triplo del presidente della Repubblica. Si decise allora che nella Pubblica amministrazione nessuno avrebbe potuto guadagnare più del presidente della Corte di cassazione. Tutto compreso, ovviamente. E questo per evitare furbizie varie, come quella della moltiplicazione degli incarichi: tecnica ben nota e capace di spingere i compensi pubblici di alcuni manager ben oltre il milione di euro. Faceva scuola, a questo proposito, il caso del presidente dell’Inps Antonio Mastrapasqua, accreditato di introiti per 1,2 milioni.
Non era certo la prima volta che qualcuno provava a mettere un freno alle retribuzioni pubbliche. Ci aveva già provato l’ex ministro dell’Economia Giulio Tremonti, tentando di parametrare i compensi alla media europea: l’obiettivo in quel caso erano le paghe dei parlamentari, anche se poi quel parametro venne esteso a tutti i dirigenti pubblici. La cosa tuttavia non andò in porto. Tanto evidente fu l’impossibilità, accertata da una commissione guidata dall’ex presidente dell’Istat (e successivamente ministro del Lavoro) Enrico Giovannini, di individuare nei principali Paesi dell’Unione Europea figure corrispondenti ai superburocrati nostrani al fine di calcolare la famosa media. Nell’occasione qualcuno ebbe il sospetto che si fosse allargato a dismisura il campo di applicazione di quel principio proprio per farlo saltare. E mai la famosa battuta attribuita a Giulio Andreotti («A pensare male si fa peccato ma quasi sempre ci si indovina») risultò più calzante a un caso concreto.
Ancor prima di Tremonti, però, avevano tentato il suo predecessore Tommaso Padoa-Schioppa e Romano Prodi. La seconda (e ultima) Finanziaria del secondo breve governo dell’ex presidente della Commissione europea aveva infatti già stabilito come limite per le retribuzioni dei mandarini di Stato lo stipendio del presidente della Cassazione. Ma anche questo si rivelò un buco nell’acqua. Prodi andò ben presto a casa, e il governo Berlusconi che lo sostituì nello sgradito compito di applicare quel tetto con un decreto ministeriale, dopo aver cincischiato un paio d’anni arrivò alla conclusione che quel limite forse era valido, ma soltanto per gli incarichi accessori. Effetti pratici: zero virgola zero.
Monti riuscì dunque dove Prodi e Tremonti avevano fallito. Soltanto che mentre alla fine del 2007 il tetto massimo allineato allo stipendio del presidente di Cassazione risultava pari a 274 mila euro, quando il decreto salva Italia entrò in vigore era già salito a 293.658 euro e 95 centesimi. Per superare di slancio, nel 2012, i 300 mila euro. Esattamente, 302.937 euro. Ed ecco che a febbraio di quest’anno il Dipartimento della funzione pubblica annunciava freddamente che «con nota del 23 gennaio 2014, il ministero della Giustizia ha comunicato che nell’anno 2013 il trattamento economico annuale del primo presidente della Corte di cassazione, comprensivo di tutti gli emolumenti spettanti in virtù della carica ricoperta, ammonta a euro 311.658,53».
La ragione è che mentre le buste paga del pubblico impiego sono state sostanzialmente bloccate per cinque anni, quelle della suprema magistratura continuano a lievitare, recuperando largamente il costo della vita grazie a una scala mobile che risulta piuttosto generosa. Nel solo ultimo anno, stando alle tabelle Istat di rivalutazione monetaria, sono cresciute di oltre 5 mila euro più dell’inflazione. Trasformandosi così anche in una specie di ascensore per i compensi dei superburocrati, che vengono di conseguenza trascinati lentamente verso l’alto. Cin cin.
Sergio Rizzo
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