Terra mobile, geografia sociale con confini esasperati e differenze esaltate

by redazione | 20 Aprile 2014 9:11

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L’avvio ha l’andamento di una riu­nione acca­de­mica, ma poi il ritmo si fa incal­zante, fino al punto che quel ras­si­cu­rante e sopo­ri­fero ini­zio viene dimen­ti­cato per aprirsi final­mente a per­corsi di ricerca che con­du­cono su ter­ri­tori sì noti, ma che pos­sono venire esplo­rati usando mappe niente affatto con­so­li­date. L’avvio delu­dente del volume col­let­tivo Terra mobile Atlante della società glo­bale (A.A.V.V. a cura di Paolo Perulli, Einaudi, pp. 294, euro 24,00) deriva dall’innocuo que­sito: «cosa è la glo­ba­liz­za­zione?» che rischia di con­se­gnare il libro a una sta­gione pas­sata della discus­sione pub­blica, visto che la glo­ba­liz­za­zione è rite­nuta, a ragione, un feno­meno irre­ver­si­bile. Per rispon­dere alla domanda il cura­tore, Paolo Perulli, attinge con­sa­pe­vol­mente a un limi­tato reper­to­rio di defi­ni­zioni che hanno carat­te­riz­zato la filo­so­fia, il diritto, l’economia, l’urbanistica. La glo­ba­liz­za­zione, viene ricor­dato, è quella intensa e strin­gente inter­di­pen­denza tra le nazioni che legit­tima la imma­gi­ni­fica frase sul bat­tito di ali di una far­falla in Bra­sile che sca­tena una tem­pe­sta dall’altra parte del pia­neta. Allo stesso tempo viene ricor­dato che le bar­riere poste alla libera cir­co­la­zione di uomini (e donne), merci, capi­tali sono crol­late come un castello di sab­bia. Rispo­ste e defi­ni­zioni insod­di­sfa­centi, che hanno solo la capa­cità di descri­vere feno­meni già pre­senti nella sto­ria umana, senza riu­scire a resti­tuire le dif­fe­renze tra la glo­ba­liz­za­zione attuale e gli altri ana­lo­ghi pro­cessi, che hanno carat­te­riz­zati alcuni periodi della modernità.
Lo sguardo, allora, deve spo­starsi su altri ele­menti del tempo pre­sente. Ed è su que­sti cam­bia­menti di pro­spet­tiva che il volume acqui­sta un ritmo più incal­zante. Sono così ana­liz­zati alcuni luo­ghi comuni che hanno carat­te­riz­zato l’analisi della glo­ba­liz­za­zione. In primo luogo, l’idea che la terra sia diven­tata uno spa­zio liscio, men­tre i con­flitti che carat­te­riz­zano il pre­sente sono resi­dui di un pas­sato che tenta l’ultima resi­stenza a un futuro diven­tato già pre­sente. C’è poi da sta­bi­lire se l’uniformità degli stili di vita o della «cul­tura» abbia un valore euri­stico. Infine, se la geo­gra­fia sociale risulti così alte­rata come con­ti­nuano ad affer­mare i can­tori del nuovo ordine mon­diale. L’intento del volume però non è la nega­zione di tali feno­meni. Tutti gli inter­venti si pre­fig­gono un’operazione teo­rica più ambi­ziosa, quella di aggior­nare la cas­setta degli attrezzi di un pen­siero forte sul presente.

Il libro è costruito attorno a cop­pie ana­li­ti­che – recinto/spazio glo­bale, terra-mare/aria, confine/soglia, separazione/relazione, sovraordinazione/subordinazione, scala geografica/spazialità urbana, funzionalismo/reticolarità, privato-pubblico/comune, polis/cosmopolis, labirinto/passaggio – con le parole che le com­pon­gono messi in oppo­si­zione le une con le altro. Qui, invece, tutti gli inter­venti sono mossi dalla con­vin­zione che è suben­trata una sorta di tra­smi­gra­zione da un ter­mine all’altro. Così il peri­me­tro costi­tuito dai con­fini nazio­nali non scom­pare, ma viene immesso in uno spa­zio glo­bale che lo riqua­li­fica cogni­ti­va­mente. Lo stesso vale per tutte le altre cop­pie ana­li­ti­che. Non c’è dun­que alcun ter­re­moto ana­li­tico, ma il com­pi­mento di un per­corso avviato secoli fa e giunto a un pas­sag­gio di fase. L’ambizione teo­rica del volume sta pro­prio nel ripren­dere linee di ricerca già pre­senti nella moder­nità e tut­ta­via rele­gate in una posi­zione «secon­da­ria» rispetto al cen­tro della scena pub­blica. Inte­res­sante è a que­sto pro­po­sito l’analisi che viene fatta dello stato-nazione, indi­cata da più parti come la vit­tima sacri­fi­cale della globalizzazione.

Attra­verso una let­tura spre­giu­di­cata del Nomos della Terra di Carl Sch­mitt è indi­vi­duata la ten­den­ziale ricon­du­zione dell’ordinamento sta­tuale nazio­nale all’interno di una cor­nice sovra­na­zio­nale rap­pre­sen­tata – Sch­mitt scrive il sag­gio negli anni cin­quanta del Nove­cento – dalla costi­tu­zione dell’Onu. Que­sto tut­ta­via non signi­fica che lo stato nazio­nale scom­paia. Sem­mai acqui­si­sce altre fun­zioni, per­dendo alcune pre­ro­ga­tive, come ad esem­pio la sovra­nità sulle poli­ti­che eco­no­mi­che, che devono rispon­dere a vin­coli defi­niti in un ambito che vedono pro­ta­go­ni­sti anche gli stati nazio­nali. Lo stato-nazione diviene dun­que pro­ta­go­ni­sta, assieme ad altri orga­ni­smi isti­tu­zio­nali e eco­no­mici, del suo ridi­men­sio­na­mento, svol­gendo tut­ta­via il ruolo di guar­diano di un nuovo ordine mon­diale sem­pre in dive­nire. La stessa ricon­fi­gu­ra­zione fun­zio­nale e con­cet­tuale vale per la cop­pia confine/soglia.

I con­fini sono ben lungi dallo scom­pa­rire. Anzi svol­gono ancora una essen­ziale fun­zione rego­la­tiva del flusso di capi­tali, per­sone, merci, senza tut­ta­via fun­zio­nare come bar­riera. Piut­to­sto sono da con­si­de­rare come una soglia che intro­duce chi la oltre­passa nel ter­reno della dif­fe­renza. Dun­que non un pia­neta piatto, come recita la vul­gata sulla glo­ba­liz­za­zione, quanto un pia­neta scan­dito da dif­fe­renze tal­volta irri­du­ci­bili tra loro, come d’altronde testi­mo­niano le infi­nite e spesso feroci guerre locali che carat­te­riz­zano la con­tem­po­ra­neità. La soglia è dun­que l’«interfaccia» tra mondi diversi tra loro. Inol­tre, le dif­fe­renze sono fat­tori dina­mici, pro­pe­deu­tici a ine­diti pro­cessi di svi­luppo eco­no­mico e sociale, che ridi­se­gnano le iden­tità per­so­nali e la geo­gra­fia poli­tica mon­diale. Lo testi­mo­niano la messa a valore delle dif­fe­renze di reli­gione e di rela­zione sociali avve­nuta in paesi come il Bra­sile, l’India, la Cina, la Thai­lan­dia, dove reli­gione, fami­li­smo e eco­no­mia infor­male costi­tui­scono fat­tori rile­vanti nella loro tra­sfor­ma­zione in «paesi emer­genti». Più che pre­fi­gu­rare la for­ma­zione di un pen­siero unico, la glo­ba­liz­za­zione valo­rizza quindi le dif­fe­renze esi­stenti. Altret­tanto impor­tante è l’analisi che viene fatta della rela­zione tra fun­zio­na­li­smo e reti­co­la­rità. Il primo ter­mine è sino­nimo di rigide strut­ture isti­tu­zio­nali e sociali, il modello della Rete indica invece realtà dove sono assenti gerar­chie, dove è impe­rante una oriz­zon­ta­lità che non con­tem­pla vin­coli e limiti. Una let­tura sem­pli­ci­stica e fuor­viante, per­ché i modelli reti­co­lari sono fun­zio­nali a quel flusso di merci, capi­tali e per­sone che qua­li­fica l’attuale globalizzazione.

Il ritmo ana­li­tico del volume subi­sce infine l’ultima varia­zione di tono quando affronta la cen­tra­lità dello spa­zio nel governo della glo­ba­liz­za­zione. Nel libro sono infatti ana­liz­zati i pro­cessi di costi­tu­zione delle world fac­tory, siti pro­dut­tivi dis­se­mi­nati nel pia­neta e coor­di­nati gra­zie alla tec­no­lo­gie della comu­ni­ca­zione digi­tale. Ma sono realtà che hanno biso­gno dei nodi di rac­cordo, di con­nes­sione. Le metro­poli costi­tui­scono pro­prio quei nodi, ride­fi­nendo la rela­zione tra glo­bale e locale.

Come viene scritto, assi­stiamo a una mon­dia­liz­za­zione dello spa­zio urbano e, al tempo stesso, a una urba­niz­za­zione dello spa­zio glo­bale. Anche in que­sto caso, non è una oppo­si­zione con­cet­tuale quella che inter­corre tra glo­bale e locale, ma una con­ti­nua tra­smi­gra­zione da un polo all’altro della cop­pia ana­li­tica, a seconda dei limiti che tal­volta impe­di­scono il flusso di merci, capi­tali e infor­ma­zioni della glo­ba­liz­za­zione.
Terra mobile si chiude con l’invito a ripren­dere il ter­reno della ricerca per­ché non siamo alla fine della Sto­ria. Né alla fine della moder­nità, ma solo a un suo pre­ciso punto di svolta che va inter­pre­tato come aper­tura al «tempo della tra­sfor­ma­zione sociale e poli­tico». Tema, quest’ultimo, qui il limite del volume, che viene ina­spet­ta­ta­mente rimosso, quasi fosse un resi­duo del pas­sato di cui liberarsi.

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